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La tecnica del bilanciamento nel difficile equilibrio tra accesso agli atti amministrativi e tutela della privacy

Marina di Ravenna
Ph. Ermes Galli / Marina di Ravenna

La tecnica del bilanciamento nel difficile equilibrio tra accesso agli atti amministrativi e tutela della privacy

 

Abstract

In un precedente scritto, apparso su questo quotidiano il 30 giugno 2021 dal titolo “Atti amministrativi: il diritto di accesso ordinario, accesso civico semplice e accesso civico generalizzato”, sono state esaminate le varie forme di accesso evidenziandone presupposti e limiti per il corretto esercizio degli stessi.

In questo lavoro viene, invece, approfondita la cd. “Tecnica del bilanciamento”, strumento di elaborazione giurisprudenziale, a cui  occorre fare riferimento per definire la delicata problematica rappresentata dall’esigenza di equo contemperamento di questi due diritti di rango primario  interessati da un rapporto in continua tensione ogni qualvolta sfocia in conflitto: il diritto all’informazione, che si esplica attraverso l’esercizio dell’accesso alla documentazione amministrativa e  si fonda  sull’esigenza di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa; il diritto alla riservatezza dei soggetti terzi, che inerisce alla sfera privatistica e si traduce nella necessità di garantire la segretezza di categorie tipizzate di dati disciplinate dagli articoli 9 e 10 del Regolamento Generale sulla protezione dei dati (GDPR).

 

Sommario

Introduzione
Le tre tipologie di accesso documentale in breve
Il diritto alla privacy come limite al diritto di accesso civico generalizzato
La tecnica del bilanciamento
L’accesso agli atti relativi a concorsi e prove selettive nella casistica giurisprudenziale
Considerazioni conclusive

 

Introduzione

L’articolo 1 della Legge n. 241 del 7 agosto 1990 prevede che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza”.

Il concetto di trasparenza, elencato tra i criteri ai quali deve essere ispirata l’attività delle pubbliche Amministrazioni, è diventato, quindi, un modo di declinarsi del principio di buona amministrazione costituzionalmente garantito all’articolo 97 della Costituzione, che al comma 1 dispone: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.

La trasparenza è oggi disciplinata, nello specifico, dal decreto legislativo n. 33/2013, modificato dal decreto legislativo n. 97/2016 (attuativo della delega di cui all’articolo 1, comma 35, della legge n. 190/2012) che la definisce come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.

La trasparenza dell’attività amministrativa si concretizza mediante il riconoscimento del diritto di accesso che consente la conoscibilità generalizzata degli atti.

L’esercizio del diritto accesso è temperato solo dalla previsione di limiti posti a tutela di interessi (pubblici e privati) che possono essere lesi o pregiudicati dalla rivelazione di talune informazioni. La cd. legge sulla “trasparenza” ha avuto, quindi, il merito di aver invertito le modalità di approccio nei confronti dell’accesso agli atti amministrativi detenuti dalla pubblica Amministrazione rispetto alla pregressa disciplina: la trasparenza finalizzata alla piena conoscibilità dell’azione amministrativa è diventata la regola e il vincolo di segretezza l’eccezione, ma solo per casi tassativamente elencati dalla legge stessa.

Il rapporto tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza, poi evolutasi in privacy, ha generato e continua a generare conflitti la cui risoluzione riveste fondamentale rilevanza per scongiurare il rischio costante che l’esercizio del diritto di accesso a dati e documenti, si traduca in una indebita ingerenza di terzi nella sfera privata dei soggetti i cui dati personali sono contenuti negli atti oggetto di ostensione.


Le tre tipologie di accesso documentale in breve 

L’esercizio del diritto di accesso e la tutela del diritto alla privacy costituiscono, quindi, valori concorrenti ai fini dell’attuazione dei principi di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione e del diritto all’informazione a cui il nostro ordinamento ha attribuito rango costituzionale.

Prima di affrontare il tema principale del presente approfondimento è utile ricordare che ad oggi coesistono nel nostro ordinamento giuridico, tre tipi di accesso ai documenti della pubblica amministrazione:

a) L’accesso “documentale/ordinario/tradizionale” (ex legge 241/90) collegato alle specifiche esigenze del richiedente e caratterizzato dalla connotazione strumentale agli interessi individuali dell’istante, posto in una posizione differenziata rispetto agli altri cittadini, che legittima il diritto di conoscere e di estrarre copia di un documento amministrativo;

b) L’accesso civico “semplice” (decreto legislativo n. 33/2013) imperniato sugli obblighi di pubblicazione gravanti sulla pubblica amministrazione e sulla legittimazione di ogni cittadino a richiederne l’adempimento;

c) L’accesso civico “generalizzato” (introdotto dal decreto legislativo n. 97 del 2016) avente ad oggetto i dati, i documenti ed informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione. E’ riconosciuto proprio “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.


