Libertà di informazione e censura globale: profili giuridici e implicazioni geopolitiche

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Libertà di informazione e censura globale: profili giuridici e implicazioni geopolitiche

 

Nel 2024, l’Italia è stata collocata al 46° posto nel World Press Freedom Index pubblicato da Reporters Without Borders, segnando un netto arretramento rispetto agli anni precedenti. Un dato che non rappresenta soltanto una valutazione simbolica, ma che pone interrogativi concreti sullo stato del diritto all’informazione, pilastro fondante dello Stato di diritto, sancito dall’art. 21 della Costituzione italiana, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 11), e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 10 CEDU).

Il fenomeno della censura, lungi dall’essere superato nel contesto delle democrazie occidentali, assume oggi forme più sofisticate e pervasive, spostandosi dal controllo diretto al condizionamento indiretto attraverso algoritmi, logiche di mercato, pressioni istituzionali e interferenze geopolitiche. Analizzare tale dinamica richiede un approccio giuridico e multidisciplinare, che tenga conto non solo dei diritti interni, ma anche delle relazioni internazionali e dei regimi normativi transnazionali.

Italia: tra riforme normative e restrizioni implicite alla libertà di stampa. La recente introduzione di norme che limitano la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare fino alla conclusione dell’udienza preliminare — nota come “legge bavaglio” — ha suscitato preoccupazioni sia a livello nazionale che europeo. L’Ordine dei Giornalisti, Amnesty International e diverse associazioni forensi hanno evidenziato il rischio di un indebolimento della trasparenza giudiziaria e della funzione pubblica del giornalismo investigativo.

In un contesto in cui la narrazione giuridica passa anche dai media, limitare l’accesso tempestivo agli atti giudiziari compromette il principio di pubblicità del processo e la funzione di controllo democratico dell’opinione pubblica. La questione si colloca al crocevia tra esigenze di tutela della riservatezza e garanzia del diritto all’informazione, sollevando problematiche costituzionali e di compatibilità con il diritto UE.

La censura come strumento geopolitico: diritto all’informazione e soft power. A livello globale, la libertà d’informazione si confronta oggi con strategie di controllo che si innestano su dinamiche di potere e interessi geopolitici. La gestione mediatica del conflitto in Ucraina, ad esempio, ha rivelato una polarizzazione delle narrazioni che spesso esclude prospettive dissenzienti, anche quando provengono da fonti accademiche o istituzionali. La stigmatizzazione sistematica di analisi non allineate alla visione euro-atlantica pone interrogativi sul pluralismo informativo, essenziale per il dibattito democratico e la formazione dell’opinione pubblica.

Simili dinamiche si riscontrano anche in relazione alla Cina, all’Africa subsahariana e al conflitto israelo-palestinese, dove i rapporti di forza geopolitici si traducono in asimmetrie informative. In tale contesto, le big tech svolgono un ruolo ambivalente: da un lato, facilitano la diffusione dell’informazione; dall’altro, diventano strumenti di moderazione algoritmica che possono determinare una censura de facto, non soggetta a controlli democratici né a strumenti giurisdizionali effettivi.

Gaza e l’informazione come diritto umanitario. Nel caso del conflitto a Gaza, l’oscuramento selettivo dei contenuti provenienti dalla società civile palestinese ha implicazioni che travalicano l’etica giornalistica, toccando i diritti umani fondamentali. Secondo fonti ONU, oltre 14.000 minori hanno perso la vita in un solo anno, ma la copertura mediatica di questi eventi è risultata ampiamente parziale. Un’indagine della BBC ha evidenziato che Meta ha ridotto drasticamente la visibilità dei contenuti palestinesi (fino al 77%), mentre quelli israeliani hanno registrato un incremento del 37%. Tali dinamiche pongono in rilievo la questione del diritto all’informazione in situazioni di conflitto armato, tutelato dal diritto internazionale umanitario (art. 79 del Protocollo I aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra) e dalla risoluzione 2222 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il blackout informativo, aggravato da misure tecnologiche come la disattivazione dei servizi GPS da parte di Google e Apple, configura una lesione ulteriore dei diritti della popolazione civile, già colpita dalla violenza bellica.

Afghanistan: una segregazione invisibile e silenziosa. Dal ritorno dei talebani, le donne afghane sono state escluse dalla vita pubblica e privata attraverso una serie di norme discriminatorie in violazione della Convenzione CEDAW e della Convenzione sui Diritti del Fanciullo (CRC), entrambe ratificate dall’Afghanistan. L’impossibilità di accedere all’istruzione, al lavoro, o semplicemente di circolare liberamente, configura una forma sistematica di segregazione di genere, assimilabile a un regime di apartheid (art. 7 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale). In assenza di copertura mediatica continuativa, questa violazione dei diritti fondamentali resta in larga parte impunita e ignorata, anche nei consessi giuridici internazionali. Si configura così un doppio silenzio: quello della repressione e quello dell’informazione.

La tutela dell’informazione come sfida giuridica globale. Il diritto all’informazione, come diritto strumentale alla partecipazione democratica e alla protezione dei diritti fondamentali, è oggi vulnerabile su più fronti. Occorre una riflessione giuridica integrata, che riconosca il ruolo crescente degli attori non statali (come le piattaforme digitali), la natura transnazionale delle restrizioni e la necessità di nuovi strumenti di accountability. Difendere la libertà d’informazione significa oggi difendere anche il diritto dei popoli alla verità, la trasparenza dell’azione pubblica e la possibilità di una cittadinanza attiva. È una battaglia giuridica, politica e culturale, che chiama in causa tanto le corti quanto le redazioni, tanto le università quanto le diplomazie. In un mondo dove la censura è sempre meno esplicita ma sempre più efficace, il diritto deve tornare ad essere presidio del pluralismo e barriera contro l’oblio programmato.