Composizione negoziata: misure protettive e cautelari anche per socio illimitatamente responsabile

Composizione negoziata: misure protettive e cautelari anche per socio illimitatamente responsabile
Un’ordinanza del Tribunale di Palermo del 4 aprile 2025, emessa a seguito del ricorso presentato da un’azienda ammessa alla composizione negoziata ex art. 56 CCII, per la conferma delle misure protettive e per la concessione delle misure cautelari ex art. 19 CCII, segna passi significativi in ordine all’ammissibilità di specifiche misure di tutela delle trattative e di relativi specifici presidi cautelari necessari alla buona riuscita del piano di risanamento.
Il menzionato ricorso è stato incardinato da un’impresa storica che, contro ogni andamento generale, aveva registrato una significativa crescita nelle more del passaggio generazionale, per essere poi presto attinta dalla crisi a seguito di circostanze imprevedibili ed eccezionali, per lo più generate da cambiamenti legislativi e dalle restrizioni coattive imposte in epoca pandemica, fattori che, insieme, hanno destato mutamenti significativi nel mercato di riferimento dell’impresa con ricadute altrettanto importanti sui flussi di entrata.
Il provvedimento qui commentato è di interesse sotto plurimi profili che toccano molte delle questioni cardine del risanamento dell'impresa, precipuamente di ordine pratico e attualmente protagoniste della giurisprudenza della crisi:
- l’estensione delle misure protettive al socio illimitatamente responsabile che ha immesso finanza personale;
- l’inibitoria ai creditori alla negoziazione degli assegni postdatati;
- l’inibitoria per gli istituti di credito di escutere le garanzie MCC e SACE;
- la sospensione dei ratei relativi ai mutui e ai finanziamenti concessi all’impresa;
- l’inibitoria per gli istituti di credito di segnalare la società debitrice alla centrale rischi e alla CRIF.
1. Con riferimento al tema dell’estensione al socio illimitatamente responsabile delle misure protettive accordate - - il Tribunale di Palermo, aderendo a «quanto già sostenuto dal Tribunale di Venezia del 6 febbraio 2023, in merito all’ammissibilità di estendere le misure protettive al socio illimitatamente responsabile, laddove l’aggressione del suo patrimonio personale potrebbe causare un nocumento al risanamento dell’impresa e alla continuazione dell’esercizio della stessa» si pronuncia favorevolmente, anche in considerazione della circostanza per cui il socio illimitatamente responsabile partecipi al piano di risanamento con l’apporto di finanza personale messa «a disposizione [...] per la soddisfazione dei creditori».
Nella pronuncia del Tribunale di Venezia condivisa dal decidente, resa su una domanda di composizione negoziata con piano c.d. misto che “prevedeva, infatti, il soddisfacimento nella misura del 62% dei creditori chirografari attraverso la dismissione dell’intero compendio immobiliare della società ed anche degli immobili dei soci già illimitatamente responsabili e garanti” riconoscendo che “la vendita coattiva dei quali avrebbe pertanto portato ad un grave pregiudizio nei confronti della stessa ricorrente”, nell’accogliere il ricorso per la conferma delle misure protettive, il Tribunale disponeva che le stesse fossero “estese nei confronti del patrimonio attualmente assoggettato a procedura esecutiva in capo ai già illimitatamente responsabili e garanti della Società, così come individuato nel progetto di piano di risanamento in atti”.
A tenore di quanto statuito dal Giudice Delegato, nella vicenda che ci occupa, dove - si ribadisce - il socio illimitatamente responsabile è anche apportatore di finanza personale specificatamente quantificata e finalizzata - la concessa estensione è posta a presidio dell’apporto di tale somma strategica per la buona riuscita del piano, «somma che nell’ipotesi di azione esecutiva potrebbe essere aggredita da un singolo creditore vanificando l’esito positivo delle trattative».
