Il controllo a distanza dei lavoratori prima e dopo l’introduzione del Jobs Act - Parte III
Il controllo a distanza dei lavoratori prima e dopo l’introduzione del Jobs Act: parte III
Il controllo a distanza
All’art. 41 la Costituzione afferma il principio secondo cui “l’iniziativa economica privata è libera”, e poi continua affermando che “Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
L’art. 2086 del codice civile sottolinea come “l'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”.
Il lavoratore, invece, è tenuto ad eseguire le proprie mansioni con diligenza osservando – come espressamente afferma l’art. 2104 c.c. - “le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.
Il datore di lavoro, dunque, esercita sul lavoratore un potere di controllo consistente nell’impartire direttive sull’attività lavorativa e che, in caso di inosservanza da parte del lavoratore, può sfociare – a norma dell’art. 2016 c.c. - in una sanzione disciplinare.
Il controllo sulla diligenza seguita dal lavoratore nell’espletamento delle proprie mansioni è espressamente previsto, ma con delle limitazioni.
L’art. 4 della legge n. 300/1970, vieta quel controllo attuato con strumenti tecnologici che permettono al datore di lavoro di sorvegliare l’operato del dipendente anche in assenza del datore di lavoro stesso o di un suo collaboratore. Assenza che deve essere intesa in termini di tempo e di luogo. Sono queste le caratteristiche che distinguono i controlli a distanza da altre tipologie di controllo attuate mediante il c.d. controllo umano attraverso l’utilizzo di personale di vigilanza e di guardie di sicurezza.
Il controllo del datore di lavoro: evoluzione normativa
Il codice civile del 1865 poneva al centro dell’impianto l’oggetto del contratto, contrapponendo le energie lavorative al risultato secondo un approccio tipicamente formale.
Da questo tipo di approccio si era arrivati ad uno di tipo sostanziale, fondato sulla dipendenza del lavoratore al datore di lavoro.
L’impresa si era assestata su un’impresa di tipo gerarchico che trovava il suo pilastro nella sottomissione del lavoratore agli ordini del datore di lavoro in cambio di un corrispettivo. Il lavoratore era considerato alla stregua di un fattore di produzione, sopraffatto da doveri verso il datore e a cui erano quasi del tutto disconosciuti diritti e tutele.
“Se l’inseparabilità del lavoro dalla persona del lavoratore si poteva considerare bene o male acquisita dalla cultura giuridica di casa nostra già prima della Grande Guerra, restava invece molta strada da fare per sradicare il contratto di lavoro dal terreno della formale
eguaglianza delle parti, immettendo nel contratto la considerazione della sostanziale diseguaglianza del lavoratore, ed accentuando il profilo personalistico, ovvero l’implicazione della persona, nel rapporto di lavoro”[1].
Il nuovo codice civile del 1942 incorpora la disciplina del diritto del lavoro in quella del diritto privato: si supera la concezione precedentemente accolta della ricomprensione nello schema della locatio del contratto di lavoro subordinato. Ciò ha comportato anche un maggiore riconoscimento al lavoratore dell’essere prima di tutto persona. Il diritto del lavoro viene ad assolvere, quindi, la funzione di tutela del lavoratore subordinato intervenendo sulla ineguaglianza delle parti derivante dal contratto di lavoro e ciò grazie alla presa di coscienza dell’esistenza di un contraente debole da tutelare.
Infatti, il legislatore del 1942 si trovava di fronte due linee di pensiero, elaborate ormai compiutamente dalla dottrina italiana dopo il 1920, in ordine alla nozione di subordinazione che, concentrando l’attenzione sull’interesse del creditore-utilizzatore, piuttosto che sull’attività del debitore-locatore, si dividevano sull’alternativa se (e, quindi, se coincidesse con l’interesse dell’impresa oggettivamente considerata) o con la disponibilità senza aggettivi, e quindi generica, delle energie lavorative[2].
La presenza di queste due contrapposte teorie ha comportato l’incorporazione della componente della collaborazione nell’art. 2094 c.c. del codice del 1942.
L’art. 2094 del codice è la norma che cristallizza la nozione di prestatore di lavoro subordinato come “chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.”