Il diritto alla privacy come limite al diritto di accesso civico generalizzato

L’esercizio del diritto di accesso e la tutela del diritto alla privacy costituiscono, come accennato, valori concorrenti ai fini dell’attuazione del principio di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione e del diritto all’informazione ai quali il nostro ordinamento ha attribuito rango costituzionale.

Il decreto legislativo n. 33 del 2013, modificato dal decreto legislativo 97/2016, “Recante revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione pubblicità e trasparenza” ha introdotto nel nostro ordinamento, quale ultima tappa della trasparenza amministrativa, l’istituto dell’accesso civico generalizzato (articolo 5, comma 2, d.lgs. 97/2016).  Quest’ultimo lascia inalterato il comma 1 dell’articolo 5 del d. lgs. 33/2013, che prevede l’accesso per gli atti oggetto dell’obbligo di pubblicazione (accesso civico c.d. semplice) e introduce al comma 2 un accesso anche per quegli atti non oggetto di pubblicazione (accesso civico generalizzato).

La nuova tipologia di accesso, legata sempre ad una dimensione generalizzata dell’accessibilità, dispone il diritto del cittadino di accedere anche a tutti gli altri documenti e dati che non sono espressamente contemplati dagli obblighi di pubblicazione sui siti istituzionali delle pubbliche Amministrazioni.

La regola generale dell’accessibilità deve però essere temperata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati che possono subire un pregiudizio dalla diffusione generalizzata.

Ai sensi dell’articolo 5-bis, l’accesso può essere escluso tutte le volte che si debba evitare un “pregiudizio concreto” alla tutela di interessi pubblici connessi a sicurezza e ordine pubblico, sicurezza nazionale, difesa e questioni militari, relazioni internazionali, politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato, conduzioni di indagini sui reati e loro perseguimento, regolare svolgimento di attività ispettive.

La stessa limitazione opera per evitare un pregiudizio concreto a interessi privati quali la protezione dei dati personali conformemente alla vigente normativa, la libertà e la segretezza della corrispondenza e gli interessi economici e commerciali (tra questi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali) delle persone fisiche e giuridiche.

Vi è poi una terza serie di esclusioni, con rinvio alle ipotesi di segreto e divieto di divulgazione previste dalla legge, compresi i casi in cui l’accesso è subordinato a limiti e condizioni, inclusi quelli ex articolo 24 della legge n. 241 del 1990.

Occorre, infine, ricordare che resta salva la possibilità che i dati personali per i quali sia stato negato l’accesso civico possano essere resi ostensibili, laddove il soggetto istante, riformulando l’istanza ai sensi della diversa disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi (articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 7/8/1990), motivi l’esistenza di un interesse qualificato vale a dire di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. Qualora l’accesso concerne dati sulla salute è, inoltre, necessario che la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi, sia di rango almeno pari ai diritti vantati dall’interessato, ovvero consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale (articolo 60, del Codice in materia di protezione dei dati personali).


La tecnica del bilanciamento

L’amplificato regime di pubblicità che deriva dall’accesso civico generalizzato obbliga a valutare l’esistenza di un possibile pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali dei soggetti controinteressati in base al quale decidere se rifiutare o meno l’accesso ai documenti, o alle informazioni oggetto della richiesta di ostensione.

Per la valutazione di tale pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali si ricorre alla tecnica del bilanciamento che viene utilizzata dall’amministrazione al fine di valutare gli interessi coinvolti nei procedimenti di accesso civico generalizzato. Si tratta di una tecnica che secondo l’elaborazione giurisprudenziale consiste nel bilanciamento fra diritto di accesso e diritto alla riservatezza che deve guidare gli addetti ai lavori nel percorso che conduce ad assicurare un giusto punto di equilibrio fra interessi entrambi meritevoli di tutela.

Nel caso delle eccezioni c.d. parziali o qualificate, il legislatore rinvia ad una attività valutativa che deve essere effettuata dalle pubbliche Amministrazioni ovvero valutando, caso per caso, la prevalenza tra l’interesse pubblico alla divulgazione generalizzata rispetto alla tutela di altrettanto validi interessi considerati dall’ordinamento.

