Il controllo a distanza dei lavoratori prima e dopo l’introduzione del Jobs Act
Il controllo a distanza dei lavoratori prima e dopo l’introduzione del Jobs Act: parte i
confronto tra la disciplina originaria e quella attuale alla luce dell’emersione delle nuove tecnologie
Abstract: Il controllo a distanza è quel controllo che viene effettuato dal datore di lavoro mediate l’utilizzo di dispositivi elettronici collocati nell'azienda. Questo tipo di controllo può essere effettuato in qualsiasi momento e da qualunque luogo, anche lontano dalla sede dell’azienda, consentendo dunque di accertare il comportamento dei sottoposti senza la necessaria presenza fisica del datore di lavoro.
Esigenze di riforma: il contesto che fa da innesco all’art. 23 del d.lgs. n. 151/2015
Lo Statuto dei Lavoratori - Legge 20 maggio 1970 n. 300, recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” - nel periodo in cui entrò in vigore, era una normativa attuale, innovativa e unica nel panorama giuslavorista italiano. Mirava a regolamentare e limitare l’uso delle telecamere, considerate in quell’epoca come uno strumento particolarmente incisivo. Tuttavia, i progressi a livello tecnologico si sono evoluti velocemente dando origine a nuovi strumenti che condizionano anche l’ambito lavorativo. Tra le evoluzioni tecnologiche di quel periodo possiamo ricordare: l’Olivetti Programma 101, il primo “desktop computer” definito anche come il primo “personal computer” della storia, il primo microprocessore, l’invenzione della Olivetti ET 101 (ossia la prima macchina da scrivere completamente elettronica al mondo), la creazione e la successiva diffusione di Internet e dei suoi servizi agli inizi degli anni novanta e i telefoni cellulari.
L’emersione di fattispecie del tutto nuove, che il legislatore del 1970 non era neanche lontanamente in grado di prevedere, conseguenza dell’evoluzione dei tempi, ha determinato l’inadeguatezza dello Statuto dei Lavoratori a far fronte all’emersione di nuove apparecchiature elettroniche e ad approntare la giusta tutela al lavoratore contro cui sono utilizzati.
In particolare, ad essere caratterizzato da questa inadeguatezza a far fronte ai nuovi strumenti è soprattutto l’art. 4 dello Statuto: dalla sua rubrica, che infatti recitava “impianti audiovisivi”, si comprende l’incapacità della norma a ricomprendere nel suo raggio di azione forme di controllo nate successivamente e diverse da quelle già presenti. Da ciò è derivata l’esigenza di aggiornare lo Statuto al fine di renderlo idoneo a disciplinare i risultati dell’evoluzione tecnologica.
Oggi le forme di controllo sono cresciute esponenzialmente e l’utilizzo delle telecamere, di cui si preoccupava il legislatore del 1970, sono diventate uno degli strumenti tecnologici meno invasivi tra quelli creati successivamente, poichè si tratta di una forma di controllo non occulto. Bisogna ammettere però che le telecamere di ultima generazione possono essere di dimensioni limitate e possono apparire spente ad un osservatore esterno; ma esistono anche apparecchiature di controllo non visibili che consentono di geo-localizzare una vettura e di risalire alle attività compiute; i sensori di presenza fisica, gli impianti di monitoraggio a distanza, i sistemi di videosorveglianza intelligente, i braccialetti elettronici indossabili per la rilevazione dei movimenti fisici, i software in grado di memorizzare qualsiasi attività, lavorativa e non, svolta dai lavoratori (il c.d. bossware). Le strumentazioni tecnologiche necessarie per l’esecuzione di molteplici prestazioni lavorative, sono però strumenti che comportano “il monitoraggio costante delle attività lavorative nonché l’immagazzinamento di grandi quantità di dati sugli utilizzatori, accentuando di gran misura il rischio per il lavoratore di essere sottoposto a controlli occulti e invasivi”[1].
Per tutte queste ragioni l’art. 4 è stato riformato dall’art. 23 del d.lgs. n. 151 del 2015: il c.d. Jobs Act.
