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Ritardi della P.A. e stretta del sistema creditizio

La città muta - Luci (IV)
Ph. Anuar Arebi / La città muta - Luci (IV)

Con la sentenza n. 1688 del 18 marzo 2021, passata in giudicato, il Tribunale di Palermo, II sez. pen., si è pronunciato sulla valenza scriminante della crisi di liquidità incolpevole in cui si era venuto a trovare l’imprenditore «costretto a fronteggiare negli anni un mutevole, imprevedibile e sempre più gravoso quadro burocratico - normativo, appesantito dalle scelte e dalle lungaggini della P.A. e del sistema creditizio, che ha inciso in materia determinante sulla crisi di liquidità delle imprese».

Ad essere valorizzati nella interessante e, sotto alcuni profili, inedita pronuncia, da un lato, l’inesigibilità della condotta doverosa omessa a fronte della crisi di liquidità incolpevole, dall’altro, gli elementi dell’aggravamento normativo e della complessità dell’iter burocratico quali fattori causali della stessa crisi, sì da approdare al riconoscimento della scriminante non codificata, quindi ad una pronuncia assolutoria.

In primo luogo, la sentenza, facendo proprio l’orientamento già espresso in Cass., Sez. III, sentenza 8 ottobre 2015, n. 40352, ha affermato come «la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, può essere rilevante per escludere la colpevolezza, se venga dimostrato che il soggetto tenuto al pagamento aveva adottato tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo».

La giurisprudenza ha fissato il principio per cui ricadono sull’imputato gli «obblighi di allegazione dei documenti che comprovano la non imputabilità al contribuente della crisi economica che aveva improvvisamente investito l'azienda, specificando altresì che la circostanza non avrebbe potuto essere fronteggiata altrimenti», come recentemente ribadito in Cass., sez. III pen., sentenza del 13 ottobre 2021, n. 43913, nella quale si dà atto dei presupposti del riconoscimento dell’esimente della crisi di liquidità quale causa forza maggiore ex art. 45 c.p.

Nel silenzio del legislatore, sul piano processuale le circostanze eccezionali addotte a giustificazione dell’impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria, infatti, sono state costruite ora con riferimento ai paradigmi del caso fortuito o della forza maggiore, quali cause di esclusione della colpevolezza, ora, superando qualsiasi tentativo di inquadramento, nella consapevolezza della inadeguatezza dei modelli noti, con il richiamo al più generale paradigma della inesigibilità della condotta, secondo cui «il dolo quanto la colpa sono sempre esclusi, allorché l’agente si sia trovato in condizioni tali da non potersi umanamente pretendere dal medesimo una condotta diversa da quella tenuta in concreto e, quindi, da non potersi esigere un comportamento conforme al precetto penale» (così BETTIOL).

Precisamente, l’esimente va riconosciuta quando la crisi dell’impresa non è ascrivibile all’imprenditore che ha agito ricorrendo a tutti i mezzi idonei a porvi rimedio, attingendo anche al suo patrimonio personale. Ed infatti, nel caso in esame, in ossequio al principio delineato, la difesa comprovava e il giudice accertava come l’imprenditore avesse posto in essere tutte le «possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili».

La sentenza in commento, altresì, aderisce alla tesi di alcune pronunce di legittimità che, ancorché minoritaria, ha ritenuto inesigibile la condotta doverosa omessa, nel caso di impossibilità ad adempiere l’obbligazione tributaria, dovuta a crisi di liquidità che ha costretto l’imprenditore a sacrificare le pretese dell’erario a vantaggio di altri creditori strategici al fine di garantire la continuità aziendale. Anche il dibattito in tema di preferenza nel pagamento dei fattori produttivi, tuttavia, è caratterizzato per lo più da arresti giurisprudenziali di chiusura in relazione alla valenza scriminante del conflitto di doveri, circostanza ritenuta non idonea ad escludere la colpevolezza[1].

 

Tale severità interpretativa - come già detto - è stata, del pari, una costante dell’analisi dei contorni della causa di forza maggiore, ritenuta sussistente solo nel caso di assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando normativo per un fatto imprevedibile e non resistibile. Quest’ultimo deve risultare del tutto autonomo rispetto all’azione od omissione cosciente e volontaria dello stesso, presentandosi come “vis cui resisti non potest” in grado di escludere la suitas della condotta.

Si tratta, tuttavia, di un orientamento non condiviso da altre pronunce secondo le quali la crisi di liquidità non è, di per sé, necessariamente, “forza irresistibile”, essendo considerato un rischio connaturato all’attività di impresa.

In secondo luogo, il Tribunale di Palermo ha sottolineato l’assenza di profili di rimproverabilità dell’omesso versamento IVA, considerata la necessità di sostenere costi imprevisti, che risulti determinante a provocare la crisi di liquidità in cui l’imprenditore veniva a trovarsi, non solo al momento di accantonare, ma anche in quello di versare l’imposta, persistendo la necessità di garantire la prosecuzione del complesso delle attività aziendali.

