La rivalsa dell’assicurazione nei confronti degli eredi dell’assicurato nel caso di imputabilità del sinistro a quest’ultimo
La rivalsa dell’assicurazione nei confronti degli eredi dell’assicurato nel caso di imputabilità del sinistro a quest’ultimo
ABSTRACT: L’azione di rivalsa della Compagnia di assicurazione nei confronti degli eredi dell’assicurato de cuius, nel caso in cui la responsabilità del danno a questi occorso sia stata causata dalla grave violazione delle norme disciplinanti la circolazione del veicolo, non può essere esercitata in quanto in tal caso manca il presupposto (scusabilità dell’errore commesso dalla Compagnia stessa, la quale aveva comunque deciso di corrispondere agli eredi la somma prevista a titolo di risarcimento) affinchè la richiesta di restituzione della somma versata possa essere ritenuta fondata.
The insurance company's compensation action against the heirs of the deceased insured, in the event that the responsibility for the damage suffered by them was caused by the serious violation of the rules governing the circulation of the vehicle, cannot be exercised as in this case the prerequisite is missing (excusability of the error committed by the Company itself, which had nevertheless decided to pay the heirs the sum foreseen as compensation) for the request for repayment of the sum paid to be considered founded.
La Cassazione Sezione Terza Civile è stata chiamata a pronunciarsi in merito all’esperibilità, da parte dell’impresa di assicurazione (di seguito “Compagnia”), di un’azione di rivalsa nei confronti degli eredi dell’assicurato, consistente nella ripetizione delle somme versate agli stessi eredi in conseguenza di un sinistro il quale aveva causato il decesso dell’assicurato e che tuttavia era derivato dalla violazione, da parte di quest’ultimo, delle clausole contrattuali relative alla sicurezza del veicolo.
La Compagnia aveva convenuto in giudizio gli eredi di una persona deceduta (Tizio) a seguito di un sinistro stradale, in quanto la copertura assicurativa non doveva considerarsi operante a beneficio del medesimo (e quindi, dei di lui eredi), per i seguenti motivi: il contratto di assicurazione stipulato con riferimento a quel veicolo (ciclomotore) escludeva la copertura nel caso di trasporto irregolare di persone, ed invece il veicolo, che era stato omologato per una sola persona (Tizio), risultava essere stato guidato, al momento del sinistro, da un’altra persona (Caio), alla quale il Giudice di primo grado attribuì la principale responsabilità del sinistro stesso; nel contratto vi era una clausola la quale prevedeva che, nel caso di violazione della suddetta norma, la Compagnia avrebbe potuto ripetere dall’assicurato le somme versate alla vittima del sinistro, vittima che in tal caso coincideva con l’assicurato stesso. Di conseguenza, gli eredi di Tizio si trovavano – secondo quanto sostenuto dalla Compagnia – nella duplice condizione di “terzi danneggiati” dalla morte di un loro congiunto, e, al tempo stesso, di obbligati, iure successionis, a restituire alla Compagnia medesima quanto da questa a loro stessi versato. In sostanza, gli eredi del defunto rivestivano la duplice veste di creditori (in quanto, appunto, “terzi danneggiati”) e di debitori dell’assicurazione (essendo subentrati nell’obbligazione restitutoria facente capo all’assicurato, obbligazione nascente dal fatto che quest’ultimo aveva violato le norme contrattuali relative alla sicurezza del veicolo).
Gli eredi, nell’opporre la illegittimità della domanda restitutoria, invocavano l’art. 2 della Direttiva 84/5/CEE, il quale prevede che l’esclusione, dalla copertura assicurativa, dei danni causati dal mancato rispetto delle norme disciplinanti le condizioni di sicurezza della circolazione del veicolo, non pregiudica, suo malgrado, “l’azione dei terzi vittime del sinistro”. Pertanto, gli eredi, sostenendo di rivestire la qualità di “terzi vittime” del sinistro, ritenevano che la clausola contrattuale, la quale attribuiva alla Compagnia il diritto di rivalsa nei confronti di tali “terzi”, dovesse ritenersi nulla per violazione della Direttiva.
