Omesso versamento IVA: scriminante da crisi di liquidità incolpevole dell’imprenditore
Non integra il reato di omesso versamento dell’IVA la condotta dell’imprenditore che non ha pagato l’imposta in difetto del «coefficiente psicologico d’addebito», versando lo stesso in una condizione di «contingente carenza di liquidità, determinata dalla mancata riscossione delle fatture medesime da cui gemmava l’obbligo tributario».
È quanto affermato dalla seconda sezione del Tribunale ordinario di Milano in composizione monocratica, nella sentenza n. 9031 del 20 settembre 2021, riconoscendo, dunque, la valenza scriminante della crisi di illiquidità incolpevole con riferimento alle condotte previste come reato all’articolo 10 ter del Decreto Legislativo 74/2020, afferenti consistenti nell’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, nel caso di mancati incassi delle relative fatture.
Nella pronuncia in esame, si evidenzia come sia indubbia la sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto contestato «composito e risultante dalla previa presentazione della dichiarazione annuale (dalla quale emerga un debito IVA) e dalla successiva omissione contributiva nel termine previsto dal Legislatore Penale» per ammontati superiori alla soglia di punibilità (citata, ex multis, Cass. Pen., sez. III, sentenza del 25 gennaio 2016, n. 3098).
Di contro, in linea con alcune pronunce di legittimità, è stato ritenuto senz’altro difettante l’elemento soggettivo del reato, non configurabile «allorquando l’omesso versamento derivi dalla carenza della necessaria liquidità, dovuta al mancato incasso delle fatture emesse con credito d’imposta (così Cass. Pen., sez. III, 3 luglio 2018, n. 29873, ovvero quanto verificatosi nel caso di specie (con abbattimento dell’IVA non versata – decurtata la quota non corrisposta – al di sotto della soglia di punibilità)».
Ad avviso del Giudice, inoltre, alle stesse conclusioni si giungerebbe anche nell’adesione del più rigido orientamento della Suprema Corte, essendo provato non solo che l’emissione delle fatture, antecedente alla riscossione, costituisca una prassi del settore orientata all’attivazione delle procedure di pagamento, ma che anche il mancato storno dai ricavi dei corrispettivi non percepiti sia stato giustificato dalla volontà di non compromettere le procedure di riscossione (vedasi Cass. Pen., sez. III, sentenza del 19 febbraio 2020, n. 6506). Peraltro, i pagamenti in esame riguardavano «una cospicua parte del debito con l’Erario», residuando per la restante una verosimile incolpevole generalizzata assenza di liquidità, ipotizzabile anche sulla scorta dei tentativi della società di pagare l’imposta relativa al 2013 mediante rateizzazione, non riuscendo poi ad onorare le scadenze.
Nella recentissima Cass. pen., sez. III, 13 aprile 2021, n. 30262, gli Ermellini hanno avuto modo di precisare come, se «il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa», almeno secondo la giurisprudenza più rigida, esso è, nei confronti dell’Erario, in ogni caso «evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi».
Tuttavia, secondo quanto dimostrato dalla consulenza di parte, nel caso in esame, una porzione importante del debito della società con l’Erario era costituito proprio da tributi mai riscossi dalla stessa, e ciò a causa del mancato pagamento di numerose fatture relative a crediti esigibili e non deteriorati di importo significativo, il cui scorporo dell’imposta non è stato sollecitato dalla società per non compromettere la riscossione degli importi complessivi.
Tale circostanza è stata valorizzata all’interno della sentenza quale condizione eccezionale determinante la contestata omissione della condotta doverosa, ribadendo, altresì, l’assenza del dolo generico richiesto dalla fattispecie. Mancando il coefficiente psicologico di addebito, infatti, nonché ricorrendo le sopramenzionate particolari circostanze finanziarie che eliminano l’antigiuridicità della condotta posta in essere, essendo, per le stesse ragioni, la condotta doverosa omessa dunque inesigibile, la pronuncia conclude correttamente per l’impiego della formula assolutoria «perché il fatto non costituisce reato».