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La tardività della contestazione rende insussistente il fatto?

Marina di Ravenna
Ph. Ermes Galli / Marina di Ravenna

La tardività della contestazione rende insussistente il fatto?

La contestazione disciplinare tardiva non rende insussistente il fatto. Il lavoratore, pertanto, non ha diritto alla tutela reintegratoria di cui all’art. 18 comma 4 Legge 300/1970 come modificato dalla Legge 92/2012, ma alla tutela risarcitoria di cui all’art. 18 comma 5.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18070 emessa dalla Sezione Lavoro in data 23 giugno 2023.

 

La tardività della contestazione rende insussistente il fatto? – il fatto

La società datrice di lavoro aveva intimato il licenziamento per giusta causa al dipendente, contestandogli di aver violato in modo grave le procedure. Il lavoratore aveva presentato ricorso avverso il licenziamento che era stato respinto dal Tribunale di Gela.

In sede di appello, la Corte d’Appello di Caltanisetta la Corte d’appello pur ritenendo pacifico quanto contestato al lavoro, aveva rilevato la non tempestività della contestazione. Pertanto, la Corte d’Appello aveva dichiarato illegittimo il licenziamento e condannato la società al pagamento di un’indennità pari a 10 mensilità.

Avverso detta sentenza il dipendente ha proposto ricorso in Cassazione eccependo due diversi motivi. In particolare il ricorrente ha eccepito che la Corte d’Appello abbia erroneamente applicato l’art. 18 comma 6 dello Statuto dei Lavoratori, sostenendo che si sarebbe dovuto applicare l’art. 18 comma 4 della legge 300 del 1970 nel testo vigente, tenuto conto del fatto che nella specie non solo era trascorso quasi un anno tra la conoscenza dei fatti da parte della datrice di lavoro e la contestazione di addebito ma inoltre, medio tempore, il lavoratore aveva proseguito la sua attività svolgendo anche compiti di responsabilità (quali l’apertura della filiale nella giornata del sabato per consentire ai clienti interessati la conversione di obbligazioni subordinate) ed aveva ricevuto al riguardo anche degli elogi.
Concludeva pertanto il ricorrente che la fattispecie, complessivamente valutata e tenuto conto del tempo trascorso, avrebbe dovuto essere ricondotta all’ipotesi di insussistenza del fatto contestato con conseguente applicazione della tutela reintegratoria c.d. debole prevista dal comma 4 del citato art.18. Inoltre, in via subordinata, insisteva per l’applicazione dell’art. 18 comma 5 della stessa legge.

La Banca datrice di lavoro a sua volte ha proposto ricorso incidentale eccependo la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della L. n. 300 del 1970 anche in relazione all'art. 1375 e 1175 c.c. ed all'art. 55 bis comma 4 del D.Lgs. n. 165 del 2001.

Ad avviso della difesa della società datrice di lavoro l'immediatezza della contestazione avrebbe dovuto essere valutata tenendo conto del momento in cui le mancanze del dipendente erano state compiutamente accertate e, quindi, portate a conoscenza degli organi competenti ad esercitare il potere disciplinare e che erroneamente la Corte di merito aveva invece ritenuto rilevante per tale finalità l'astratta conoscibilità dei fatti (individuata nella data del 1 maggio 2016) e non piuttosto, come dovuto, quella della loro effettiva conoscenza, il 10 novembre 2016, quando la relazione investigativa era stata trasmessa agli organi della Banca competenti e istruire i procedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti con conseguente tempestività della contestazione del 12 dicembre 2016.

La Cassazione ha ritenuto infondato sia il ricorso incidentale sia il primo motivo di ricorso principale, accogliendo parzialmente il secondo motivo di ricorso e cassando la sentenza d’appello con rinvio alla medesima in diversa composizione.

 

La tardività della contestazione rende insussistente il fatto? – La motivazione

La Corte di Cassazione, per ragioni di priorità logica, parte dall’esame del ricorso incidentale.