Tuttavia, tale nullità era stata eccepita per la prima volta soltanto in Cassazione, ossia nel giudizio di legittimità, ragion per cui la Sezione Terza Civile, mediante rinvio pregiudiziale, chiede alla CGUE di accertare “se l’art. 2 della Direttiva 84/5/CEE, in un caso come quello oggetto del presente giudizio, osti ad una normativa nazionale che, per effetto dell’avvenuta formazione del giudicato interno al processo civile italiano, impedisca di rilevare per la prima volta in sede di legittimità la nullità d’una clausola, inserita in un contratto di assicurazione della r.c.a., la quale in violazione della suddetta Direttiva consenta all’assicuratore di agire in rivalsa nei confronti della persona trasportata che cumuli in sé la qualità di danneggiato e di assicurato”.
In sostanza la domanda è questa: l’art. 2 della Direttiva può considerarsi talmente forte da rendere irrilevante il fatto che la sua violazione sia stata denunciata per la prima volta soltanto in sede di legittimità, e non anche nei precedenti gradi di giudizio?
Se guardiamo al diritto nazionale, ossia al codice di procedura civile, va rilevato che il Giudice ha l’obbligo di rispettare le norme comunitarie tutte le volte che le parti gli abbiano chiesto di decidere secondo equità (art. 412 quater c.p.c.), pena l’appellabilità della decisione (art. 339 c.p.c.).
Pertanto, il principio è quello per cui il Giudice nazionale, anche quando viene legittimato dalle parti a decidere in via equitativa e dunque in senso (potenzialmente) contrario alle norme nazionali o comunque difforme dalle stesse, è comunque vincolato al rispetto delle norme comunitarie, le quali quindi non possono essere derogate dal potere discrezionale del Giudice. Il diritto comunitario deve essere applicato dal Giudice indipendentemente dalla richiesta delle parti (ed anche, eventualmente, contro tale richiesta). Ma allora ciò significa che, quand’anche la parte interessata a far valere la violazione del diritto comunitario abbia sollevato tale eccezione solo in Cassazione e non anche nei precedenti gradi di giudizio, l’eccezione deve considerarsi come ammissibile, appunto perché l’obbligo di attuazione della norma comunitaria sussiste in capo al Giudice anche in assenza di una precisa istanza delle parti (oppure contro quest’ultima): questo obbligo, se opera anche quando le parti non ne hanno “mai” fatto richiesta (esse, infatti, hanno solo chiesto al Giudice di decidere secondo equità, e non anche in conformità alle norme comunitarie), dovrà operare, a maggior ragione, quando una di esse ne abbia fatto richiesta quanto meno una volta nel procedimento giudiziario (ossia innanzi alla Cassazione), senza che il “giudicato interno”, formatosi a seguito della mancata proposizione della domanda nei precedenti gradi di giudizio, possa costituire un ostacolo a ciò.
Venendo all’esame del merito della questione, si tratta di vedere se l’art. 2 della Direttiva 84/5/CEE – in base al quale la violazione, da parte dell’assicurato, delle norme relative alle condizioni di sicurezza del veicolo, non impedisce il risarcimento del danno in favore dei terzi vittime del sinistro, terzi che in tal caso coincidono con gli eredi dell’assicurato stesso – sia da considerare quale norma imperativa a livello unionale, e quindi come prevalente sul diritto nazionale, oppure se gli Stati membri mantengano una certa autonomia nella disciplina della fattispecie relativa al caso in cui il danneggiato sia stato, al tempo stesso, anche responsabile del danno.
Ai sensi dell’art. 1900 c.c., “l'assicuratore non è obbligato per i sinistri cagionati da dolo o da colpa grave del contraente, dell'assicurato o del beneficiario, salvo patto contrario per i casi di colpa grave”.
Nel caso di specie, l’assicurato, deceduto a seguito del sinistro, è stato, al tempo stesso, corresponsabile di quest’ultimo, in quanto ha consentito ad un’altra persona di salire sul veicolo e di guidarlo, nonostante che il contratto vietasse il trasporto di altre persone. Quindi si è configurata una “colpa grave” dell’assicurato.