L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori come effetto del Jobs Act
Il Legislatore con la legge n. 183/2014 ha delegato il Governo a emanare uno o più decreti legislativi, con i quali realizzare “una revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive e organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore” (Art.1, comma 7 lett. f), della legge delega n. 183/2014).
La rimodulazione dei controlli: il nuovo comma 1
La prima novità apportata dalla nuova normativa è individuabile nella rubrica.
Dalla rubrica dell’originario art. 4 “impianti audiovisivi”, espressione poi ripresa anche nel corpo del testo, è possibile comprendere con facilità l’ambito di applicazione della norma: l’art. 4, infatti, è stato concepito soprattutto per le telecamere aziendali a circuito chiuso associate alle catene di montaggio.
Con la nuova formulazione dell’art. 4 si è sostituita la rubrica presente nella precedente formulazione con una più ampia “gli impianti audiovisivi e gli strumenti di controllo”[2]. L’incipit dell’art. 4, in particolare, parla di “gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”. Il termine “strumenti” deve essere riferito sia all’hardware, ossia lo strumento di lavoro come ad esempio il computer, che al software, ossia i programmi a cui accede il lavoratore, gli applicativi informatici.
La nuova formulazione della norma è connotata da una considerevole capacità di adeguamento agli strumenti che verranno via via introdotti a causa del progresso tecnologico. È da notare, tuttavia, che anche prima della nuova elaborazione, la giurisprudenza aveva permesso la tutela di strumenti tecnologici non ricompresi nella norma affermando che questi dovevano considerarsi inclusi in quelle “altre apparecchiature” di cui parlava la norma, leggendo questa locuzione come una clausola aperta. Infatti, sono stati assoggettati alla disciplina del vecchio art. 4, comma 2, dello Statuto, le telecamere che riprendono anche l’attività dei lavoratori[3], gli scanner che permettono di memorizzare e verificare i dati delle casse dei supermercati, i dischi installati sulle macchine di lavorazione e collegati a un registratore “Kienzle” (che permettono di valutare ex post il funzionamento delle macchine utilizzate dai lavoratori e, quindi, l’efficienza, la tempestività e le pause di lavoro degli operai). Rientrano nella categoria “strumenti” anche le numerose tipologie di software che comportano controlli sull’attività dei lavoratori: a riguardo bisogna evidenziare come prima della modifica normativa questi software si facevano rientrare nel concetto di apparecchiature.
Negli anni '80 la giurisprudenza aveva ricondotto alla disciplina statutaria “i programmi operanti su elaboratori elettronici, utilizzati in modo da riportare su tabulati il codice di identificazione del singolo addetto al videoterminale unitamente a una serie numerosa di dati che riguardano il funzionamento del computer e che consentono (…) di ottenere un quadro estremamente analitico dei tempi e delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa”[4]; ma anche i sistemi informatici di rilevazione automatica e in tempo reale, delle operazioni di sportello e i programmi informatici che monitorano la posta elettronica e gli accessi a Internet.
Nonostante le ipotesi previste nell’art. 4 dello Statuto restano comunque illecite le ipotesi di installazione e impiego di strumenti che hanno la funzione di controllare a distanza l’attività dei lavoratori e che in nessun modo riguardano l’organizzazione, la produzione, la sicurezza del lavoro e la tutela del patrimonio aziendale. Rimangono, invece, totalmente legittimi gli strumenti di utilità aziendale, e che non ricomprendono la sorveglianza a distanza dell’attività dei lavoratori.
Inoltre, in entrambe le formulazioni dell’art. 4 si fa riferimento al controllo “dell’attività dei lavoratori”, a differenza degli articoli 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori - che disciplinano la materia dei controlli sui lavoratori effettuati per mezzo delle guardie giurate e del personale di vigilanza – fanno riferimento ai controlli “dell’attività lavorativa dei lavoratori”. È palese che il concetto di attività dei lavoratori è più ampio rispetto a quello dell’attività lavorativa dei lavoratori.
Da ciò discende “che il legislatore ha voluto tutelare maggiormente i lavoratori laddove i controlli sono effettuati da persone non in via diretta ma in via indiretta (“a distanza”), mediante l’impiego di impianti audiovisivi ed altri strumenti tecnologici”[5].