Come affermato da autorevole dottrina: “Le ambiguità e le vere e proprie anfibologie della definizione di cui all’art. 2094 non hanno impedito alla dottrina tradizionale di ricercare ed individuare una nozione di subordinazione”[3]: e ciò è stato compiuto enfatizzando il concetto di collaborazione, libero da ogni nesso con il corporativismo, e quello di eterodirezione. Si parla, a riguardo, di subordinazione tecnico–funzionale.
Il concetto di eterodeterminazione della prestazione fa riferimento al potere del datore di lavoro di dirigere la prestazione verso un risultato a sé utile[4]. Dunque, la locuzione “sotto la direzione” indica il potere in capo all’imprenditore di modificare unilateralmente e successivamente le modalità di esecuzione della prestazione stabilite ab origine nel contratto di lavoro.
Mentre il riferimento al fatto che il prestatore di lavoro deve trovarsi “alle dipendenze” dell’imprenditore esprime bene l’agire del prestatore di lavoro nell’interesse del datore una volta sottoscritto il contratto, in quanto il prestatore è alle dipendenze del datore.
In definitiva, il codice del 1942 ha tipizzato la subordinazione come criterio di qualificazione del contratto[5].
Il codice civile del 1942
Con l’entrata in vigore del codice del 1942, il legislatore riserva alla disciplina del lavoro il Libro V del codice. In particolare, nel titolo II capo I sezione III sono inseriti alcuni articoli che si riferiscono al potere di controllo del datore di lavoro: l’art. 2104 è rubricato “diligenza del prestatore di lavoro”; l’art. 2105 è rubricato, invece, obbligo di fedeltà; l’art. 2106 riguarda, invece, le “sanzioni disciplinari”.
Gli articoli 2104 e 2105 contengono i doveri del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, di cui si tiene conto - nell’esercizio del potere di
controllo datoriale – come parametri valutativi della condotta del lavoratore.
Dunque, a norma dell’art. 2104 comma 1 c.c. il lavoratore per adempiere la propria prestazione deve utilizzare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale.
Deve, inoltre, conformarsi – secondo quanto disposto dal comma 2 - alle direttive impartite dal datore di lavoro e dai suoi collaboratori per l’esecuzione e la disciplina del lavoro.
Secondo il disposto dell’art. 2105 c.c., invece, il prestatore di lavoro ha un obbligo di fedeltà nei confronti del datore che si sostanzia nel non trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, nel non divulgare notizie riservate attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, e nell’impossibilità di utilizzare tali informazioni in modo da poter recare pregiudizio all’impresa.
Il legislatore del codice del 1942 attribuisce considerevole importanza all’interesse dell’impresa e dell’imprenditore in quanto capace di produrre capitale e ciò anche in ottica dell’interesse superiore della produzione nazionale e, dunque, del benessere della nazione. Questa visione era frutto del periodo storico in cui nasce il codice: si può ben comprendere che nel periodo fascista, basato su una concezione corporativista dello Stato, l’imprenditore era solo un mero mezzo per la produzione della ricchezza per la nazione, oltre che per se stesso. Questa meritevolezza sul piano economico lo rendeva automaticamente meritevole di tutela a svantaggio dei lavoratori.
A riprova di quanto si è affermato, al lavoratore viene richiesto un alto grado di diligenza, buona fede e correttezza nell’esecuzione della prestazione lavorativa rispetto ad altri soggetti passivi di rapporti obbligatori presi in considerazione nel codice.
Dimostrazione del favor del legislatore nei confronti del datore di lavoro può riscontrarsi anche nell’art. 2106: l’articolo sancisce che l’inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 2104 e 2105 può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione.
Il potere dell’imprenditore di sanzionare egli stesso l’inosservanza dei doveri posti in capo al prestatore di lavoro, mediante la possibilità di irrogare le sanzioni disciplinari è un’eccezione nel panorama privatistico: l’ordinamento consente ad un soggetto privato una forma di autotutela in risposta ad una condotta illegittima proveniente da un altro soggetto privato ad egli subordinato senza rivolgersi ad un giudice che lo appuri.
