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Diffamazione ai tempi della DAD

Messa a fuoco
Ph. Simona Balestra / Messa a fuoco

Dal 2020 l’Italia, così come il resto del mondo, vive in piena emergenza pandemica. In questo scenario è stato necessario adottare misure tese a limitare, quanto più possibile, il rischio di contagio.

La formazione a distanza è stata l’unica soluzione per permettere agli studenti di continuare e non fermarsi; di esercitare quel diritto allo studio tanto blaterato.

La Didattica a Distanza (DAD) divenuta obbligatoria in tutte le scuole italiane ha determinato un cambiamento istantaneo, imminente e radicale. Niente più caffè tra colleghi, ritardi a causa dei mezzi pubblici affollati, macchine in doppia fila per accompagnare i più piccoli.

Ogni cambiamento porta con sé una serie di conseguenze (positive e negative) con annesse problematiche e rischi, purtroppo, in aumento.

Vi siete mai chiesti cosa accade quando un alunno si diverte a fare screen shot allo schermo dove è inquadrato il Professore disegnando o scrivendo sull’immagine frasi offensive a lui rivolte? Ed eventualmente, come potrebbe tutelarsi il docente?

Una prima risposta si riceve dal Garante della privacy secondo il quale la pubblicazione di immagini rappresentanti altre persone è possibile solo previo loro consenso. Ciò posto, la diffusione di video o foto che ledono la riservatezza e la dignità delle persone può far incorrere lo studente in sanzioni disciplinari, pecuniarie e penali.

Da un punto di vista penale, la condotta in questione realizzata dello studente per un fine strettamente goliardico non riduce il grado di offensività né tanto meno ne esclude la responsabilità penale. All’opposto essa costituisce una fattispecie di reato.

Il riferimento è al reato di diffamazione[1] articolo 595 Codice Penale per aver apposto un’emoticons offensiva, oppure aver scritto sull’immagine contenuti diffamatori del proprio insegnante. Quella stessa immagine inoltrata ai propri compagni potrebbe uscire dal circuito “classe”, e attraversare (metaforicamente) la regione confinante per poi approdare dall’altra parte del globo… perché si sa, il cyberspace non ha limiti e non conosce né tempo né spazio.

Quale la sanzione? Ammettendo che la realizzazione avvenga su supporto informatico e che la divulgazione avvenga in rete, la pena prevista (dall’aggravante terzo comma dell’articolo 595 Codice Penale) è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. Ma la legge sulla stampa (legge n. 47 del 1948) è più severa e all’articolo 13 prevede l’aggravante in caso di fatto determinato, inasprendone la pena: “la pena della reclusione è da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000”.

Finora si è fatto riferimento a soggetti imputabili. Ma se a commettere l’illecito è un minore?

Attenzione! L’ articolo 97 del codice penale stabilisce che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni”.

Su chi ricade la responsabilità penale della condotta del ragazzino di 10 anni che si diverte a denigrare il suo insegnante? Nessuno perché la responsabilità penale è personale (articolo 27 co.1 Costituzione) ma saranno sempre civilmente responsabili i suoi genitori che ai sensi dell’articolo 2048 Codice Civilesono responsabili del danno causato da un fatto illecito del figlio minorenne (ossia che non ha ancora compiuto 18 anni) a meno che non dimostrino di non aver potuto impedire il fatto”.

Ecco un esempio di culpa in vigilando prodromica alla condotta diffamatoria realizzata online.

Il Professore potrà ottenere una tutela relativa ma non assoluta dato il locus in cui si realizza l’azione commissiva. Potrà tutelarsi richiedendo la rimozione dell’immagine ed eventualmente optare per il risarcimento del danno data l’avvenuta lesione della propria immagine (professionale).

Rimedio preventivo: vigilate il minore quando naviga in rete. Loro saranno gli uomini di domani!

 

[1] Il Tribunale di Verona, con decreto del 27 gennaio 2020, si è pronunciato in merito alla possibilità o meno di ritenere configurato il delitto di diffamazione di fronte all’utilizzo di un’emoticon su Facebook. Il giudice di primo grado ha ordinato alla parte resistente la rimozione immediata dell’emoticon considerata diffamante, accogliendo, così, quanto lamentato dal ricorrente.