Le altre modifiche di rilievo apportate dal Jobs Act all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori riguardano:
la scomparsa dalla nuova disposizione del divieto assoluto di controlli intenzionali sancito, invece, al comma 1 della precedente formulazione dell’art. 4 (“È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.”), che è stato “sostituito dal concetto di permesso condizionato”[6] (“Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente (…)”).
Ma la scelta del Legislatore delegato di non ribadire nella nuova formulazione della norma l’espresso divieto non si traduce nell’ammissibilità nei rapporti tra datore e lavoratore di forme illimitate di controlli a distanza sull’attività dei lavoratori. Esplicita il comma 1, infatti, che “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”. Il comma presenta una struttura opposta a quella del precedente art. 4: il divieto dei controlli a distanza viene ricavato, nella nuova formulazione, a contrario.
L’impiego dell’avverbio esclusivamente indica che l’installazione di strumenti di controllo a distanza sui lavoratori è ammessa solo per finalità espressamente stabilite, per cui l’approntamento del datore di lavoro di controlli impiegati per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale è legittima; mentre è illegittima quella condotta datoriale volta al controllo della prestazione lavorativa dei propri dipendenti.
Invero, questa lettura dell’art. 4 in seguito alla riscrittura ad opera del Jobs act placa i timori delle organizzazioni sindacali che, all’indomani della pubblicazione dello schema di decreto legislativo ad opera del Governo, segnalavano una minore tutela del lavoratore rispetto alla normativa precedente.
Per quanto concerne i controlli preterintenzionali il nuovo art. 4, segue in parte il precedente comma 2, per cui dalla regola generale del divieto dei controlli a distanza intenzionali sono esclusi i controlli che, nell’impianto normativo originario dello Statuto, erano connessi alla finalità produttiva, organizzativa o legata alla sicurezza.
Il Legislatore ha, dunque, fatto convergere la regolamentazione di entrambe le tipologie di controllo in un solo comma.
Altra novità consiste nell’aver aggiunto l’esigenza di tutela del patrimonio, non contemplata nel testo originario dell’art. 4, alle consuete esigenze organizzativo – produttive e della sicurezza sul lavoro[7].
Mediante l’inserimento della nuova finalità di tutela del patrimonio tra le ragioni giustificatrici del controllo, la riforma ha determinata una “giuridificazione dei controlli a distanza difensivi”[8], che sono stati inseriti dal Legislatore nella categoria dei controlli preterintenzionali in ragione della stretta connessione tra le due tipologie di controlli. Controlli preterintenzionali e controlli difensivi permettono – anche se solo di riflesso e in via indiretta - la sorveglianza dell’attività lavorativa.
La previsione espressa di una preventiva autorizzazione amministrativa o di un accordo sindacale per l’installazione di impianti o apparecchiature dirette a tutelare il patrimonio aziendale, ha determinato la potenziale sovrapposizione delle due categorie di controllo. Da ciò deriverebbe l’esclusione dei controlli difensivi dal campo di applicazione dell’art. 4.
Tale rigorosità della nuova formulazione è “portatrice di chiarezza e semplificazione”, essendo stato espressamente previsto che gli strumenti che attuano il c.d. controllo a distanza possono essere utilizzati solo ed esclusivamente per gli scopi disciplinati dalla legge[9].
Le novità procedurali
Nel nuovo art. 4 St. lav. è stata mantenuta la scelta di subordinare i poteri del datore di lavoro in materia di controlli a distanza al procedimento di controllo sindacale o amministrativo. La nuova formulazione dell’art. 4 non si allontana molto dal testo originario: al primo comma dispone che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere installati (oltre che in presenza delle esigenze già esaminate) “previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell'Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi”.
Il Legislatore con l’introduzione della nuova disciplina ha perseguito l’obiettivo di semplificare la procedura di autorizzazione sindacale o amministrativa mediante una triplice novità.
In primo luogo, a livello degli accordi sindacali è previsto che l’installazione necessiti di un accordo con la R.S.U. o con le R.S.A.: la novità consiste nell’estensione alle R.S.U., poichè nel testo precedente si faceva menzione delle sole R.S.A.