Inoltre bisogna osservare come l'art. 2106 pone come unico limite al datore di lavoro nell'espletamento del potere disciplinare quello della proporzionalità tra inadempimento e sanzione. È necessario sottolineare, tuttavia, che lo Statuto dei lavoratori stabilisce degli ulteriori limiti a questo potere di controllo, effettuati mediante la procedimentalizzazione dei poteri dell’imprenditore (ad esempio attraverso il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali o attraverso l’espletamento di procedure amministrative) e la trasformazione del potere di controllo sul lavoratore considerato come persona da assoluto e arbitrario a controllo sulla prestazione lavorativa effettuato entro precisi limiti di legge.
La Costituzione, il Principio lavorista e il diritto alla privacy
L’avvento della Costituzione nel 1947 è da considerare come una vera e propria rivoluzione del diritto e della società: con essa si abbandona la precedente visione corporativistica propria dello stato fascista in cui – come si è già avuto modo di affermare nel precedente paragrafo - il lavoro era considerato attività dedicata allo scopo produttivo dello Stato e si accoglie una prospettiva democratica; finalmente si eleva la persona e la sua tutela a obiettivo primario dell’ordinamento. Si è, dunque, dato vita ad una nuova fase del diritto del lavoro – quella della costituzionalizzazione - incentrata sulla rilettura dei principi fondanti il diritto del lavoro in chiave costituzionale.
Numerosi articoli della Costituzione disciplinano il lavoro, ciò evidenzia il particolare rilievo che la Carta conferisce al lavoro, tanto da essere uno dei principi fondamentali.
Infatti la norma di apertura della Carta Costituzionale – l’art. 1 - si occupa della materia del lavoro riconoscendo il c.d. principio lavorista: la Repubblica è fondata sul lavoro. Ma non è l’unico articolo della
Costituzione relativo al lavoro. All’art. 1, infatti, seguono:
- l’art. 3, c. 2 secondo cui è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono l'effettiva partecipazione dei lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese;
- l’art. 4 sancisce che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto;
- l’art. 35 recita: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero”;
- l’art. 36 assicura, invece che: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”;
- l’art. 37 si occupa della situazione lavorativa femminile e dei minori affermando che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore, viene tutelato inoltre il lavoro dei minori con speciali norme e si garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione;
- l’art. 38, invece, dispone che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale e che i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria;
- l’art. 39: “L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”;
- l’art. 40 recita: “Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano”;
- l’art. 46 invece: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
Possiamo affermare richiamando la dottrina che la Costituzione assicura un sistema di tutele giuslavoristiche su due livelli[6]. Nel primo livello collochiamo tutte quelle norme che enunciano principi fondamentali e quindi: l’art. 35, l’art. 36, l’art. 37, l’art. 38, l’art. 39 e l’art. 40.
Nel secondo livello, invece, è ricompreso l’art. 117 della Costituzione collocato nel Titolo V: la disposizione, oggetto di modifica nel 2001 con la legge costituzionale n. 3, ribalta il precedente criterio di ripartizione delle materie di competenza dello Stato e delle Regioni elencando quelle appartenenti alla competenza dell’uno e quelle appartenenti alla competenza dell’altro.
Ma di estrema importanza, anche se non espressamente riferito al lavoro, è l'articolo 2 della Costituzione che afferma il principio: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. La norma, invero, si limita solo riconoscere i diritti inviolabili, senza specificarli.
Certamente è possibile affermare che rientrano nell’ambito del diritto del lavoro i diritti diretti che tutelano la persona del lavoratore e del datore di lavoro, al quale viene riconosciuto il diritto di proprietà enunciato all'art 41 della Carta.
La decisione dei Padri costituenti di non elencare in maniera espressa i diritti inviolabili, ma di creare piuttosto un catalogo aperto di diritti permette di arricchire e ricomprendere in questo catalogo, diritti che nascono con l'evolversi della società, senza la necessità di dover modificare il testo costituzionale[7].