Nella citata sentenza n. 40352, in particolare, l’imprenditore, «per fronteggiare una grave crisi aziendale durata alcuni anni, aveva dovuto provvedere ad adeguare gli impianti, per poter continuare l'attività dell'azienda, a rispettare gli accordi sindacali quanto alla rateizzazione degli arretrati da corrispondere ai dipendenti, e ad adempiere al pagamento delle retribuzioni degli stessi, sicché non era stata ravvisata una concreta possibilità di adempimento in grado di rendere "volute" le omissioni».

Nella pronuncia in commento, sulla scorta del precedente riportato, il giudice di merito ha ritenuto, del pari, incolpevole la crisi di liquidità in cui versava l'imprenditore che era stato costretto ad impegnare i fondi a disposizione in esosi ed imprevisti esborsi dovuti ai ritardi della Pubblica Amministrazione[2], segnando una puntuale applicazione di principi enucleati da una parte della giurisprudenza di legittimità.

Nel caso in esame, infatti, il Tribunale ha evidenziato proprio come «in ragione di ritardi e comportamenti imprevedibili della P.A., associati a criticità del sistema bancario, si è prodotta a carico delle società amministrate dall’imputato una serie di costi indebiti e non preventivabili, in assenza dei quali sarebbe stato possibile pagare i debiti IVA».

A fronte della descritta condizione eccezionale, ha, quindi, concluso per ritenere non «concretamente esigibile una diversa condotta, caratterizzata dal progressivo accantonamento delle somme necessarie al pagamento del tributo, atteso che le risorse disponibili dovevano in maniera necessitata essere investite nel processo produttivo per consentire l’ordinaria prosecuzione dell’attività di impresa (onde conseguire il conseguimento degli utili necessari a fronteggiare anche le scadenze tributarie)».

La comprovata assenza di qualsivoglia profilo di rimproverabilità, dimostrata dal tempestivo attivarsi dell’imputato per far fronte al pagamento del debito tributario - ricorrendo a beni personali, prestando fideiussione, rimodulando l’attività d’impresa - insieme alle circostanze eccezionali di crisi causate da fattori eterogenei e imprevedibili, burocratici e bancari, nella persistente volontà di garantire quella continuità aziendale che, in ultima analisi, avrebbe potuto consentire di versare l’IVA, hanno, in sintesi, indotto il Giudice monocratico ad assolvere l’imputato con la formula "perché il fatto non sussiste”.

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Per completezza espositiva, prendendo spunto da questo significativo precedente giurisprudenziale, si ribadisce il fondamentale rilievo della recente proposta di legge n. 3024/2021, recante “Modifiche agli articoli 10-bis e 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di causa di non punibilità per i reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate o dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla certificazione annuale”, tesa a trasformare il dolo generico, attualmente richiesto per l’incriminazione, in dolo specifico, centrato sulla finalità di evadere l’obbligazione tributaria, con la contestuale introduzione di una causa di esclusione della punibilità per le condotte dovute a impossibilità sopravvenuta dell’adempimento tributario, per causa non imputabile al contribuente.

La modifica normativa si prefigge l’obiettivo di limitare l’applicazione della norma penaltributaria ai casi caratterizzati da una chiara volontà di evadere l’IVA, escludendo l’impossibilità di adempiere le obbligazioni erariali per incolpevole mancanza di liquidità, sinora, non senza difficoltà, ancorata al caso fortuito, e non stigmatizzando – al precipuo fine della continuità aziendale – la preferenza nel pagamento dei fattori produttivi, collegata, oggi, in modo precario, alla forza maggiore ed allo stato di necessità.

 

[1] In questo senso Cass., sez. III pen., sentenza del 7 settembre 2021, n. 38177 richiamata, severa sulla scelta dell’imprenditore di pagare in via preferenziale sull’Erario i creditori privati in ottica di continuità aziendale: «la decisione dell’imprenditore di finanziare l’impresa con i denari dovuti allo (e di pertinenza dello) Stato e di trascinare il debito fino alla scadenza del termine “lungo” penalmente sanzionato costituisce una scelta gestionale che rientra nel rischio di impresa, senza che per questo possa essere invocata la causa di forza maggiore a giustificazione dell’illiquidità provocata da comportamenti (revoche di affidamenti bancari, insolvenze dei clienti) che non sono niente affatto imprevedibili nel corso della vita di un’impresa e che non possono essere fronteggiate facendo affidamento alle risorse dei contribuenti». Inoltre, vedasi https://www.filodiritto.com/omesso-versamento-dei-contributi-inps-reato-anche-se-ce-crisi-e-si-e-preferito-pagare-gli-stipendi.

[2] In particolare la competente Amministrazione regionale aveva provveduto ad autorizzare un articolato progetto di impianti fotovoltaici, talmente in ritardo da far mutare il quadro normativo, facendo venir meno la sostenibilità finanziaria dello stesso progetto. A questo si erano aggiunti i ritardi cronici nel pagamento degli stati di avanzamento di una cruciale opera pubblica sanitaria, che l’imputato, con la sua impresa, era comunque riuscito a completare e collaudare.