La Direttiva è rubricata “ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli”, e quindi la finalità è quella di dettare norme applicabili in tutti gli Stati. Ebbene, l’art. 1 attribuisce agli Stati membri la facoltà di istituire un organismo avente il compito di rimborsare i danni alle cose o alle persone causati da un veicolo non identificato o per il quale non vi è stato adempimento dell'obbligo di assicurazione. La tutela assicurativa può essere accordata dallo Stato al terzo il quale sia stato danneggiato da un veicolo non assicurato, e che quindi abbia riportato un danno causato dall’inadempimento del danneggiante, guidatore del veicolo, ad un obbligo di legge, quale appunto quello della copertura assicurativa.
Cosa si può evincere da ciò? Che la finalità della Direttiva in materia di assicurazioni è quella di proteggere chi sia stato danneggiato da un’inadempienza (omessa stipula del contratto di assicurazione), e non chi (l’assicurato, nel caso di specie) si sia reso responsabile della medesima (vedi violazione delle clausole contrattuali).
Proprio per questo motivo, allora, tale tutela non può essere concessa al danneggiato quando il danno sia stato causato dalla violazione, da parte sua, delle norme del contratto di assicurazione disciplinanti l’uso del veicolo, poiché tale violazione, essendo attinente ad un elemento essenziale del contratto (ossia l’obbligo di rispettare le condizioni previste ai fini del risarcimento del danno), equivale, nella sostanza, alla mancata stipula del contratto stesso.
Di conseguenza, la clausola – contestata nel giudizio in commento – la quale prevede la rivalsa, da parte della Compagnia, nei confronti dei prossimi congiunti dell’assicurato, deve essere ritenuta legittima: l’assicurato, se da un lato è stato vittima del sinistro, dall’altro ne è stato anche “colpevole” autore, non avendo adempiuto ad uno specifico obbligo di “non facere” (trasporto di terzi) previsto dal contratto.
Tale tesi comporta pertanto un ridimensionamento del carattere “imperativo” della norma contenuta nell’art. 2 della Direttiva, nel senso che la violazione, da parte dell’assicurato (che sia stato anche danneggiato dal sinistro), delle norme disciplinanti l’utilizzo del veicolo, determina l’esperibilità, da parte della Compagnia, dell’azione restitutoria nei confronti dei terzi danneggiati (gli eredi dell’assicurato deceduto).
Ciò premesso, tuttavia, la vera questione – a parere di chi scrive – è vedere se sia legittimo che la Compagnia, pur dopo aver corrisposto agli eredi dell’assicurato, deceduto a causa di un sinistro da lui causato (vedi violazione delle clausole negoziali relative alla sicurezza del veicolo), possa agire in rivalsa contro i medesimi, esigendo la restituzione della somma versata, a motivo del fatto che la responsabilità del sinistro sia derivata da colpa del de cuius.
La Direttiva, nelle Premesse, prevede che “è necessario accordare ai membri della famiglia dell'assicurato, del conducente o di qualsiasi altro responsabile una protezione analoga a quella degli altri terzi vittime, comunque per quanto riguarda i danni alle persone”.
L’art. 3 stabilisce che “i membri della famiglia dell'assicurato, del conducente o di qualsiasi altra persona la cui responsabilità civile sia sorta a causa di un sinistro e sia coperta dall'assicurazione di cui all'articolo 1, paragrafo 1, non possono essere esclusi, a motivo del legame di parentela, dal beneficio dell'assicurazione per quanto riguarda i danni alle persone”.
Ciò posto, si tratta di vedere se l’art. 2 della Direttiva – quando dice che la violazione, da parte dell’assicurato, degli obblighi relativi alla sicurezza del veicolo, non pregiudica “l’azione dei terzi vittime di un sinistro” – si riferisca effettivamente anche agli eredi del danneggiato oppure soltanto ai terzi “non eredi”.
Ritenere che la norma si riferisca anche ai terzi “eredi” del danneggiato, vuol dire che l’erede viene di fatto a fruire di un risarcimento conseguente ad un sinistro il quale è stato colpevolmente causato dall’assicurato de cuius attraverso la violazione delle clausole contrattuali in materia di sicurezza del veicolo, e quindi non per un sinistro che a quest’ultimo sia stato cagionato da altri. In questo modo l’erede fruisce di un ristoro che tuttavia all’assicurato de cuius non sarebbe mai stato riconosciuto, in quanto responsabile egli stesso del sinistro. Gli eredi, proprio perché tali, possono subentrare nei diritti dell’assicurato de cuius solo quando
la responsabilità del danno causato a quest’ultimo sia da ascrivere a terzi.