Altro articolo costituzionale fondamentale è l'art 13 c 1: "la libertà personale è inviolabile". L'articolo della costituzione più "aggredito da presunti "nuovi diritti" è indubbiamente il 13, che, riconoscendo la libertà personale nel suo duplice aspetto di libertà fisica e libertà morale, tutela e garantisce una serie di "beni" giuridici strettamente attinenti alla propria persona: il diritto all'integrità fisica e psichica, il diritto alla vita, la libertà sessuale, il diritto di aborto, il diritto alla contraccezione”[8].
All'interno dell’inviolabilità della libertà personale enunciata nell'art. 13 si ricomprende il diritto alla privacy, concetto mutato col passare del tempo e dell’introduzione ed evoluzione delle nuove tecnologie – l’avvento di internet prima e la diffusione dei numerosi social network - lo rendono sempre più ostico da tutelare in maniera completa e assoluta.
L'articolo 13 della Costituzione è il manifesto del carattere liberale che permea l’intera carta costituzionale, poiché permette di tutelare la libertà personale di ogni individuo, ricomprendendovi nel suo ambito anche la sfera privata, riconducibile a quel right to be let alone teorizzato dai giuristi americani alla fine dell’Ottocento.
Anche l'articolo 14 è un articolo essenziale nella tutela della privacy, poiché tutela il domicilio; sarebbe impensabile poter affermare una tutela piena del diritto alla riservatezza se non si tutelasse il domicilio della persona, cioè quel luogo riservato allo svolgimento dell’attività privata o collettiva della persona.
L'articolo 15, invece, enuncia il diritto alla riservatezza della corrispondenza. In particolare, il disposto costituzionale recita: "La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge". La norma tutela specificamente la segretezza della corrispondenza poiché al tempo in cui la Carta venne formata, la corrispondenza era certamente il mezzo più diffuso per le comunicazioni. Ma è importante notare come la norma permetta l’ingresso ad altre forme di comunicazione, consentendo così di estendere la tutela dell’art. 15 anche a modelli di comunicazioni digitali, come l’email o le comunicazioni telefoniche. Attraverso questa estensione è, infatti, possibile apprestare tutela al lavoratore la cui privacy viene violata dall’ingerenza e dal controllo del datore nella sua casella di posta aziendale.
La Corte Costituzionale si è pronunciata numerose volte sulle comunicazioni telefoniche, affermando che il diritto alla riservatezza è assicurato ad ogni forma di comunicazione.
La Corte sostiene che “il riconoscimento e la garanzia costituzionale della libertà e della segretezza della comunicazione comportano l'assicurazione che il soggetto titolare del corrispondente diritto possa liberamente scegliere il mezzo di corrispondenza, anche in rapporto ai diversi requisiti di riservatezza che questo assicura sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello giuridico. E non v'è dubbio che, una volta che una persona abbia prescelto l'uso del mezzo telefonico, vale a dire l'utilizzazione di uno strumento che tecnicamente assicura una segretezza più estesa di quella riferibile ad altri mezzi di comunicazione (postali, telegrafici, etc.), ad essa, in forza dell'art. 15 della Costituzione, va riconosciuto il diritto di mantenere segreti tanto i dati che possano portare all'identificazione dei soggetti della conversazione, quanto quelli relativi al tempo e al luogo dell'intercorsa comunicazione”[9].
L'articolo 21 della Costituzione tutela la libertà di pensiero: nell’ambito del diritto del lavoro questa tutela si esplica nella possibilità per il lavoratore di esprimersi liberamente sul luogo di lavoro; a questa previsione corrisponde il divieto imposto al datore di lavoro di indagine sulle opinioni politiche, religiose, sindacali e su fatti non rilevanti con l'attività lavorativa espressamente previsto dall'art. 8 dello Statuto dei Lavoratori.
L'art 32, infine, sancisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività.
Per il tramite dell'art. 32 è permesso al datore svolgere dei controlli – in particolare i controlli sanitari - sui lavoratori, cioè eseguiti al fine di accertare lo stato di salute del lavoratore.
Nell’ambito del diritto alla riservatezza applicato al diritto del lavoro (nella species al controllo datoriale) assumono rilievo gli articoli 39, 41 e 42 della Costituzione.