L’Amministrazione, pertanto, è tenuta a verificare, una volta accertata l’assenza di eccezioni assolute, se l’ostensione degli atti possa determinare un pregiudizio concreto e probabile agli interessi indicati dal legislatore.

Affinché l’accesso possa essere rifiutato, il pregiudizio agli interessi considerati dai commi 1 e 2 deve essere concreto e quindi deve sussistere un preciso nesso di causalità tra l’accesso e il pregiudizio.

L’Amministrazione, quindi, non dovrà limitarsi a prefigurare il rischio di un pregiudizio in via generica e astratta, ma dovrà:

a) indicare chiaramente quale interesse, tra quelli elencati all’art. 5 bis, co. 1 e 2, venga pregiudicato;

b) valutare se il concreto pregiudizio prefigurato dipende direttamente dalla divulgazione dell’informazione richiesta e se costituisca un evento altamente probabile e non unicamente possibile.

Detta valutazione, proprio perché relativa alla identificazione di un pregiudizio in concreto va riferita al momento ed al contesto in cui l’informazione viene resa accessibile. 

Allo stesso modo, l’amministrazione dovrà consentire l’accesso parziale utilizzando, ove occorra, la tecnica dell’oscuramento di alcuni dati, qualora la protezione dell’interesse sotteso alla eccezione sia invece assicurato dal diniego di accesso di una parte soltanto di esso.

In questo caso, l’Amministrazione è tenuta a consentire l’accesso alle parti restanti optando per la scelta che, pur non oltrepassando i limiti di ciò che può essere ragionevolmente richiesto, sia la più favorevole al diritto di accesso del richiedente, omettendo con accorgimenti tecnici i dati, documenti e informazioni che possono recare un pregiudizio concreto al controinteressato.

La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che l’Amministrazione non può addurre ad unico fondamento del diniego di accesso agli atti la mancanza di consenso da parte dei soggetti controinteressati. E ciò in quanto il diritto di informazione e più in generale la normativa sul diritto di accesso rimette sempre all’Amministrazione destinataria della richiesta il potere di valutare la fondatezza della stessa, anche in contrasto con l’opposizione eventualmente manifestata dai controinteressati.

Significativa in tal senso è la sentenza n. 3985/2020 del TAR Lazio che si è occupato della delicata questione del bilanciamento tra il diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti anche dati personali relativi a terze persone ed il diritto alla riservatezza dei terzi cui tali dati ineriscono.

Il caso è quello di un dipendente Inail con la qualifica di professionista del ramo legale che cessato dal servizio, ha contestato la legittimità del prospetto di liquidazione del proprio trattamento di fine servizio (TFS). In tale ambito ha chiesto di poter prendere visione ed estrarre copia di tutta la documentazione necessaria per tutelare le proprie ragioni in relazione all’erronea ed ingiustificata determinazione dell’importo riconosciutogli.

Tra i documenti espressamente richiesti vi erano sia le comunicazioni di liquidazione del TFS con i relativi prospetti inviati a tutti gli avvocati, medici e dirigenti andati in quiescenza, sia le domande di restituzione di quanto indebitamente corrisposto allo stesso titolo   ai medesimi soggetti, cui non fosse stato calcolato il TFS sulla sola voce stipendio tabellare.

L’Inail ha negato l’accesso a tali documenti, ritenendoli non pertinenti, perché non afferenti esclusivamente la posizione del richiedente e coinvolgenti dati personali di altri soggetti che, quindi, per motivi di riservatezza, non potevano essere trasmessi.

Il ricorrente ha chiesto il parziale annullamento della nota dell’Istituto assistenziale, nella parte in cui ha rigettato la sua richiesta, chiedendo l’accertamento del proprio diritto ad accedere anche a tale documentazione.

Il TAR Lazio ha accolto il ricorso, cogliendo l’occasione per chiarire alcuni concetti e sottolineare l’importanza di alcune distinzioni in merito ai “dati personali” identificabili in tutte le informazioni relative ad una persona fisica precisando che all’interno di tale categoria si distinguono:

 “dati sensibili” che rivelano l’origine razziale o etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, le adesioni a partiti, sindacati, associazioni, organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale;

 “dati sensibilissimi” che riguardano lo stato di salute e la vita sessuale;

“dati giudiziari”  particolare sotto categoria di dati sensibili, che rivelano eventuali provvedimenti in materia di casellario giudiziale, anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti o la qualità di imputato od indagato in un procedimento penale.


L’accesso agli atti relativi a concorsi e prove selettive nella casistica giurisprudenziale

La normativa sul diritto di accesso ai documenti e dati della pubblica amministrazione, alla luce della giurisprudenza dei giudici amministrativi e dei pareri espressi dal Garante per i dati personali, ha dato luogo a numerosi problemi applicativi, in ragione anche della discrezionalità attribuita all’Amministrazione.