L’estensione, precisamente, realizza i seguenti vantaggi pratici:
- evita il soddisfacimento di alcuni creditori in misura superiore in danno di altri;
- consente a tutti i creditori di incassare importi superiori rispetto a quelli che otterrebbero rifacendosi sul patrimonio del socio (solitamente di entità limitata rispetto al compendio economico su cui può, invece, contare la composizione);
- tutela la buona fede delle trattative, nonché il sacrificio sopportato da ciascun creditore a beneficio dell’intera compagine, conservando la parità delle armi tra creditori e tutelando l’affidamento di ciascuno di essi alle trattative (il creditore che non abbia inteso rifarsi sul socio finirebbe per partecipare ad un tavolo potenzialmente già viziato da disparità di trattamento e ridotte opportunità di soddisfazione della propria posizione, erose da azioni tempestive sul patrimonio personale del socio);
- tutela il buon esito della composizione, consentendo la fissazione della piattaforma economica del Piano, neutralizzandone eventuali elementi di aleatorietà;
- tutela il patrimonio del ricorrente da pregiudizi gravi e irreparabili.
Va da sé che, nella vicenda in commento, la concessione è, con ogni evidenza, cesellata su una necessità specifica, orientata a tutelare una delle azioni di risanamento, senza voler in alcun modo attenuare, genericamente e in maniera incontrastata, la responsabilità patrimoniale del socio illimitatamente responsabile come costruita dall’ordinamento.
Inoltre, considerando che, a differenza di quanto accade nell’ambito concordatario, ove lo strumento dell’estensione partecipa all’attuazione dell’effetto esdebitativo (e quindi, a ragione sottoposto a superiori regole prudenziali), nell’ambito nella composizione negoziata, tale effetto non si realizza, nella stretta operatività dello stesso nella fase delle trattative, vero momento decisivo di tale procedura, ancor più esso appare conforme allo scopo compositivo e coerente con gli altri presidi alle trattative che la stessa prevede.
2. Di particolare rilievo è l’ordinanza in commento con riguardo all’inibitoria ai creditori alla negoziazione degli assegni bancari postdatati, nel caso in esame «per lo più emessi prima della trasformazione sociale», tema spinoso oggetto, di recente, di rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c. operato dal Tribunale di Brindisi alla Corte di Cassazione in ordine alla qualificazione della misura della sospensione degli effetti cambiari e degli assegni postdatati, nel rilievo che tali misure sono necessarie per consentire di fissare la piattaforma economico-finanziaria del piano, sottraendola al rischio del venir meno di sostanziali risorse, ad esempio, in conseguenza dell’incasso di assegni postdatati, quale circostanza sopravvenuta, assurgendo di fatto a presupposto essenziale per il risanamento.
Nell’ordinanza in argomento, seguendo il filone argomentativo appena accennato, il Giudice ha ritenuto che tale inibitoria consenta «al pari delle precedenti inibitorie di cristallizzare l’entità del passivo ed evita di porre in sofferenza la liquidità della società ricorrente», altrimenti esposto all’alea di poste creditorie incerte, anche nella circostanza di una concessione non tempestiva.
Orbene, con il decreto del 3 aprile 2025 la Prima Presidente ha rilevato l’inammissibilità delle questioni oggetto di rinvio, reputando:
- i quesiti sulla natura giuridica delle misure protettive (tipiche e atipiche) e presupposti di applicabilità, «ultronei rispetto alla fattispecie concreta su cui dovrà pronunciarsi il rimettente, difettandone perciò la rilevanza»”;
- il quesito sulla possibilità l’impresa istante possa o meno beneficiare di una misura cautelare dello stesso contenuto di quella atipica richiesta «non pertinente rispetto alla fattispecie in esame, giacché non risulta che si sia verificata la scadenza della misura richiesta dalla società che ha presentato istanza di ammissione alla procedura di concordato preventivo»;
- infine, il quesito sulla natura specificata (protettiva o cautelare) della sospensione degli assegni bancari postdatati che «l’interpretazione e la qualificazione della domanda di sospensione degli effetti cambiari e degli assegni postdatati in termini di misure protettive atipiche ovvero di misure cautelari sono rimesse al “potere-dovere” del giudice di merito e la questione che pone l’ordinanza di rimessione non è – da un lato - “esclusivamente di diritto”, in quanto presuppone una indagine di fatto sugli atti processuali rilevanti che spetta allo stesso giudice del merito; dall’altro lato, invece, la questione pare svolta al fine di conseguire un mero avallo rispetto ad orientamenti che in precedenza lo stesso tribunale ha seguito».