Laddove, invece, lo stesso assicurato sia stato responsabile del danno ad egli occorso, si configurerà in capo al medesimo una “assenza di diritto” alla copertura assicurativa, e di conseguenza la Compagnia non sarà tenuta a versare agli eredi alcuna somma: se l’assicurato de cuius non aveva alcun diritto, la Compagnia non dovrà adempiere a nessun obbligo né verso di lui né, proprio per questo motivo, verso gli eredi, perché questi non possono subentrare in un diritto che non esiste.
Il punto, tuttavia, è che nel caso di specie la Compagnia aveva comunque versato, agli eredi dell’assicurato de cuius, la somma prevista in conseguenza del sinistro a lui occorso, dimostrando pertanto di voler riconoscere l’assicurato, e, a causa del suo decesso, i di lui eredi come “aventi diritto” alla copertura assicurativa.
Quindi, se da un lato l’art. 2 della Direttiva si presta, in base al principio generale della imputabilità del danno, ad essere interpretato nel senso che i “terzi vittime del sinistro” sono tutti tranne che gli eredi dell’assicurato responsabile del sinistro, dall’altro lato la Compagnia, avendo comunque corrisposto agli eredi stessi il risarcimento, aveva dimostrato di voler riconoscere l’assicurato, e quindi i di lui eredi, come “vittime” del sinistro. Ebbene, tale riconoscimento mal si concilia con una “azione di rivalsa” verso gli eredi, in quanto simile azione potrebbe giustificarsi solo nel caso in cui la persona danneggiata sia stata un terzo ed il danno sia stato causato per colpa dell’assicurato (rivalsa che poi normalmente consiste in un amento del premio a carico di quest’ultimo), e non nel caso in cui la persona danneggiata sia stata l’assicurato stesso. La “rivalsa” consiste in un’azione di regresso che un soggetto, il quale abbia pagato ad un terzo (creditore) il debito di un altro, esercita nei confronti di quest’ultimo. Qui, invece, la Compagnia vuole agire in “rivalsa” nei confronti dello stesso creditore al quale essa ha corrisposto la somma. Più che di “rivalsa”, si dovrebbe allora parlare di un’azione di “ripetizione d’indebito”, dettata dal fatto che la Compagnia ha pagato quando invece in realtà (vedi “assenza del diritto” in capo all’assicurato e quindi ai di lui eredi) non doveva (art. 2033 c.c.).
Il punto, tuttavia, è che la “non debenza” del pagamento rileva quale presupposto dell’azione di ripetizione solo laddove chi ha versato la somma sia incorso in un “errore di diritto”, ossia abbia, appunto erroneamente, ritenuto di essere obbligato alla prestazione. Tale “errore”, però, per poter essere considerato “scusabile” e quindi legittimante la suddetta azione, deve derivare dal fatto che chi l’ha commesso “poteva non sapere” che cosa effettivamente prevedesse la legge. Nel caso della Compagnia, simile “errore”, siccome ha riguardato un elemento essenziale del contratto di assicurazione, ossia l’esclusione del diritto alla copertura assicurativa nell’ipotesi di colpa grave dell’assicurato, assume la consistenza di un errore “non scusabile”, in quanto è stato commesso dalla parte – appunto, la Compagnia – che predispone il contratto stesso e che quindi stabilisce, essa per prima, la suddetta esclusione, alla quale il contraente (potenziale futuro assicurato) può anche decidere di non aderire, esigendo il diritto alla copertura pure nell’ipotesi di sua colpa grave (vedi violazione delle clausole riguardanti le condizioni di sicurezza della circolazione del veicolo). Pertanto, poiché il risarcimento del sinistro è avvenuto per errore “non scusabile”, viene a cadere il presupposto previsto per l’esperibilità, da parte della Compagnia, dell’azione di ripetizione d’indebito.
Per le ragioni sopra esposte, quindi, la richiesta di rivalsa rivolta dalla Compagnia contro gli eredi dell’assicurato deceduto, deve essere considerata come priva di fondamento.