In secondo luogo, nel caso di imprese radicate nel territorio di più province o di più regioni, l’accordo può essere stipulato con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. L’introduzione di questa novità permette alle imprese dislocate sul territorio di concludere un unico accordo a livello nazionale, la cui validità è estesa a tutte le unità, al fine di raggiungere una piena coesione decisionale.
“Da un’interpretazione letterale della norma sembrerebbe che, nel caso di più insediamenti produttivi presenti nella stessa Provincia, sia ancora necessario raggiungere accordi con ciascuna Rsa/Rsu di ogni insediamento, ma propendiamo per un’interpretazione pragmatica per cui l’accordo sindacale può valere per tutte le unità produttive ovunque ubicate”[10].
In terzo luogo, a livello di procedura amministrativa, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, il datore di lavoro può rivolgersi direttamente alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più direzioni territoriali del lavoro, possono chiedere ed ottenere un’autorizzazione dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, invece che dalla Direzione territoriale del lavoro territorialmente competente.
Il comma 2: le nuove categorie di strumenti
Il nuovo comma 2 dell’art. 4 riduce la tipologia di strumenti diretti a realizzare controlli ad opera del datore di lavoro. Il comma 2, infatti, preclude l’operatività del comma 1 dell’art. 4 per quei strumenti utilizzati dal prestatore di lavoro “per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”.
In dottrina si afferma però che la norma ha causato “un arretramento della centralità della tradizionale procedimentalizzazione sindacale (o amministrativa) dei poteri datoriali”[11], in quanto per l’istallazione degli strumenti adoperati dal lavoratore “per rendere la prestazione lavorativa” e quelli “di registrazione degli accessi e delle presenze” non è più richiesta la conclusione di un accordo sindacale o l’ottenimento dell’autorizzazione in sede amministrativa.
Gli strumenti oggetto della norma non devono essere intesi come strumenti di lavoro tradizionali (quali potrebbero essere gli attrezzi), bensì sono strumenti che possono coincidere (ma non sempre) con il sistema informatico centrale dell’impresa, al quale si connettono i dipendenti per l’espletamento delle prestazioni lavorative.
Gli strumenti di cui si tratta devono, inoltre, essere “strumenti utilizzati per rendere la prestazione”.
Nella legge delega 183/2014 si faceva riferimento, invece, agli “strumenti di lavoro”: espressione più ampia rispetto a quella adottata all’art. 4, che preclude l’ingresso, nell’ambito della disposizione, ad alcune funzioni a cui è destinato un determinato strumento. Per cui nell’ambito del comma 2 rientrano programmi, software o applicazioni che sono impiegate al fine di adempiere la prestazione lavorativa: si fa riferimento ai programmi di scrittura e di calcolo, di elaborazione delle immagini, di progetti, per cui sono ricompresi word, photoshop, excel, power point; ma anche i programmi che permettono di navigare su internet e di gestire la casella di posta elettronica aziendale.
È quindi, classificare quei programmi e quelle funzioni che non sono ricomprese nella sfera di applicazione del comma 2: per esclusione possiamo affermare che non vi rientrano funzioni e programmi che non costituiscono strumenti per l’esecuzione della prestazione lavorativa, ma che sono installati e utilizzati per fini che possono essere anche accessori o connessi alla prestazione stessa come ad esempio per fini di sicurezza (come i programmi antivirus o quelli di localizzazione satellitare).
Questi programmi e funzioni rientrano, invece, nel campo di applicazione del comma 1 dell’art. 4, come chiarito nel Comunicato stampa del Ministero del lavoro del 2015 secondo cui "non possono essere considerati "strumenti di controllo a distanza" gli strumenti che vengono assegnati al lavoratore "per rendere la prestazione lavorativa"[12], cioè quelli che hanno la finalità specifica di permettere al lavoratore l’adempimento della prestazione lavorativa. E si specifica inoltre che “nel momento in cui tale strumento viene modificato (ad esempio, con l'aggiunta di appositi software di localizzazione o filtraggio) per controllare il lavoratore, si fuoriesce dall'ambito della disposizione”[13]: dunque il comma 2 in questi casi non trova più applicazione e, pertanto, per poter procede ad installazione dello strumento, sono necessari il rispetto della procedura di autorizzazione e le esigenze organizzative, produttive, per la sicurezza del lavoro e la tutela del patrimonio.
