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Indagini preliminari: la linea di confine tra il diritto di cronaca e il diritto all’informazione

Fiume Reno al tramonto
Ph. Consuelo Corsini / Fiume Reno al tramonto

Quanto il giornalismo investigativo influisce in un procedimento penale?

È questa la questione di base da cui partire per analizzare quale è la linea di confine tra il diritto di cronaca e l’informazione nella fase delle indagini preliminari.

La recente vicenda della messa in onda da parte del Tg3 del drammatico episodio di Verbania richiama l’attenzione, ancora una volta, sulla sottile linea di confine tra il diritto/dovere d’informazione che incombe sui giornalisti e quello degli imputati ad avere un giusto processo non condizionato da clamori mediatici e prese di posizione in programmi televisivi che possono portare conseguenze gravissime anche al di fuori del processo. È il caso, ad esempio, del processo Vannini che ha visto gli avvocati della difesa essere oggetto di minacce già prima dell’inizio del dibattimento.

Un meccanismo infernale e disumano, che si origina dalla pubblicazione sui giornali di notizie coperte da segreto investigativo, di intercettazioni penalmente irrilevanti, e culmina nella colpevolizzazione preventiva degli indagati.

Un “Inno alla gogna” analogo a quello descritto da Daniel Defoe nel 1702 dove si mette in evidenza, con tono sarcastico, la condanna inflitta agli innocenti e l'impunità dei colpevoli.

Mirato è il richiamo all’articolo 21 della Costituzione che sancisce la libertà di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Il diritto di informazione anche se tutelato a livello costituzionale, quale libertà in un paese democratico, deve necessariamente fare i conti con altre esigenze meritevoli di tutela, soprattutto nell’era delle ICT (Information and Communication Technology).  Il diritto di cronaca è una declinazione del diritto di informazione, che consiste nell’esporre e divulgare informazioni su fatti ritenuti di pubblico interesse. Vero è che testate giornalistiche e media possono diffondere quanto a loro conoscenza in merito ad un fatto di cronaca ed inserirlo nel contesto mediatico oggi amplificato dai social. Vero è, allo stesso tempo, che ogni pubblicazione non deve ostacolare lo svolgimento del procedimento penale da parte degli organi investigativi, né pregiudicare i diritti di difesa di chi non è ancora imputato.

Il mancato bilanciamento tra il diritto dei cittadini ad essere informati e la  necessità di garantire ai soggetti coinvolti tutele legali e  costituzionali, sfocia nel meccanismo, ormai sempre più azionato, della gogna mediatica: la condanna senza processo! Appare opportuno richiamare in tal senso l’articolo 329 del codice di procedura penale che prevede dell’obbligo del segreto istruttorio non oltre la chiusura delle indagini preliminari e l’articolo 27 comma 2 Costituzione i quali, letti congiuntamente, ribadiscono il principio di presunzione di innocenza sino a condanna definitiva, e ciò dovrebbe impedire “l’inquisizione” da parte della pubblica opinione fondata su circostanze sommarie, spesso strumentali e poste da giornalisti e sedicenti opinionisti sotto forma tendenziosa.

L’onere di provare la colpevolezza dell’imputato incombe sulla pubblica accusa e non sulla pubblica opinione: le indagini preliminari sono dirette, coordinate e gestite dal pubblico ministero coadiuvato dalla polizia giudiziaria. Sistema questo ben lontano da quello statunitense dove il  giornalismo contribuisce in modo attivo alla fase pre-dibattimentale.

D’altro canto, la narrazione di un fatto non deve eccedere in sfere di competenza altrui che necessariamente devono rispettare l’onore, la reputazione, il decoro dell’indagato così come l’impatto emotivo da parte delle persone offese. La cronaca dovrebbe essere esposizione obiettiva e non processo accusatorio in cui tra le righe emerge il dispositivo di una futura sentenza. Ricordiamo che il diritto di cronaca, così come ogni altro, ha dei limiti: verità e continenza nell’esposizione; attualità della notizia; rilievo ed interesse pubblico. Il pericolo è quello di credere alla realtà narrata dal giornalismo investigativo e scoprire poi tutt’altro; ledere la dignità dei soggetti coinvolti; allontanarsi da quello che dovrebbe essere lo scopo primo, cioè di “fare giustizia”.

Tutto ciò premesso vale a sottolineare la labilità della linea che divide il clamore mediatico che suscita un fatto di cronaca nera eclatante e lo svolgimento delle indagini preliminari. Quanto accaduto nella strage della Funivia del Mottarone, aldilà delle divergenti opinioni, rappresenta l’esempio concreto di questo divario. L’articolo 114 comma 2 codice procedura penale  vieta la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare.

Nel caso di specie, la diffusione di un video ritraente gli ultimi istanti di vita dei passeggeri risulta essere irrispettoso per le vittime, per l’unico sopravvissuto e per loro famiglie. Appare comprensivo ritenere che rendere noti quegli ultimi istanti a nulla sarebbe utile per le indagini, di contro ha contribuito ad aumentare il clamore mediatico di un tragico episodio e ci si chiede se sia corretto giornalismo.

Analogamente, le immagini trasmesse dai media riguardo quanto l’accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere rappresentano un eccesso di  giustizialismo con le conseguenze che ne possono derivare: dimenticanza del principio di legalità e della supremazia dello Stato di Diritto, unici baluardi contro la deriva culturale dettata dal populismo penale.

Viene qui riportata, parzialmente, la nota da parte della Camera Penale di Lecce: “La diffusione di notizie di cronaca giudiziaria e la informazione anche su fatti gravissimi, oggetto di procedimento penale, non può e non deve scalfire l’idea della presunzione di innocenza di ogni persona che ne è coinvolta. I principi sopra richiamati non possono retrocedere neanche davanti a gravissime ipotesi di reato come quelle relative ai presunti fatti di torture, lesioni, pestaggi ed umiliazione, accaduti presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere ad aprile del 2020 a seguito di rivolte di alcuni detenuti, e di cui sono accusati agenti e ufficiali di Polizia Penitenziaria”.

Questo strano meccanismo è tuttavia frutto della cultura contemporanea che, per colpa o per merito di internet, vuole l’immediatezza della notizia che, sui social, diventa immediatamente opinione di chi, non avendone ne’ il diritto ne’ le competenze, è pronto a puntare il dito. Quella che ad oggi si sta diffondendo a macchia d’olio è la teoria del framing: un sistema che tende a privilegiare alcuni aspetti e minimizzarne altri in modo da indirizzare lo sguardo del lettore/spettatore verso una realtà “incorniciata”.

Il rischio? La condanna mediatica...spesso di un innocente. Un esempio concreto di influenza dei mass media in un processo mediatico risulta essere il Caso Tortora. Enzo Tortora, innocente, condannato e costretto a un calvario giudiziario, martoriato insieme alla sua famiglia e considerato carne da macello per far notizia,.

Accusato e condannato dalle parole senza alcun elemento probatorio.