L'art. 39 al primo comma afferma che l'attività sindacale è libera. Dalla lettura di questo comma si comprende come la Carta prenda le distanze dal precedente assetto corporativista dello Stato fascista. Nell’ambito dei controlli datoriali l'attività sindacale è un elemento essenziale soprattutto nell’ambito di quei controlli definiti a distanza disciplinati dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori. Le organizzazioni sindacali hanno infatti l’obiettivo di bilanciare la riservatezza del prestatore di lavoro con la necessità di controllare lo svolgimento dell’attività lavorativa in capo al datore di lavoro.
A causa dell’evoluzione continua delle nuove tecnologie, i controlli a distanza risultano più penetranti ed estesi.
È, infatti, previsto che le organizzazioni sindacali, devono stipulare con il datore di lavoro un accordo per fissare le modalità di controllo a distanza in tema di controlli a distanza per esigenze organizzative e produttive dell’impresa o riguardanti la sicurezza sul lavoro. Il datore di lavoro ha la possibilità di consultare la commissione interna o all’ispettorato del lavoro, solo nel caso in cui le organizzazioni sindacali non sono presenti o l'accordo, nonostante il tentativo, non è giunto a conclusione.
L’articolo 41, invece, riconosce che l'iniziativa economica privata è libera e, dunque, concerne l'espletamento dell'attività imprenditoriale in generale. L’articolo 42 riconosce la proprietà privata e afferma che questa è garantita dalla legge. Per mezzo di queste norme si legittima la tutela anche ai beni fondamentali affinché l'imprenditore possa svolgere l'attività economica.
I controlli difensivi sono legittimi se non si spingono fino ad ingerirsi nella sfera privata del lavoratore, nel controllo dei suoi dati personali; la finalità di tali controlli deve essere giustificata dall’esigenza di proteggere il patrimonio dell’imprenditore.
Le fonti sovranazionali
In ambito sovranazionale al termine della seconda guerra mondiale si era manifestata l’esigenza di tutela della persona e dei diritti inviolabili che si riferiscono alla persona.
Ciò aveva portato all’emersione dei diritti sociali, nel cui ambito era ricompreso il diritto al lavoro, all’istruzione e alla formazione professionale[10].
Sul livello internazionale, l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) tutela il lavoratore, anche da eventuali sfruttamenti compiuti dal datore. Dell’organizzazione fanno parte tutti gli stati membri delle Nazioni Unite.
Nell’ordinamento italiano, invece, assume maggior valore la normativa comunitaria. I principi fondamentali sono nell’ambito comunitario sono esplicitati nel Trattato di Lisbona firmato nel 2007, ma entrato in vigore solo nel 2009. Tra le importanti norme enunciate nel trattato ha grande rilievo l’art. 153 TFUE, che fissa - tra i preminenti obiettivi da raggiungere in ambito di diritto del lavoro – alla lettera a) il miglioramento dell'ambiente di lavoro a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori; alla lettera c) la sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori; alla lettera f) la rappresentanza e la difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Lo Statuto dei Lavoratori
L’affermazione nella Costituzione Repubblicana di un insieme di diritti, anche se non direttamente ed espressamente riferibili alla tutela della privacy e al controllo dei lavoratori, ha comportato l’inizio di una rivoluzione nell’intendere il lavoro e il lavoratore talmente importante da condizionare la successiva produzione normativa in materia. La più importante legge che si ispira ai principi affermati in costituzione è lo Statuto dei Lavoratori approvata il 20 Maggio del 1970 (legge 300/1970) che nasce in seguito alle vicende iniziate nel 1969 del c.d. autunno caldo[11].
Lo Statuto dei Lavoratori viene, dunque, emanato per garantire ai lavoratori i dovuti diritti e le garanzie nello svolgimento della prestazione lavorativa, ma anche per fermare le accese proteste di quegli anni che avevano comportato l'occupazione delle fabbriche e un fermo alla produzione delle imprese. La legge 300 del 1970 contiene quindi le prime norme di tutela dei lavoratori: norme pregnanti che all’enunciazione dei diritti dei lavoratori, affiancano limiti a cui deve attenersi il datore o dei procedimenti che devono essere seguiti affinché l’esercizio del potere datoriale possa considerarsi legittimo.