In ogni caso, sebbene superato dalla falcidia dell'inammissibilità resa nei termini sopra espressi, si evidenzia come, nell’operato rinvio il Tribunale di Brindisi avesse operato una ricostruzione dottrinale di pregio che, scavando nell’impianto ermeneutico del CCII, aveva evidenziato i punti di contatto tra il principio della tutela giurisdizionale effettiva di rilievo nazionale e comunitario - riconosciuta agli artt. 24 e 113 Cost., e valorizzato anche a livello comunitario agli artt. 6 e 13 CEDU e 47 Cdfue - naturalmente collegato alla eccezionalità e temporaneità delle misure protettive, ed il principio di strumentalità, tradizionalmente collegato alla tutela d’urgenza secondo lo schema tipo di cui all’art. 700 c.p.c., ma senz’altro proprio anche delle misure protettive costitutivamente funzionalizzate alla buona riuscita del Piano.
Il CCII, tuttavia, nell’attribuire efficacia immediata alle sole misure protettive tipiche, sembrerebbe attenuare, da un lato, il vincolo funzionale delle predette (l’efficacia non immediata potrebbe di fatto vanificarne l’utilità), dall’altro, il carattere strumentale e urgente delle cautelari.
I giudici brindisini, quindi, approntavano una lettura dell’art. 54 CCII ravvisando nelle «ulteriori misure temporanee per evitare che determinate azioni di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza» una forma di atipicità parziale orientata alla tutela in concreto e compensata solo eventualmente dal soccorso cautelare, non alternativo, ma residuale.
L’ordinanza in esame, di limpida chiarezza sul piano della utilità delle concesse misure alla stabilizzazione finanziaria del Piano, è coerente con il filone della tutela giurisdizionale effettiva, nel concedere le richieste misure per il tempo massimo di 120 giorni come auspicato dal ricorrente e avallato dall’esperto, «tenuto conto che un periodo inferiore non consentirebbe di procedere compiutamente alla definizione delle trattative», e tenendo a mente come «l’esperto così come uno o più creditori, monitorando via via l’evolversi della procedura e lo sviluppo del piano di risanamento, possa(no) in ogni momento attivarsi per chiedere la revoca delle misure o l’abbreviazione della relativa durata, al ricorrere di circostanze negative meritevoli di segnalazione ex art. 19 comma 6 CCII (e, segnatamente, quando le misure “non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti”».
3. In relazione all’inibitoria per gli istituti di credito di escutere le garanzie MCC e SACE si evidenziano il peculiare profilo di strumentalità individuato dal Giudice dell’ordinanza in commento, secondo cui il divieto di escussione «impedisce di modificare la graduazione del credito, evitando così che possa variare la percentuale dei crediti assistiti da privilegio rispetto ai chirografari, modifica che potrebbe generare il naufragio delle trattative perché cambierebbero le categorie dei creditori».
Le conclusioni sono di rilievo anche per siffatte precisazioni sulle conseguenze dell’escussione, atteso che, nella vicenda in esame, la ricorrente aveva usufruito della garanzia prevista dalla L. 23.12.96 n. 662 - Medio Credito Centrale in più occasioni.