Per quanto riguarda gli strumenti di lavoro che il dipendente è
autorizzato ad utilizzare anche nella propria sfera privata per ragioni estranee al fine dell’adempimento della prestazione di lavoro, di cui classico esempio è il telefono per uso promiscuo lavorativo-privato. In queste ipotesi lo strumento legittimamente utilizzato fuori dagli orari di lavoro non può sfociare nel tracciamento di dati.
Per questi strumenti, infatti, il datore di lavoro non è tenuto né a stipulare accordi con le rappresentanze sindacali, né a richiedere autorizzazioni da parte della Direzione territoriale del lavoro o del Ministero del lavoro.
Valgono anche in questo caso gli obblighi di informazione che gravano in capo al datore enunciati al comma 3 e che, per espressa previsione normativa, si estendono oltre che al comma 1, anche al comma 2. Adempiuti correttamente gli obblighi di informazione al lavoratore, le informazioni acquisite attraverso il controllo sugli strumenti utilizzati dal lavoratore per ottemperare alla prestazione lavorativa dovrebbero essere utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro.
Per i strumenti di registrazione delle presenze e degli accessi, ossia “strumenti idonei a registrare l’accesso dei lavoratori ai locali aziendali ad accesso riservato (come centri di ricerca, progettazione e sperimentazione) ed alle loro pertinenze”[14].
Gli strumenti deputati a rilevare l’accesso e la presenza nei luoghi di lavoro, incidentalmente forniscono anche informazioni sui tempi e sulla durata della presenza, oltre che il transito da un luogo ad un altro. Il datore di lavoro può liberamente decidere di istallare questi strumenti in quei locali aziendali in cui reputi necessaria la presenza.
Il datore di lavoro non è tenuto né a concludere accordi con le rappresentanze sindacali, né a richiedere autorizzazioni da parte della Direzione territoriale del lavoro o del Ministero del lavoro.
Anche in questo caso vi sono in capo al datore gli obblighi di informazione. Una volta adempiuti correttamente gli obblighi di informazione al lavoratore, le informazioni acquisite attraverso il controllo sugli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro. Gli strumenti, che sono sostanzialmente gli stessi che vengono adoperati per la registrazione delle presenze, verranno affrontati nei paragrafi successivi.
Impianti ed altri strumenti rientranti nella disciplina dell’art. 4 Statuto dei Lavoratori
Diversamente dalla precedente formulazione, il nuovo art. 4 istituisce un doppio regime: il comma 1 riguarda gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori in “senso collettivo e generalizzato”[15].
Il comma 2 si occupa, invece, degli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, in “senso più individuale e specifico”[16].
3.1 Impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori
È necessario individuare, in concreto, a che tipo di strumenti fa riferimento la norma.
A riguardo, in maniera approssimativa, si ritiene che vi rientrino: “telecamere e webcam installate all’interno degli edifici lavorativi e loro eventuali pertinenze (ad esempio aree di parcheggio, garage) per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale che siano in condizione di riprendere l’attività dei lavoratori; sistemi di geolocalizzazione (navigazione satellitare e sistemi di antifurto satellitare) installati su veicoli utilizzati da più lavoratori; personal computers fissi e portatili e tablets utilizzati senza password da più lavoratori; telefoni cellulari (anche del tipo smartphone) utilizzati senza codici personali da più lavoratori; centralino telefonico elettronico; registratori di cassa elettronici; tessere elettroniche (o strumenti assimilabili) RFID; software per controlli informatici”[17].
Il RFID – c.d. Radio Frequency Identification - Identificazione a mezzo di frequenze radio - è un badge, cioè “una tessera in cui è stato inserito un microchip dotato di antenna (detta TAG o Transponder) che può essere “letto” da un dispositivo a radiofrequenza che riceve e decodifica le informazioni in esso contenute. In funzione del numero e della distribuzione di “lettori” nei luoghi di lavoro, un badge contenente il chip RFID consente al datore di lavoro di ricostruire i movimenti di ogni dipendente nell’arco dell’intera giornata lavorativa. In tal modo sarebbe possibile sapere quanto tempo ogni dipendente è rimasto alla propria postazione lavorativa, quanto tempo è stato in bagno o in mensa o al distributore di bevande, quali e quanti colleghi di lavoro siano entrati in contatto con lui, quanto a lungo si sia intrattenuto nei locali sindacali, se abbia o meno partecipato alle assemblee sindacali, ecc. Come per altri sistemi tecnologici, l’utilizzo di badge a radiofrequenza è illegittimo se non rispetta le condizioni indicate dall’art. 4, legge n. 300/1970 e dal D.Lgs. n. 196/2003”[18].