In questo paragrafo ci si concentrerà sulle principali tematiche emerse in merito all’accesso civico documentale e all’accesso civico generalizzato ed ai rapporti con il diritto alla riservatezza.

La giurisprudenza nel suddetto contesto è stata più volte chiamata e continua ad essere chiamata ad interpretare i limiti dell’accesso ed a valutare la incisività degli obblighi di motivazione della pubblica amministrazione quando rigetta una richiesta di accesso.

L’esito del percorso fino ad oggi è quello di una giurisprudenza sempre più orientata a definire i capisaldi del diritto all’accesso ed i limiti che il diritto alla riservatezza comunque impone.

In proposito  significativa e la sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato  n. 10 del 2020  che in ordine  al diritto di accesso civico ha avuto modo di chiarire  che trattasi di  “diritto di chiunque”, non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza, che “ viene riconosciuto e tutelato allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”. Diritto il cui esercizio non abbisogna di specifica motivazione e che presenta carattere autonomo, essendo slegato dalla titolarità di altre situazioni giuridiche da tutelare. Il suddetto accesso incontra quale unica eccezione, oltre ai limiti cd. “assoluti” all’accesso di cui all’art. 5-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 33/2013, quella dei limiti cd. “relativi” correlati agli interessi  pubblici e privati, previsti dall’art. 5-bis, comma 1 e 2, del decreto legislativo n. 33/2013, nell’ottica del bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza. (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 2 aprile 2020, n. 10, spec. par. 22.1; per l’applicazione del principio, cfr. Consiglio di Stato, III, 25 gennaio 2021, n. 697).

Per quanto concerne le istanze di accesso generalizzato dirette e ottenere atti relativi a procedure concorsuali, degna di nota appare la decisione del Tar Lombardia, sezione I, 12 marzo 2018, n. 303 che ha ritenuto illegittimo il diniego opposto alla richiesta di accesso agli atti di valutazione e selezione di uno specifico candidato nell’ambito di un concorso pubblico, motivato in base alla presenza in questi ultimi di dati personali.

Secondo i giudici amministrativi, in una selezione pubblica le ragionevoli aspettative di confidenzialità degli interessati riguardo a talune informazioni recedono o sono comunque depotenziate. I documenti richiesti, pertanto, sono suscettibili di ostensione, salva la facoltà di oscurare i dati strettamente ed effettivamente personali, specie di natura sensibile, per i quali la divulgazione può ritenersi eccessiva e non pertinente rispetto all’obiettivo di massima trasparenza dell’azione amministrativa.

In altre due circostanze, invece, è stato reputato legittimo il rigetto di una richiesta da parte di un candidato di accedere agli atti di un concorso pubblico, in quanto il soggetto ha agito per tutelare il suo interesse a seguito della esclusione dal medesimo, essendo quindi l’istanza qualificabile come accesso documentale ai sensi della l. n. 241/1990 (Tar Lazio, sezione I-quater, 31 gennaio 2018, n. 1126; Id., sezione I, 8 marzo 2018, n. 2628).

Di segno opposto sono alcune decisioni successive, inerenti a una richiesta di accesso al curriculum del vincitore di una procedura selettiva, in cui i giudici hanno affermato che la richiesta non può essere esclusa per il solo fatto che il richiedente abbia formulato l’istanza per verificare il corretto funzionamento dell’apparato amministrativo e non già per tutelare una propria posizione giuridica (Tar Campania, sez. VI, 27 agosto 2019, n. 4418; Id., sez. VI, 7 febbraio 2020, n. 604).

Con specifico riferimento alla tutela dei dati personali, la giurisprudenza ha messo in luce anzitutto la delicatezza del bilanciamento fra interessi rilevanti, sancendo il principio in base al quale le esigenze di controllo democratico non possono travolgere il diritto fondamentale alla riservatezza delle persone fisiche (Consiglio di Stato, Sezione III, 13 agosto 2019, n. 5702). Al tempo stesso, tuttavia, è stato affermato che nella valutazione del pregiudizio concreto, in applicazione del principio di proporzionalità, l’amministrazione deve valutare la possibilità di un rilascio con modalità meno pregiudizievoli per i diritti dell’interessato attraverso il c.d. accesso parziale, ovvero privilegiando l’ostensione di documenti con l’omissione/oscuramento dei dati personali laddove l’esigenza informativa possa essere raggiunta senza implicare il loro trattamento (Tar Campania, sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5901; Cons. St., sez. III, 9 ottobre 2019, n. 6897; Tar Campania, sez. VI, 7 febbraio 2020, n. 604; Tar Lazio, sez. III-quater, 18 febbraio 2020, n. 2174).