Sul punto la Suprema Corte, inizia il proprio iter argomentativo richiamando la giurisprudenza costante e pacifica che ha stabilito che “il principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare, la cui "ratio" riflette l'esigenza dell'osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, non consente all'imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo non solo da rendere difficile la difesa del dipendente ma anche di perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto. (Sentenza

Cass.20/06/2006 n. 14115, Cass. 12/05/2005 n. 9955 e anche recentemente Cass. n. 23068 del 2021). Tale principio secondo la Cassazione serve a tutelare due diversi interessi: da un lato tutela il diritto di difesa del lavoratore, che risulta agevolato dalla possibilità di addurre elementi giustificativi a breve distanza dal fatto contestato; dall’altro lato la necessità di non perpetuare per troppo tempo la situazione di incertezza circa la sorte del rapporto.

La Cassazione ricorda poi che il concetto di tempestività vada interpretato in modo relativo, correlato al caso concreto e alla complessità dell’organizzazione del datore di lavoro e procedendo a un adeguato accertamento e a un’adeguata valutazione dei fatti. Precisa, infine, che la tempestività va valutata in relazione al momento in cui il datore di lavoro viene a conoscenza dei fatti e non a quello in cui essi sono accaduti.

In merito alla conoscenza dei fatti la Cassazione, nella sentenza in commento, precisa che “deve tradursi nella ragionevole configurabilità dei fatti oggetto dell'inadempimento, inteso nelle sue caratteristiche oggettive, nella sua gravità e nella sua addebitabilità al lavoratore (Cass. n. 16683 del 2015 e Cass. 27/02/2014 n. 4724 e 26/03/2010 n. 7410). In tale contesto ben può il datore di lavoro procedere a verifiche preliminari necessarie (Cass. 08/03/2010 n. 5546,17/12/2008 n. 29480).

Sulla scorta di tali principi la Cassazione ritiene che la sentenza della Corte d’Appello sia immune dalle censure mosse dalla società datrice di lavoro.

La Cassazione passa quindi all’esame dei due motivi del ricorso principale. Dopo aver dichiarato inammissibile il primo motivo, accoglie parzialmente il secondo motivo.

In prima battuta, la Suprema Corte chiarisce come non possa trovare applicazione nel caso di specie la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 comma 4 Legge 300/1970 come modificata dalla legge 92/2012. In particolare, la Corte asserisce che: “la circostanza che il fatto tardivamente contestato comporti l'illegittimità del licenziamento non implica di per sé che lo stesso sia insussistente. E continua specificando che: “l'immediatezza della contestazione è elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro ma è esterno alla condotta

disciplinarmente rilevante posta in essere dal lavoratore che integra la fattispecie giuridica astrattamente punibile con il licenziamento”.

La tutela reintegratoria trova applicazione solo in caso di insussistenza della giusta causa o del giustificato motivo oggettivo. E nella nozione di insussistenza, secondo la Cassazione “è compresa l'ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto che, pur sussistente, sia tuttavia privo del carattere di illiceità ma non anche il caso in cui difetti un elemento necessario per poter applicare una sanzione, qual è appunto l'inosservanza di un tempo ragionevole per intraprendere il procedimento disciplinare”.

La Suprema Corte accoglie invece la richiesta di applicazione della tutela di cui al comma 5 dell’art. 18 in sostituzione di quella di cui al comma 6 applicata erroneamente dalla Corte d’Appello.

Secondo la Cassazione infatti: “quando si faccia riferimento alla nozione generale ed indeterminata di tempestività della contestazione di addebito e sia denunciata, come nel caso in esame, l'esistenza di un ritardo notevole e non giustificato nell'avviare il procedimento disciplinare deve trovare applicazione l'art. 18 comma 5 della L. n. 300 del 1970, così come modificata dal comma 42 dell'art. 1 della L. n. 92 del 2012 (in questo senso si veda Cass. 27/12/2017 n. 30985). L'intempestività della contestazione connota il comportamento datoriale che viola i canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. i quali governano anche l'esercizio del potere disciplinare il quale deve essere improntato alla massima trasparenza poiché incide sulle sorti del rapporto e sulle relative conseguenze giuridiche ed economiche”.