Ripropongono, inoltre, l’orientamento favorevole alla concessione della sospensione cautelare dell’escussione delle garanzie di MCC da parte delle Banche già espresso dai tribunali di Milano (cfr. ordinanza del 12/05/24), Salerno (cfr. sentenza del 22/02/24), Gorizia (cfr. sentenza del 19/3/24), e da ultimo Padova (cfr. ordinanza del 13/01/25) i quali hanno ratificato, con riguardo all’impresa in composizione già assistita da garanzie MCC e da SACE, la sussistenza dei presupposti cautelari sotto i profili della funzionalità, almeno potenziale, delle trattative al raggiungimento degli obiettivi di risanamento e della sussistenza del rischio che l’assenza delle misure possa comprometterne l’esito positivo.
Nella vicenda in esame, l’eventuale escussione delle garanzie, avrebbe ostacolato la fissazione delle poste creditorie, nell’abnorme rischio che i maggiori creditori - gli Istituti bancari coperti da garanzia pubbliche - potessero, attivando l’escussione delle predette, di fatto compromettere del tutto la realizzazione del Piano. La concessa inibitoria, invece, «impedisce di modificare la graduazione del credito, evitando così che possa variare la percentuale dei crediti assistiti da privilegio rispetto ai chirografari, modifica che potrebbe generare il naufragio delle trattative perché cambierebbero le categorie dei creditori».
4. Per le medesime ragioni, con riguardo alla sospensione dei ratei relativi ai mutui e ai finanziamenti concessi all’impresa, seguendo il percorso argomentativo tracciato nel ricorso dalla ricorrente e condiviso dall’esperto, il Giudice ha ritenuto che tale misura consentisse «di bloccare temporaneamente le uscite mensili di ingente entità e di cristallizzare la posizione dei creditori nel corso delle trattative».
La misura risponde all’esigenza di arginare i rischi della concentrazione temporale di scadenze e pagamenti non più ammortizzata tramite gli strumenti bancari garantiti dai flussi in entrata: infatti, nella maggior parte dei casi, le imprese in crisi soffrono la cronicizzata assenza di liquidità, data dalla netta diminuzione delle entrate accompagnata dalla contestuale erosione del merito creditizio, diminuendone nel quantum le possibilità di accesso.
5. Infine, l’ordinanza è di pregio anche in ordine alla motivazione con la quale concede l’inibitoria per gli istituti di credito di segnalare la società debitrice alla centrale rischi e alla CRIF, superando le compressioni della c.d. disciplina di vigilanza prudenziale talora richiamata dagli Istituti contrari alla concessione, anche sulla scorta di giurisprudenza in tal senso sinora orientata.
In Tribunale Lodi, 18/05/2023. Est. Varesano, ad esempio, pur riconoscendosi tale inibitoria quale «misura necessaria e complementare al fine di escludere i rischi di vanificazione della misura cautelare di sospensione del pagamento della quota capitale degli ammortamenti e delle rateazioni a scadere nei confronti degli istituti finanziari e degli altri creditori indicati, nonché di revoca delle linee di credito già esistenti ed utilizzate», si faceva salva per le banche la facoltà di segnalare in Centrale Rischi e alla CRIF l’intervenuta sospensione dei pagamenti nel corso delle trattative in quanto si riteneva che il rischio di revoca delle linee di credito già esistenti non potesse «essere scongiurato ex lege dall’art. 16, comma 5, CCII atteso che la sospensione o la revoca possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale».
Di senso contrario, invece, l’ordinanza in commento, nella corretta considerazione che tale provvedimento fosse «contrariamente a quanto sostenuto in udienza da [omissis] – ammissibile e volto ad evitare di allarmare il mondo degli intermediari rispetto alle difficoltà finanziarie della società, questi ultimi comunque informati dalla pubblicazione nel registro delle imprese delle domanda di conferma delle misure protettive», chiare le conseguenze potenzialmente nefaste per l’impresa commerciale inserita in una articolata rete di relazioni economiche del cristallizzarsi di un serio rischio reputazionale.