La nuova direttiva del Ministro Zangrillo sulla formazione. Un commento a caldo

formazione
formazione

La nuova direttiva del Ministro Zangrillo sulla formazione. Un commento a caldo
 

Innanzitutto cerchiamo subito di dare una risposta a ciò che ci stiamo chiedendo tutti. Perché una nuova direttiva sulla formazione? Eravamo tutti impegnati nella stesura del PIAO, documento unico di programmazione delle PA con più di 50 dipendenti, che occorre far approvare dagli organi di governo entro il 31 gennaio e ora ci troviamo a dover intervenire su un testo già sostanzialmente definitivo, recependo le nuove indicazioni del ministro (e le novità non sono poche). Senza pensare alle diverse amministrazioni (come, ad esempio, il comune di Bologna o il Ministero della difesa) che, per non trovarsi a dover fare tutto di corsa, si sono mosse in anticipo e lo hanno già pubblicato. E ora devono già modificarlo. 

La risposta ce la dà il ministro a pag.10. La Direttiva del 14 gennaio "declina e contestualizza la trasposizione del ComPAct nell’ordinamento italiano".  La Comunicazione della Commissione Europea sul rafforzamento dello spazio amministrativo europeo (ComPAct), che definisce un insieme di principi comuni alla base di una pubblica amministrazione di qualità (fra cui “una visione strategica e una leadership che siano garanti di capacità, resilienza e fiducia costante del pubblico”).

Veniamo subito alle novità, sintetizzate efficacemente in una delle ultime pagine (pag.19):

1) Le PP AA devono definire, nel PIAO, politiche e programmi formativi per l’attuazione dei principi e degli obiettivi del PNRR in materia di formazione, delle norme e degli atti di indirizzo emanati dal Ministro per la pubblica amministrazione, in coerenza con la propria missione istituzionale e con i propri fabbisogni.

2) Sono collettivamente responsabili del conseguimento dei target PNRR in materia di formazione.

3) Assegnano a ciascun dirigente, quale obiettivo annuale di performance, la formazione per 40 ore/anno, a partire dal 2025, prioritariamente sui temi della leadership e delle soft skills.

4) Promuovono la formazione dei propri dipendenti (obiettivo di 40 ore/anno, a partire dal 2025).

5) Si registrano sulla Piattaforma Syllabus e abilitano tutti i dipendenti alla fruizione dei corsi

6) Attivano ulteriori interventi formativi a valere sulle proprie risorse e/o sui finanziamenti del PNRR, ricorrendo a soggetti istituzionali o ad operatori di mercato.

7) Monitorano e rendicontano l’attuazione dei programmi formativi e ne valutano risultati e impatti in termini di crescita delle persone, performance individuale e organizzativa e valore pubblico

Se sono sette gli obiettivi da attenzionare per ogni PA, cinque sono le aree strategiche da sviluppare a proposito del proprio capitale umano (leadership, competenze manageriali e soft skills di dirigenti e dipendenti; transizione amministrativa; transizione digitale; transizione ecologica; valori e principi delle amministrazioni pubbliche).

In più parti si sottolinea che la formazione è obbligatoria. Principio che rivoluzionerebbe il sistema e che farebbe tirare un sospiro di sollievo a tutti i dirigenti delle risorse umane in costante conflitto con dipendenti a dir poco recalcitranti in materia di formazione. Il ministro però subito dopo ritorna sui propri passi. 

Dopo aver richiamato, infatti, per tutte le amministrazioni e, con i dovuti distinguo, anche per i loro dipendenti, l’obbligatorietà della formazione in materia di:

a) attività di informazione e di comunicazione delle amministrazioni (l. n. 150 del 2000, art. 4); 

b) salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (d.lgs. n. 81 del 2008, art. 37); 

c) prevenzione della corruzione (l. n. 190 del 2012, art. 5);

d) etica, trasparenza e integrità;

e) contratti pubblici;

f) lavoro agile;

g) pianificazione strategica,

precisa che non è una formazione obbligatoria «perché “prescritta” da specifiche disposizioni normative – che pure, come in precedenza evidenziato, riguardano alcuni ambiti – ma in quanto “necessaria” affinché ciascun dipendente accetti e faccia propri gli obiettivi, gli strumenti e le azioni di cambiamento e in modo da diventare a sua volta promotore di innovazione».

Ritorniamo quindi al punto di partenza. 