Ma è bene chiarire sin da subito che lo Statuto dei lavoratori non ha vietato in toto il potere di controllo del datore di lavoro, "ma ne ha semplicemente regolato i limiti di esercizio, al fine esclusivo di tutelare la dignità del lavoratore e di depurare l'attività di vigilanza dagli aspetti più odiosi, subdoli e polizieschi"[12].
Per quanto concerne il binomio controllo e privacy il riferimento si rinviene nel Titolo I dello Statuto dei lavoratori e dalla rubrica "della libertà e dignità del lavoratore" si comprende bene come i diritti enunciati nello statuto siano attribuiti specificamente ai lavoratori, mentre se ne esclude il riconoscimento in capo alle organizzazioni sindacali[13]. Inoltre, il cambiamento apportato dallo Statuto rispetto al passato è talmente dirompente che è possibile distinguere un prima e un dopo lo Statuto: prima dell’entrata in vigore della legge 300 del 1970 il lavoratore era sottoposto ad un incondizionato potere di controllo del datore di lavoro; dopo l’entrata in vigore della legge, invece, si ha l’affermazione di diritti inviolabili da parte di qualsiasi tipologia di potere datoriale al fine di tutelare la libertà e dignità della persona. Ciò emblematico della considerazione del lavoratore anche come persona alla quale devono essere assicurati i diritti che trovano tutela anche nell'art. 2 della Costituzione.
Gli articoli che si occupano di tutelare la libertà e la dignità del lavoratore vanno dall’articolo 2 all’articolo 8.
Gli art. 2 e 3 si occupano dei soggetti che operano il controllo: questi sono le guardie giurate e il personale di vigilanza. La decisione del legislatore di disciplinare queste categorie di soggetti in due diversi articoli è individuabile nella non sovrapposizione di questi soggetti, essendo distinto il fine del controllo: il primo riguarda la tutela dei beni aziendali, il secondo la prestazione di lavoro.
L'art. 2 dello Statuto recita: "il datore di lavoro può impiegare le guardie giurate (…) soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale”.
Il comma 2 invece: “Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale”.
Al comma 3: “È fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull'attività lavorativa le guardie giurate di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma, in caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle disposizioni di cui al presente articolo, l'Ispettorato del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi".
La tutela del patrimonio aziendale viene apprestata, dunque, mediante l'ausilio delle guardie giurate: si legittimano con questa disposizione i controlli difensivi, con il limite del controllo dei lavoratori per il tramite delle guardie giurate. Il divieto è rivolto, a norma del comma 3, al datore di lavoro e alle guardie giurate: il comma in esame prevede l’applicazione di sanzioni a carico della guardia giurata in caso di
inosservanza dei limiti fissati dall’articolo.
L'art. 3 dello Statuto, invece, recita: "I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati".
L'art. 3 permette, dunque, al datore di lavoro di incaricare soggetti terzi per l’effettuazione del controllo, obbligandolo – e questo è l’unico limite previsto dalla norma - a riferire chi espleta le funzioni di vigilanza.
Questa delega alle funzioni di vigilanza si ha soprattutto in quei contesti lavorativi caratterizzati da dimensioni aziendali medio – grandi, in cui è impensabile che il datore riesca a svolgere simili controlli sena un ausilio.
L’art. 3 deve essere letto in combinato disposto con il successivo art. 4 che disciplina gli impianti audiovisivi.
L’art. 4 è una norma assolutamente necessaria al fine di vietare tutte le possibili forme di controlli occulti, che altrimenti troverebbero facilmente ingresso a causa della continua e inarrestabile evoluzione delle nuove tecnologie, per cui si permette l’ingresso delle nuove tecnologie per effettuare i controlli a distanza solo in casi tassativamente previste dalla legge e solo a seguito di una procedura a garanzia dei lavoratori effettuata alla presenza delle rappresentanze sindacali, o con le commissioni interne o con l'ispettorato del lavoro. Ora, è ovvio come l’art. 4 debba essere contestualizzato e compreso nell’ottica e con le apparecchiature esistenti nel periodo in cui è stato emanato: nel 1970 le tecnologie non erano ancora così sviluppate come oggi per cui la norma era stata pensata in maniera specifica per le telecamere, per vietare l'uso indiscriminato delle stesse. La norma ovviamente ha subito l’emersione delle moderne tecnologie che potenzialmente permettono l’ingresso a tipologie di controlli molto invasivi, poiché rendono possibile il controllo stesso su qualsiasi attività lavorativa, e in alcuni casi anche fuori dai luoghi di lavoro: il riferimento è, in particolare, al controllo effettuato sul telefono satellitare o sul gps inserito nel mezzo di trasporto ad uso privato-lavorativo[14].