In conclusione per la Cassazione “ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, infatti, è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (sin da Cass. n. 8474 del 2005 e, più di recente, Cass. n. 15953 del 2021; Cass. nn. 203, 4678 e 21476 del 2015; Cass. nn. 2429 e 22655 del 2012; Cass. n. 9711 del 2011), ma anche che gli addetti prescelti non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi (cfr., tra le altre, Cass. n. 13783 del 2006; Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 15953 del 2021)”.

In conclusione la Cassazione ritiene che nel caso in esame - pur sussistente l'inadempimento posto a base del licenziamento - la mancanza di una tempestiva contestazione disciplinare in violazione dei principi di correttezza e buona fede comporta il venir meno della punibilità per effetto della condotta dallo stesso datore di lavoro tenuta e si rientra in quelle "altre ipotesi" per le quali si applica il comma 5 dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
 

La tardività della contestazione rende insussistente il fatto?  - La decisione.

La Suprema Corte, pertanto in accoglimento parziale del secondo motivo di ricorso principale, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla medesima in diversa composizione. In particolare, secondo la Cassazione la contestazione disciplinare tardiva non rende insussistente il fatto. Il lavoratore, pertanto, non ha diritto alla tutela reintegratoria di cui all’art. 18 comma 4 Legge 300/1970 come modificato dalla Legge 92/2012, ma alla tutela risarcitoria di cui all’art. 18 comma 5.


La tardività della contestazione rende insussistente il fatto? - Un breve commento

La sentenza in commento offre diversi spunti di riflessione.

In particolare, è interessante notare come la Cassazione, dando seguito a un indirizzo emerso recentemente, dia un’interpretazione più rigorosa del concetto di insussistenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Nel caso di specie, infatti la Suprema Corte ritiene che la tardività della contestazione non possa privare la condotta posta in essere dal lavoratore del carattere dell’illeceità: è un elemento esterno alla condotta disciplinarmente rilevante che, però, incide sul diritto di recesso.

E chi scrive condivide tale interpretazione: è infatti opportuno che sia dia un’interpretazione del concetto di insussistenza conforme al tenore letterale della norma. In passato, invece la giurisprudenza, aveva esteso il concetto di insussistenza a circostanza esterne dall’assenza ontologica del fatto. In tal modo però, la Cassazione ha di fatto reso vano il tentativo della riforma Fornero di restringere l’ambito di applicazione della tutela reintegratoria.

Meno convincente è la parte in cui la Suprema Corte riforma la sentenza appellata: in sintesi perché trovi applicazione la tutela di cui al comma 6 dell’art. 18 occorre che la legge o il CCNL prevedano un termine per la contestazione e poi per la conseguente irrogazione della sanzione. In difetto, non vi sarebbe una violazione procedurale, ma una violazione dei canoni di correttezza e buona fede da parte del datore che comporta l’applicazione del comma 5 dell’art. 18. In realtà se si guarda il fatto materiale si è in presenza della medesima violazione: il datore di lavoro non ha infatti irrogato la sanzione in un termine ritenuto congruo in un caso da una norma e nell’altro sulla base di un’interpretazione dei fatti.

Ma c’è di più: per poter irrogare una sanzione a un dipendente occorre sempre seguire un procedimento disciplinare, ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori. E la tempestività della contestazione e della sanzione è uno dei principi cardine di tale procedimento. Pertanto, non rispettare tale principio equivale a violare il procedimento disciplinare e quindi dovrebbe sempre trovare applicazione la tutela di cui al comma 6 dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.