Che il dipendente accetti e faccia propri gli obiettivi del cambiamento è, se vogliamo, uno dei principali obiettivi di ogni percorso di formazione (che dovrebbe sempre tendere al cambiamento, altrimenti paleserebbe la sua inutilità). La stessa accettazione del dipendente diventa quindi il risultato dell'azione formativa e non ne costituisce un prerequisito.

Però, e questo è certamente un suo merito, una strategia ti viene in mente leggendo la direttiva: si potrebbe inserire la formazione in uno degli obiettivi da conseguire per il dipendente nell'accordo individuale per il lavoro agile e così ovviare ad un problema tanto diffuso in ogni realtà pubblica.

Ma andiamo avanti. In più parti si sottolinea il ruolo della formazione come fattore motivante all’azione pubblica.

"La formazione deve contribuire a rafforzare, diversificare e ampliare le competenze, le conoscenze e le abilità dei dipendenti, permettendo loro di affrontare nuove richieste, risolvere problemi complessi e contribuire efficacemente al raggiungimento degli obiettivi organizzativi e di valore pubblico." 

Qui niente di nuovo o sorprendente: competenze, conoscenze e abilità.

Interessante invece la riflessione sulle quattro diverse dimensioni: organizzativa, professionale, individuale e di riequilibrio demografico.

La dimensione organizzativa attiene alle esigenze formative che derivano dalle scelte strategiche dell’amministrazione.

Quella professionale pone il focus sulla valutazione dei ruoli organizzativi e richiede un'analisi attenta per individuare la distanza esistente tra i compiti e le performance attuali e quelle desiderate.

L’analisi dei fabbisogni individuali identifica le esigenze di formazione del singolo dipendente in funzione del ruolo ricoperto e del suo potenziale piano di sviluppo professionale. E questo richiede un confronto costante del dirigente con il singolo dipendente.

La dimensione del riequilibrio demografico sposta l'attenzione di nuovo dal singolo ai gruppi di appartenenza, a quelle categorie della comunità lavorativa (ad esempio sui neoassunti, sui dipendenti con disabilità, sui dipendenti prossimi all'acquiescenza, sul disequilibrio di genere, sui dirigenti, solo per fare qualche esempio) che necessitano di uno specifico percorso formativo.

La formazione quindi quale strumento principale per lo sviluppo e la valorizzazione delle persone. Fare in modo che le competenze, ma direi anche i talenti di ciascuno diventino patrimonio di tutta l'organizzazione, capace di autoapprendere (learning organization) e divenire generativa di costante innovazione, con la creazione di un vero e proprio sistema di gestione delle conoscenze. Ma se tutto ciò è relativamente facile per un ente formativo come l'università, diventa particolarmente ostico e complesso per un piccolo comune.

Ma c'è un altro tema che suscita da tempo una vivace discussione, ad esempio nelle università. Il ministro dice "senza la promozione di questa dimensione valoriale, la formazione non produce il “valore aggiunto”. 

La formazione produttrice di valore aggiunto per i dipendenti, per le stesse amministrazioni, per i loro stakeholder. La formazione, come tutte le attività di una PA, determina un impatto sulla collettività. 

Che va misurato.

Come misurarlo, neanche un rigo.

E veniamo al PIAO. Il convitato di pietra di tutto questo discorso. Si, perché è nel piao che occorre tradurre tutti questi principi in linee di azione programmatiche con indicazione di obiettivi organizzativi e individuali.

Dice il ministro che «la disciplina del PIAO stabilisce che gli obiettivi formativi annuali e pluriennali devono essere finalizzati ai processi di pianificazione secondo le logiche del project management, al raggiungimento della completa alfabetizzazione digitale, allo sviluppo delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali e manageriali». Le persone che ricevono formazione in aree come l’etica, l’analisi delle politiche e il coinvolgimento degli stakeholder sono meglio preparate a prendere decisioni che contribuiscono alla creazione di valore pubblico.

Creazione di un ambiente di apprendimento che incoraggia le persone a pensare in modo critico, esplorare nuove idee e affrontare i problemi creativamente. Ogni dipendente dovrebbe essere potenzialmente agente di cambiamento. Per far questo occorre quindi che ogni amministrazione nel Piao, nella sezione dedicata all'organizzazione e al capitale umano, evidenzi le azioni per sviluppare le competenze di leadership (Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione 28 novembre 2023) e le soft skill (Decreti del Ministro per la pubblica amministrazione 28 settembre 2022 e 28 giugno 2023), le competenze per l’attuazione delle transizioni amministrativa, digitale e ecologica, le competenze relative ai valori e ai princìpi che contraddistinguono il sistema culturale di pubbliche amministrazioni moderne improntate all’inclusione, all’etica, all’integrità, alla sicurezza e alla trasparenza. In tutti i propri dipendenti, dal primo all'ultimo. Le transizioni di cui parla il ministro indicano la necessità di passare da una condizione ad un'altra. Implicano un cambiamento. Ma vediamo una per una queste transizioni.