L’art. 4 è successivamente stato modificato ad opera del d.lgs. n. 151 del 2015, il c.d. jobs act, che ha apportato delle modifiche all’originaria norma di cui si tratterà in seguito. In questa sede basta rilevare come la scrittura in termini generici dell’art. 4 permetteva di ricomprendere ogni nuovo mezzo di controllo – come la posta elettronica e l’accesso a internet - tranne quelli svolti dai soggetti disciplinati nell'art 3.
L’art 5 dello Statuto dei Lavoratori, invece, regolamenta i controlli sanitari, facendo divieto dei controlli diretti del datore di lavoro sul lavoratore.
Il primo comma vieta in maniera assoluta gli accertamenti sanitari sul lavoratore compiuti personalmente dal datore di lavoro: “sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sull’idoneità e sull’infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente”.
I commi successivi individuano i soggetti destinatari del potere di svolgere gli accertamenti.
Il comma secondo individua l’organo competente nei servizi ispettivi degli istituti previdenziali che sono tenuti a svolgerlo a richiesta dal datore di lavoro.
Il comma terzo, invece, riserva la possibilità di controlli sulla idoneità fisica del lavoratore ad enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.
Questi soggetti presentano, infatti, il carattere della neutralità rispetto ad altri che hanno un nesso di dipendenza dal datore di lavoro e che, quindi, potrebbero essere influenzati nel giudizio. Parte della dottrina al riguardo sostiene che il sistema di controllo creato dallo Statuto si differenzia profondamente dal precedete assetto, che si presentava fortemente squilibrato e dettato in favore del datore di lavoro, per una così pressante ricerca della neutralità degli accertamenti da renderli, in alcuni casi, complessi.
Questo divieto di accertamento dello stato di salute del lavoratore opera già nella fase di assunzione e poi successivamente nel momento in cui il rapporto di lavoro è già costituito.
L’articolo 6 disciplina, invece, le visite personali di controllo, cioè quei controlli che avvengono direttamente sulla persona del lavoratore con il fine di tutelare il patrimonio aziendale. I controlli devono essere eseguiti solo se assolutamente necessari e sempre nel rispetto della dignità del lavoratore.
Al comma 1 si prevede che: “le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti”.
Al comma 2 si specifica che “In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori.”
Gli ultimi due commi, invece, prescrivono la necessità che vi sia un previo accordo, sui controlli, con le rappresentanze sindacali o commissioni interne o con l’ispettorato del lavoro; è, inoltre, prevista la procedura da seguire nel caso di impugnazione dei provvedimenti dell’ispettorato del lavoro.
La norma, in sintesi, effettua un bilanciamento tra il dritto del datore di procedere al controllo del patrimonio aziendale con i diritti alla riservatezza e alla dignità del lavoratore[15].
L'art. 7 dello Statuto si occupa delle sanzioni disciplinari.
Il datore di lavoro, infatti, nell’esecuzione del suo potere di controllo può appurare una violazione del prestatore di lavoro: in questo caso il datore ha la facoltà di emanare sanzioni disciplinari nei confronti del lavoratore inadempiente. Non vi è, ovviamente, libertà del datore di lavoro nella scelta e nella procedura da seguire nell’irrogare la sanzione disciplinare: egli deve seguire la procedura dettata all'articolo 7, ispirata ai principi di trasparenza e del contraddittorio. È prevista la pubblicazione di un codice disciplinare dove vengono descritte le infrazioni che verranno comminate nel caso di violazione: si deve, infatti, mettere il lavoratore nelle condizioni di conoscere le conseguenze delle sue violazioni.
