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Il diritto del lavoratore a costituire la rendita vitalizia ex art. 13 comma 1 della Legge 1338 del 12.08.1962: imprescrittibilità

il dono del giorno
Ph. Ermes Galli / il dono del giorno

Il diritto del lavoratore a costituire la rendita vitalizia ex art. 13 comma 1 della Legge 1338 del 12.08.1962: imprescrittibilità


La costituzione della rendita da parte del lavoratore ex art. 13 comma 1 della Legge 1338 del 12.08.1962, deve considerarsi quale diritto non soggetto a prescrizione, e ciò in base agli artt. 2934 e 2958 c.c., nonché in relazione all’art. 38 della Costituzione.

The establishment of the annuity by the worker pursuant to art. 13 paragraph 1 of Law 1338 of 12.08.1962, must be considered as a right not subject to prescription, and this on the basis of articles. 2934 and 2958 of the Civil Code, as well as in relation to art. 38 of the Constitution.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 della Legge 1338 del 12.08.1962 (di seguito “Legge”) – ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l'assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell'articolo 55 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, può chiedere all'Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell'assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi”. Il comma 4 precisa che “il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno …”.

La Corte di Cassazione- Sez. Lav., con ordinanza interlocutoria n. 13229 del 14.05.2024, ha rimesso alle SSUU la seguente questione: se il diritto del lavoratore di costituire la rendita possa essere esercitato senza alcun limite di tempo, oppure se esso si prescriva entro 10 anni da quando il lavoratore abbia saputo della impossibilità del datore di lavoro di versare i contributi.

La costituzione, da parte del lavoratore, della rendita vitalizia prevista dall’art. 13, è uno strumento mediante cui egli supplisce all’inadempienza del datore di lavoro, il quale non soltanto ha omesso di adempiere regolarmente all’obbligo di versamento dei contributi, ma si è trovato altresì nell’impossibilità di costituire egli stesso la suddetta rendita.

Il datore di lavoro, se avesse costituito la rendita, avrebbe compensato la precedente inadempienza consistita nel non aver versato i contributi, e quindi, eseguendo a favore del lavoratore una prestazione alternativa (appunto, la rendita), avrebbe colmato tale inadempienza.

Ai sensi dell’art. 1285 c.c., “il debitore di un'obbligazione alternativa si libera eseguendo una delle due prestazioni dedotte in obbligazione”. Pertanto, il debitore, se non ha eseguito nessuna delle due obbligazioni, non è liberato nei confronti del creditore, il quale, quindi, potrà scegliere se concedere al creditore un ulteriore termine per adempiere almeno ad una delle due prestazioni, oppure proporre domanda giudiziale chiedendo al Giudice di emettere una sentenza che lo obblighi ad adempiere.

L’art. 13 della Legge offre al creditore (ossia al lavoratore) un’altra strada, e cioè quella di costituire egli stesso la rendita, e quindi di provvedere con mezzi propri alla prestazione che avrebbe dovuto essere adempiuta dal debitore (ossia il datore di lavoro), salvo poi agire contro il debitore stesso per farsi risarcire i danni causati dal mancato adempimento. Il creditore, quindi, anziché fare causa, decide sostanzialmente di “auto – adempiere”, e quindi di soddisfare da solo, con le proprie risorse economiche, quell’esigenza che invece avrebbe dovuto essere soddisfatta dal debitore, ferma poi restando azione di rivalsa contro quest’ultimo.

Ci si chiede: questo diritto del creditore all’ “auto – adempimento” è imprescrittibile, ossia può essere esercitato senza limiti di tempo, oppure si prescrive se è decorso un certo lasso di tempo da quando egli ha accertato che il debitore non ha adempiuto neanche alla prestazione alternativa?

Ai sensi dell’art. 2934 c.c. si estingue per prescrizione “ogni” diritto, e quindi, in teoria, si dovrebbe prescrivere non soltanto il diritto del creditore ad esigere dal debitore la prestazione prevista a carico di quest’ultimo, ma anche il diritto del creditore a soddisfare da solo la predetta prestazione e quindi ad “autoprocurarsi” ciò che gli avrebbe dovuto erogare il debitore.

Tuttavia, lo stesso art. 2934 c.c. aggiunge che il diritto si prescrive solo “quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”. L’art. 13 della Legge non prevede espressamente un termine superato il quale il diritto del lavoratore di costituire la rendita vitalizia non possa più essere esercitato. Quindi viene a mancare il presupposto essenziale (fissazione del termine) affinchè si possa parlare di prescrizione.

Inoltre, anche se l’art. 2934 c.c. stabilisce che si estingue per prescrizione “ogni” diritto, va rilevato che la prescrizione è comunque strettamente correlata all’adempimento da parte del debitore. Ai sensi dell’art. 2959 c.c., l’eccezione di prescrizione è rigettata se chi la oppone “ha comunque ammesso in giudizio che l'obbligazione non è stata estinta”. Il debitore, citato a giudizio dal creditore, può anche eccepire che il diritto di quest’ultimo è prescritto, ma tale eccezione, se egli, al tempo stesso, ammette di non aver mai adempiuto alla prestazione, verrà respinta dal Giudice. Il debitore, pertanto, non può far valere la prescrizione se è rimasto inadempiente.