I software per i controlli informatici, invece, se sono occulti vengono definiti “spyware”, “trojan” o “RAT” (cioè Remote Access Tools). Altri, detti “keyloggers” possono registrare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera per poi inviarlo, di nascosto, tramite email al soggetto che ha installato il software.
Il nuovo art. 4 Stat. lav. presenta un’altra innovazione rispetto al passato che si sostanzia nella previsione dell’utilizzabilità delle informazioni - ottenute attraverso l’utilizzo di strumenti di controllo a distanza - a qualsiasi fine strettamente collegato al rapporto di lavoro a condizione che siano date al lavoratore adeguate informazioni sulle modalità d’uso degli strumenti, sulle modalità di effettuazione dei controlli e nel rispetto del D.Lgs. n. 196/2003 (codice della privacy).
Strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa
L’identificazione degli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” è un’operazione complessa. Si ritiene che, a condizione che questi strumenti siano “assegnati personalmente al singolo lavoratore o, se a più lavoratori, con sistema d’accesso personalizzato mediante password”[19], possano essere ricompresi: personal computers fissi e portatili; tablets; registratori di cassa elettronici; telefoni cellulari semplici; telefoni cellulari smartphone; radio ricetrasmittenti; abbigliamento tecnologico (indumenti di lavoro corredati da sistemi di comunicazione radiotelefonici e GPS); viacard; telepass; carte di credito; sistemi di geolocalizzazione (navigazione satellitare e sistemi di antifurto satellitare) installati su veicoli[20].
Strumenti di registrazione delle presenze
Rientrano nei strumenti di registrazione delle presenze: le tessere elettroniche (badge); sistemi di rilevazione antropobiometrici; i microchip sottocutanei.
I sistemi di rilevazione antropobiometrici sono dei “sistemi che rilevano l’identità del lavoratore tramite corrispondenza delle impronte digitali
o palmari o dell’iride con i dati personali già memorizzati”[21]; .
Riguardo ai microchip sottocutanei “per combattere l'assenteismo interno e la scarsa produttività, da gennaio 2015 l'Epicenter, azienda promotrice dell'esperimento che opera nel campo dell'hi-tech, con sede a Stoccolma e circa 700 dipendenti, ha dato il via ad una piccola rivoluzione, innestando un microchip sottopelle a tutti i suoi dipendenti che l’hanno accettato”[22]. Tuttavia anche in Italia la Fincantieri, azienda del settore della cantieristica navale, ha tentato di introdurre l’uso di microchip. A differenza del caso svedese in cui il microchip veniva impiantato sotto la pelle, in Italia lo si voleva inserire negli scarponi antinfortunistici e negli elmetti degli operai al fine di migliorare l’organizzazione del lavoro e garantire un maggior livello di sicurezza. Il microchip permette di localizzare i dipendenti in termini di spazio-tempo con estrema precisione. Ma i sindacati hanno ritenuto inaccettabile la proposta, affermando che si sarebbe tradotta in un controllo totale e in uno schiavismo elettronico sul lavoratore, per quanto Fincantieri abbia giustificato la presenza di tecnologie di localizzazione con la necessità di intervenire e localizzare il prima possibile il lavoratore in pericolo, per soccorrerlo in caso d’incendio su una nave[23].
In conclusione, l’introduzione del secondo comma permette al datore di lavoro di svolgere dei controlli funzionali non solo all’accertamento di inadempimenti contrattuali, ma anche di illeciti extra-contrattuali, nel rispetto però della dignità del lavoratore e della riservatezza.
