La perdita di competenze e di professionalità con il pensionamento del personale amministrativo nelle università italiane
La perdita di competenze e di professionalità con il pensionamento del personale amministrativo nelle università italiane
Abstract: Questo articolo propone una riflessione critica e autobiografica sull’impatto del pensionamento di una generazione di dirigenti e funzionari esperti nelle università italiane. Con uno sguardo più ampio e narrativo, si analizzano le conseguenze della perdita di competenze consolidate, i vuoti organizzativi che ne derivano e le difficoltà nel mantenere una continuità amministrativa in un sistema che, pur rinnovandosi, spesso fatica a valorizzare il capitale umano esistente. Il testo mette in luce il carattere umano di questa transizione, tra nostalgia e speranza, sottolineando come la conoscenza non possa essere sostituita unicamente da procedure digitali.
Introduzione
Il pensionamento, all’interno delle università italiane, non rappresenta solo un cambiamento anagrafico o un passaggio di consegne formale: è una trasformazione profonda, che incide sul tessuto culturale e operativo degli atenei.
Ogni persona che lascia il servizio porta con sé un bagaglio di esperienze difficilmente trasmissibili. Dietro le scrivanie, negli archivi, nelle aule e nei corridoi degli uffici, restano anni di conoscenza tacita, di strategie silenziose per risolvere problemi, di relazioni costruite nel tempo.
In qualità di ex responsabile degli uffici di gestione del personale, del reclutamento e dei procedimenti disciplinari, ho potuto osservare con crescente preoccupazione come questa fase di transizione porti spesso a un vuoto di competenze che rischia di far retrocedere i processi amministrativi.
Non si tratta di semplice nostalgia del passato, ma della constatazione che alcune capacità operative, maturate in contesti complessi, non trovano eredi pronti o strumenti equivalenti per garantire la stessa efficacia.
Il vuoto lasciato dalla perdita di competenze: un arretramento inevitabile
Le professionalità maturate in decenni di lavoro rappresentano un patrimonio immateriale di grande valore. Non si tratta solo di saper applicare una norma, ma di comprenderne lo spirito, di interpretarla alla luce della prassi e delle relazioni umane.
Chi come me ha lavorato per oltre quarant’ anni in un ufficio sa che la gestione quotidiana non si fonda soltanto su norme e regolamenti, ma anche sulla capacità di mediazione, sull’intuizione e sulla conoscenza delle persone e delle strutture.
Quando queste figure vanno in pensione, si assiste spesso a un arretramento silenzioso ma reale: pratiche che si complicano, procedure che si allungano, decisioni che richiedono più passaggi. Le nuove generazioni di personale, pur motivate e spesso più digitalmente competenti, si trovano a dover affrontare un terreno che non conoscono ancora fino in fondo.
Senza un accompagnamento adeguato, il rischio è quello di reinventare processi già consolidati, perdendo tempo e qualità.
Come si dice in modo popolare, 'tutti sono utili ma nessuno indispensabile', eppure nella realtà organizzativa non è sempre così semplice.
Le attività vengono portate avanti, ma con maggiore fatica, incertezza e senza una visione complessiva. Il patrimonio di esperienza si dissolve gradualmente, lasciando dietro di sé un senso di smarrimento diffuso.
Un patrimonio non replicabile
Molti ritengono che la digitalizzazione e la formazione continua possano compensare la perdita di competenze dovuta ai pensionamenti. In realtà, il sapere amministrativo è una miscela complessa di competenze tecniche, relazionali e storiche.
Le piattaforme informatiche rendono i processi più rapidi, ma non possono sostituire la capacità di interpretare le situazioni e di anticipare i problemi, qualità che si sviluppano solo con l’esperienza diretta.
Le nuove leve, pur animate da entusiasmo e preparazione accademica, si trovano spesso a gestire frammenti di conoscenze senza una visione organica. La memoria organizzativa, quella che un tempo era custodita nei corridoi e negli scambi informali davanti ad un caffe tra colleghi, tende a perdersi in un contesto sempre più burocratizzato.
Senza figure di riferimento esperte, gli uffici rischiano di smarrire il filo conduttore che tiene insieme le diverse funzioni.
Questo patrimonio umano, costruito nel tempo, non è replicabile con corsi online o manuali operativi. Si tratta di un sapere incarnato, vissuto quotidianamente, che unisce la conoscenza tecnica al senso di appartenenza istituzionale.
La sfida per le università non è soltanto sostituire le persone, ma garantire che il loro modo di lavorare e di pensare non venga completamente disperso.
La formazione come presidio fragile e necessario
Durante la mia carriera, ho sempre considerato la formazione come il principale antidoto contro il declino delle competenze. Tuttavia, la formazione tradizionale, basata su lezioni frontali o moduli teorici, credo non sia sufficiente. Serve una formazione che nasca dall’esperienza, dal fare rete, dal confronto diretto, da un accompagnamento continuo tra generazioni. Il mentoring, se ben strutturato, può rappresentare un ponte tra il passato e il futuro.
In molti atenei si stanno sperimentando forme di tutoraggio tra personale senior e neoassunti, ma troppo spesso queste iniziative rimangono episodiche. La mancanza di un riconoscimento formale e di incentivi adeguati frena la diffusione di buone pratiche. Eppure, creare uno spazio di dialogo intergenerazionale significherebbe valorizzare non solo le competenze, ma anche la cultura del servizio pubblico che è alla base della vita universitaria.
Conclusioni: la sfida di accettare e gestire un vuoto irreversibile
La transizione generazionale nelle università italiane rappresenta oggi una sfida cruciale. Il pensionamento massiccio di dirigenti e funzionari esperti lascia un’eredità difficile da raccogliere, ma anche un’occasione per ripensare i modelli organizzativi.
Il vuoto di competenze lasciato dal pensionamento è un dato di fatto, destinato a incidere profondamente sulle procedure e sulla cultura amministrativa.
Accettare che nulla sarà più come prima non significa arrendersi, ma riconoscere la necessità di costruire nuovi equilibri.
Le università devono investire nella mappatura delle competenze, nella valorizzazione delle risorse umane e nella creazione di percorsi di crescita che uniscano tradizione e innovazione.
Solo attraverso una politica lungimirante, che riconosca il valore della conoscenza esperienziale, sarà possibile trasformare il vuoto generazionale in un’occasione di rigenerazione.