Di conseguenza, sarebbe del tutto fuori luogo ritenere che debba essere soggetto a prescrizione il diritto del creditore di eseguire la prestazione (vedi costituzione della rendita da parte del lavoratore) al posto del debitore rimasto inadempiente. Se l’accertato inadempimento del debitore (“accertato” a seguito dell’ammissione di quest’ultimo) rende inefficace la prescrizione del diritto del creditore, non ha senso che si prescriva il diritto di quest’ultimo a provvedere a proprie spese alla prestazione rimasta inadempiuta, e cioè a supplire alle conseguenze dell’inadempimento del debitore stesso.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2958 c.c., “la prescrizione decorre anche se vi è stata continuazione di somministrazione o di prestazioni”. Tale norma significa che, nel caso in cui si tratti di un contratto ad esecuzione continuata o periodica, nel quale cioè il debitore abbia eseguito più prestazioni nel corso del tempo, l’esecuzione di ciascuna di queste non comporta il fatto che il termine di prescrizione entro cui il creditore deve esigere le prestazioni successive ricominci a decorrere ogni volta che sia stata resa l’ultima prestazione. Se il contratto è stato sottoscritto per 1 anno e prevede che il diritto del creditore si prescriva in 1 anno e che il debitore debba adempiere una volta al mese, il fatto che questi abbia adempiuto per i primi 6 mesi non vuol dire che il termine entro cui il creditore deve esigere le prestazioni degli altri 6 mesi cominci a decorrere dal 7° mese; tale termine è comunque iniziato a decorrere dal 1° mese e continuerà a decorrere. La conseguenza è che, se il debitore non esegue le prestazioni dal 7° al 12° mese, ed il creditore non fa nulla per interrompere la prescrizione, al 12° mese il diritto del creditore si prescrive.

Allora il ragionamento è il seguente: il termine di prescrizione, se decorre a vantaggio del debitore il quale abbia regolarmente eseguito quanto meno una parte delle prestazioni a sui carico, non dovrebbe invece decorrere a vantaggio di un debitore, come il datore di lavoro nel caso di cui all’art. 13 della Legge, il quale non abbia mai adempiuto, né in ordine alla prima prestazione (versamento dei contributi) né in ordine alla seconda prestazione (costituzione della rendita vitalizia). Ritenere che il termine di prescrizione debba continuare a decorrere anche a favore di quest’ultimo, significherebbe riconoscere al medesimo la stessa identica tutela che viene solitamente riconosciuta al debitore che abbia eseguito quanto meno un adempimento parziale, e ciò si presterebbe a formare oggetto di una questione di legittimità costituzionale ex art. 3 Cost. .

Quindi, riguardo alla costituzione della rendita vitalizia da parte del lavoratore, non dovrebbe decorrere nessun termine di prescrizione, poiché tale rendita la funzione di colmare il danno causato da una duplice inadempienza del datore di lavoro e quindi si è in presenza di un debitore che, a differenza del caso di cui all’art. 2958 c.c., è stato totalmente inadempiente, non avendo egli eseguito neanche la prestazione alternativa (costituzione della rendita) prevista dalla legge.

 

Infine, un’ultima riflessione.

Se la Legge ha voluto attribuire al lavoratore il diritto di costituirsi da sé la rendita che avrebbe dovuto costituire il datore di lavoro, questo è perché evidentemente l’esigenza del lavoratore di ottenere una somma pari all’ammontare dei contributi non versati è stata ritenuta particolarmente meritevole di tutela, e ciò in virtù dell’art. 38 della Costituzione, il quale riconosce ai lavoratori il diritto a “che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

Il datore di lavoro, essendosi reso inadempiente dapprima all’obbligo del versamento dei contributi e poi a quello della costituzione della rendita, ha violato per due volte un preciso diritto costituzionale del lavoratore, il quale, per ottenere la piena reintegrazione in quest’ultimo, si vede adesso costretto a costituirsi da solo un fondo pari alle somme non erogate, ferma restando l’azione risarcitoria contro il datore di lavoro.

Ebbene, quando un diritto è protetto da una norma costituzionale, deve ritenersi che qualsiasi violazione del medesimo sia in contrasto con una norma avente carattere “imperativo”, poiché solo in questo modo può giustificarsi la preminenza della norma costituzionale sulle norme della legge ordinaria.

Se un contratto, oppure anche un fatto illecito (e tale è l’inadempimento agli obblighi contributivi), contrasta con una norma imperativa, il risultato è quello dell’imprescrittibilità dell’azione giudiziale volta a far accertare tale contrasto e ad ottenere pertanto la piena reintegrazione del diritto protetto dalla norma violata.

Allora, imprescrittibile dovrebbe essere anche la facoltà del lavoratore di riconquistare a proprie spese (vedi la costituzione della rendita di cui all’art. 13 comma 4 della Legge) il diritto sopra citato, ossia di utilizzare a tal fine, anziché l’azione giudiziale, uno strumento messo direttamente a disposizione dal legislatore