Transizione amministrativa: fare progetti più che eseguire regole (=abbattere il 'burocratismo', a proposito: un grazie al ministro per non aver usato, nella sua nuova direttiva, questo termine, odioso a tutti i dipendenti pubblici che si affannano quotidianamente per il soddisfacimento dell'interesse pubblico senza scavalcare il dettato normativo e si sentono poi etichettati spregiativamente da chi non immagina neppure la difficoltà di tale lavoro); adattare flessibilmente l’organizzazione e le procedure ai mutamenti di contesto, definire quindi una vera e propria mappatura dei processi (che definisca un percorso, il più rapido ed efficiente per raggiungere l'obiettivo dell'efficacia dell'agire amministrativo) ma con la consapevolezza che questi processi possono essere in magmatico divenire e quindi non fossilizzati una volta per tutte; avere la capacità  di prevedere e anticipare i problemi prima che essi si presentino. Ciò richiede, dice il ministro, "un mutamento culturale, lo sviluppo di un atteggiamento proattivo, anticipante, resiliente".

Transizione digitale. La novità rispetto alla direttiva del 2023 quasi tutta centrata sull'invito o, meglio, il comando rivolto alle PPAA di sviluppare le competenze digitali nei propri dipendenti, è tutta qui: "AI literacy”, che altro non vuol dire che tutti i dipendenti pubblici devono conoscere l'abc dell'intelligenza artificiale generativa.

Ma si ribadisce anche quanto già detto in altre direttive: "I processi organizzativi e decisionali devono essere ripensati alla luce dell’obiettivo della loro digitalizzazione, che a sua volta deve essere strumentale o comunque coerente rispetto alle esigenze di semplificazione". L’obiettivo della sostenibilità, inoltre, deve orientare la politica di semplificazione. 

La parola sostenibilità ci introduce quindi alla Transizione ecologica. Qui il riferimento europeo è il GreenComp, il Quadro europeo delle competenze in materia di sostenibilità del 2022, consultabile al seguente indirizzo. L'applicazione responsabile del principio “do no significant harm” (DNSH), divenuto ormai familiare a tutti coloro che si occupano di attività amministrative legate alla ricerca. La conoscenza delle buone pratiche per promuovere il risparmio e l’efficienza energetica negli edifici e quindi l'adozione di soft law (linee guida, vademecum, informazioni e formazione sulla sostenibilità); la capacità di riconoscere e applicare soluzioni di mobilità sostenibile (come, ad esempio, l'adozione di un parco di ebike, magari in collaborazione con enti e cooperative sociali come fatto dal nostro Ateneo con il progetto "A tutto no gas", spingendo studenti e dipendenti a muoversi tra i plessi dell'ateneo sfruttando questi mezzi).

Insomma, il ministro ci dice che non solo dobbiamo porre costante attenzione alla formazione e incrementare il numero delle ore in capo a ciascun dipendente, ma ci ricorda anche gli strumenti messi in campo dal Dipartimento della funzione pubblica per aiutare le amministrazioni a raggiungere questo obiettivo: il syllabus, il performapa, il pa110elode, la pro3 (dove si possono inserire specifici obiettivi di ateneo proprio sulla formazione), i poli formativi territoriali della SNA.

Ricorda poi che ciascuna amministrazione deve tracciare il numero effettivo di destinatari che hanno completato, con successo, ciascun intervento formativo pianificato con la predisposizione di open badge che attestino il completamento della formazione e la creazione di un fascicolo della formazione per ogni dipendente.

In ultimo, un annuncio. 

Dopo ormai tre anni di sperimentazioni operate, sulla propria pelle, da parte di ogni amministrazione che ha redatto il PIAO come meglio ha potuto e in modo molto disomogeneo a livello di sistema, il ministro ci dice che dobbiamo verificare l'impatto degli investimenti in formazione in coerenza con le Linee guida in materia di predisposizione del PIAO in corso di emanazione.

Speriamo. E soprattutto speriamo di trovare qualche indicazione in merito alla misurazione dell'impatto.

Ad un prossimo appuntamento per commentare queste linee guida.