Sotto questo profilo l’esito della riforma potrebbe apparire come inidoneo ad assicurare le esigenze di protezione che fanno capo al lavoratore: basti considerare che gli strumenti tecnologici mediante il quale il lavoratore svolge la sua prestazione, hanno anche la capacità di memorizzare i dati e le informazioni che raccolgono nel momento in cui vengono adoperati dal lavoratore. Dati che restano a disposizione del datore e che rendono possibile il monitoraggio.
[1] R. RIZZI – A. VENTURA, La tutela della privacy del lavoratore controllato a distanza, Consiglio e La Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti.
[2] Cfr. V. SPEZIALE, Le politiche del lavoro del governo Renzi: il Jobs Act e la riforma dei contratti e di altre discipline del rapporto di lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. IT, n. 233/2014, pp. 37 ss.; A. BELLAVISTA, Il controllo sui lavoratori, Torino, 1995.
[3] Cfr. Cass., 17 giugno 2000, n. 8250, su https://www.unioncamere.gov.it/; Cass., 22 ottobre 2002, n. 42217, in Dir. prat. lav., 2002, p. 506.; M.T. GOFFREDO – V. MELECA, Jobs Act e nuovi controlli a distanza, in Diritto e Pratica del Lavoro 31/2016, p. 1898, elencano alcune apparecchiature che potrebbero essere considerate come strumenti di controllo, rientranti nell’alveo del nuovo comma 1: telecamere e webcam installate all’interno degli edifici lavorativi e loro eventuali pertinenze, come aree di parcheggio, per esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro o del patrimoni aziendale idonee a riprendere l’attività dei lavoratori, sistemi di geo-localizzazione installati su veicoli utilizzati da più lavoratori, centralino telefonico elettronico, registratori di cassa elettronici, telefoni cellulari usati senza codici personali da più lavoratori ecc
[4] Pret. Milano, 5 dicembre 1984, in Foro it., 1985, p. 285.
[5] M.T. GOFFREDO – V. MELECA, Jobs Act e nuovi controlli a distanza, in Diritto e Pratica del Lavoro 31/2016, p. 1896.
[6] Ibidem.
[7] L.A. COSATTINI, Le modifiche all’art. 4 Stat. Lav. sui controlli a distanza, tanto rumore; per nulla?, in Lav. giur., n. 11/2015, p. 985.
[8] A. LEVI, Il nuovo art. 4 sui controlli a distanza. Lo Statuto dei lavoratori dopo il Jobs Act, Milano, 2016.
[9] M.T. SALIMBENI, La riforma dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori: l’ambigua risolutezza del legislatore, in Riv. it. dir. lav., 2015, n.4, p. 589.
[10] M.T. GOFFREDO – V. MELECA, Jobs Act e nuovi controlli a distanza, in Diritto e Pratica del Lavoro 31/2016, pp. 1897 ss.
[11] MARAZZA M., Dei poteri (del datore di lavoro), dei controlli (a distanza) e del trattamento dei dati (del lavoratore), in CSDLE “Massimo D’Antona”, n. 300, 2016, p. 15.
[12] Comunicato stampa del Ministero del lavoro del 18 giugno 2015, “Controlli a distanza: Ministero del lavoro, nessuna liberalizzazione; norma in linea con le indicazioni del Garante della Privacy”, su https://www.lavoro.gov.it/.
[13] Ibidem.
[14] M.T. GOFFREDO – V. MELECA, Jobs Act e nuovi controlli a distanza, in Diritto e Pratica del Lavoro 31/2016, p. 1899 ss.
[15] M.T. GOFFREDO – V. MELECA, Jobs Act e nuovi controlli a distanza, in Diritto e Pratica del Lavoro 31/2016, p. 1897.
[16] Ibidem.
[17] M.T. GOFFREDO – V. MELECA, Jobs Act e nuovi controlli a distanza, in Diritto e Pratica del Lavoro 31/2016, p. 1898.
[18] Ibidem.
[19] M.T. GOFFREDO – V. MELECA, Jobs Act e nuovi controlli a distanza, in Diritto e Pratica del Lavoro 31/2016, p. 1899.
[20] Ibidem.
[21] Ibidem.
[22] Ibidem.
[23] N. CAMPINI, “No al microchip nello scarpone”, operai in sciopero alla Fincantieri, su https://genova.repubblica.it/.