Quando vengono in gioco dati personali, inoltre, risulta doverosa la notifica al controinteressato della richiesta e la valutazione da parte dell’amministrazione delle eventuali controdeduzioni di segno negativo all’accesso del medesimo controinteressato, da soppesare nel provvedimento finale quanto ad ampiezza dei dati e dei documenti da divulgare (Tar Lazio, Roma, sezione III-bis, 28 marzo 2018, n. 3453; Tar Puglia, sezione II, 21 maggio 2018, n. 839).

Resta ferma, in ogni caso, la libertà dell’amministrazione rispetto alla quale l’opposizione del controinteressato acquista un rilievo istruttorio e non già vincolante (Tar Abruzzo, sezione I, 22 novembre 2018, n. 347; Tar Puglia, sez. I, 13 novembre 2020, n. 1432.

Con sentenza n. 4086/2022  il Consiglio di Stato pronunciandosi in merito alla ammissibilità  dell’accesso agli atti relativi alle procedure per l’assegnazione delle progressioni economiche   ed alla possibilità di consentire l’accesso civico  ha deciso che il pubblico dipendente ha pieno diritto a ottenere copia (accesso documentale in base alla legge 241/1990) di tutti gli atti e provvedimenti relativi alle procedure adottate dall’ente per l’assegnazione delle progressioni orizzontali, in quanto necessario a consentirgli un effettivo controllo sulla sussistenza del confronto competitivo e sulla giusta valorizzazione del merito individuale.

L’accesso agli atti, utilizzando l’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi ai sensi degli artt. 22 ss. della l. n. 241/1990, è quindi consentito nel caso in cui il titolare dimostri di possedere «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso».

Il Garante della Privacy, con proprio parere del 13 maggio 2021 ha ritenuto, invece, non ostensibili i punteggi dei singoli dipendenti ritenendo che, anche considerando i casi e il contesto in cui gli stessi possono essere utilizzati da soggetti terzi, nonché il particolare regime di pubblicità dei dati e delle informazioni ricevuti tramite l’istituto dell’accesso civico (cfr. art. 3, comma 1, d. lgs. n. 33/2013), determini “un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà dei soggetti controinteressati, arrecando a questi ultimi un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali” (art. 5-bis, comma 2, lett. a, del d. lgs. n. 33/2013; art. 5, par. 1, lett. b e c, del RGPD).  

E’ utile rilevare che il Garante, aderendo a consolidato principio del Consiglio di Stato, richiamato anche nella predetta Sentenza n.4086/2022 successiva al parere, aveva comunque già precisato che “Resta, in ogni caso, salva la possibilità per l’istante di accedere ai punteggi richiesti, laddove, utilizzando il diverso istituto dell’accesso ai documenti amministrativi ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990, dimostri di essere titolare di «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.


Considerazioni conclusive

Dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4086/2022  e dal parere Garante privacy 13 maggio 2021 (9672790) emerge un criterio ermeneutico che, ad avviso degli scriventi, può assurgere a principio generale, con le dovute specificità dettate dalla tipologia del documento o dei dati, secondo il quale nel caso dell’accesso civico generalizzato è la stessa Pubblica Amministrazione destinataria della richiesta a dover esercitare un bilanciamento tra l’interesse del cittadino alla conoscenza dei documenti in possesso della PA ed il diritto alla privacy dei soggetti i cui dati personali sono contenuti in tale documentazione.

Sarà quindi necessaria una valutazione caso per caso della situazione concreta, che tenga conto di tutta una serie di parametri rinvenibili nella legislazione e giurisprudenza nazionale ed europea in materia di protezione dei dati personali:

  • limitazione e minimizzazione del trattamento in base ai principi di necessità, proporzionalità, pertinenza e non eccedenza;
  • natura e tipologia dei dati personali dei soggetti interessati;
  • posizione ricoperta dagli stessi nel contesto sociale.

Nel quadro generale così delineato, spetta, quindi, all’Amministrazione raggiungere il giusto bilanciamento tra interesse pubblico alla trasparenza e interesse alla riservatezza, valutando se nel caso di specie sussistano eccezioni o limiti al diritto di accesso nel rispetto del principio di proporzionalità, quale metodo equilibratore tra le esigenze di conoscibilità del contenuto dell’azione amministrativa e la protezione dei dati personali.

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