È, inoltre, prevista una procedura di contestazione dell'addebito al lavoratore: nel caso di violazioni da cui discende la comminazione di sanzioni più gravi del semplice rimprovero verbale, è previsto che il datore di lavoro attenda cinque giorni dalla contestazione, prima di irrogare la sanzione. In questi cinque giorni il lavoratore potrà raccogliere prove a sua discolpa e chiedere l’assistenza dei sindacati[16].
Come norma di chiusura della disciplina a tutela della dignità e libertà del lavoratore vi è l’articolo 8 dello Statuto, che sancisce il divieto di indagine sulle opinioni del lavoratore: “È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore”.
La norma è la trasposizione nell’area giuslavorista del principio fissato, in termini generali, all’articolo 21 della Carta Costituzionale[17].
La libertà di opinione del lavoratore è assicurata sin dalla fase di assunzione e, successivamente, nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro.
[1] M.V. BALLESTRERO, Le “energie da lavoro” tra soggetto e oggetto, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT - 99/2010; S. CANESTRARI – G. FERRANDO - C.M. MAZZONI – S. RODOTÀ – P. ZATTI (a cura di), Trattato di biodiritto. Il governo del corpo, Milano, 2011.
[2] R. PESSI, Lezioni di diritto del lavoro, Torino, 2016, p. 19.
[3] O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Milano, 2013, p.48.
[4] O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Milano, 2013, p.47.
[5] L. MENGONI, L’evoluzione del pensiero di L. Barassi dalla prima alla seconda edizione del “contratto di lavoro”, in Id. Il contratto di lavoro di M. NAPOLI, Milano, 2004, p. 126.
[6] C. MORTATI, Commento all’art. 1 della Costituzione, in Commentario della Costituzione, C. BRANCA (a cura di), 1° Vol., Artt. 1-12: principi fondamentali, Bologna, 1975.
[7] Sono stati ritenuti riconducibili alle garanzie dell’art. 2 il “diritto alla vita”, il diritto “all’identità personale”, la libertà personale che ricomprende anche la libertà morale del soggetto, il diritto d’informazione, l’obiezione di coscienza: tutti questi diritti sono stati enunciati dalla corte costituzionale.
[8] A. BALDASSARE, Diritti della persona e valori costituzionali, Torino, 1997 pp. 56.
[9] Corte Costituzionale n. 81/1993, su https://www.giurcost.org/decisioni/1993/0081s-93.html.
[10] R. PESSI, Lezioni di diritto del lavoro, Torino, 2016.
[11] L’autunno caldo è un periodo caratterizzato da forti lotte e proteste sindacali operaie che, iniziate già nella metà degli anni ’60, culminano nell’autunno del 1969 (da cui la denominazione di “autunno caldo”, anche se il 1969 viene altresì definito “l’anno delle tute blu” dal colore delle divise indossate dagli operai coinvolti negli scioperi). La città probabilmente più interessata dagli scioperi fu Torino, a causa dello stabilimento Fiat a cui appartenevano buona parte degli scioperanti. Nel dicembre del 1969 si arrivò alla firma di accordi concernenti aumenti di stipendio e il diritto di riunirsi in assemblea.
[12] F. TOFFOLETTO, Nuove tecnologie informatiche e tutela del lavoratore, Milano, 2006, p. 5.
[13] Con ciò non si vuole affermare che lo Statuto non si occupi delle organizzazioni sindacali, ma solo che dedica loro il Titolo III.
[14] A. AMBROSINO - F. CASTIGLIONE, Nuove forme di controllo a distanza dell'attività lavorativa: aspetti sostanziali e processuali della disciplina statutaria, in Lavoro e previdenza oggi, fasc. 7-8.
[15] F. BANO, Alcune note sulle visite personali di controllo, nota a Cass. sez. Lav. 29 Ottobre 1999, n. 12197, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2000, fasc. 3.
[16] G. PERA, Commento allo Statuto dei diritti dei lavoratori, Padova, 1972.
[17] Art. 21 Cost.: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”.