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Abuso del diritto e rimedi

Abuso del diritto
Abuso del diritto

Abuso del diritto e rimedi

 

Abstract

Il presente contributo si prefigge di individuare, da un punto di vista normativo, la figura dell’abuso del diritto, per poi individuare i rimedi codicistici applicabili.

The aim of this contribution is to identify, from a regulatory point of view, to then identify the applicable codicystic remedies.

 

Inquadramento normativo

L’inquadramento dei punti nodali che involgono le questioni in esame richiede una preliminare disamina della disciplina del divieto di abuso del diritto e dei rimedi approntati dall’ordinamento. Ragioni d’ordine logico-espositivo impongono di soffermarsi, anzitutto, sul divieto di abuso del  diritto.

Quest’ultimo è un limite esterno che opera quando il titolare di un diritto, sebbene disponga del relativo potere di esercizio secondo una pluralità di modalità attuative non rigidamente predeterminate, decida di esercitarlo per conseguire obiettivi diversi e ulteriori, generando un’ingiustificata sproporzione tra il beneficio del titolare e il sacrificio subito dalla controparte.

Sotto un profilo storico, giova osservare come l’abuso del diritto, nell’ambito dell’ordinamento italiano, non trova un’espressa definizione sul piano legislativo e, in particolare, su quello codicistico.

Ciò a differenza dell’iniziale progetto di codificazione italo-francese (codice delle obbligazioni) e del progetto definitivo al codice civile del 1942, ove si pensava di introdurre una norma che prevedesse il divieto di abusare di posizioni soggettive attive.

L’entrata in vigore della Carta costituzionale, successiva all’introduzione del codice civile, consente una nuova lettura, in chiave evolutiva, dell’abuso del diritto, il cui limite trova pacifico riconoscimento nel principio di solidarietà sociale ex art. 2 Cost. Parametro costituzionale, questo, da cui si dirama la clausola generale di buona fede, la quale, come si vedrà a breve, costituisce un principio immanente all’ordinamento giuridico, in quanto tale sotteso all’intera disciplina del codice civile, che deve essere sempre tenuto in considerazione al fine di governare l’esercizio del diritto e, dunque, di limitarne l’abuso.

Fermo il superiore rilievo, va osservato che l’esercizio abusivo del diritto subisce un ulteriore temperamento ove letto alla luce dell’art. 41 Cost., il quale, nel sancire il principio di libera iniziativa economica, prevede che essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare un pregiudizio alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

Il divieto di abuso del diritto, già implicitamente cristallizzato nei paradigmi costituzionali sopra delineati, risulta altresì suffragato dal più ampio contesto ordinamentale in cui esso si colloca.

Infatti, sia l’art. 17 della CEDU, sia l’art. 54 della Carta di Nizza prevedono espressamente il divieto in parola, la cui portata è destinata a produrre effetti nell’ordinamento giuridico interno, stante la loro natura di norme interposte che integrano il parametro di legittimità costituzionale previsto dall’art. 117, comma 1, Cost.

In base alla suddetta cornice normativa, è possibile tracciare il perimetro di operatività del divieto di abuso del diritto, declinandolo all’attuale sistema codicistico. Sul punto, appare opportuno precisare come tale divieto possa manifestarsi sia nell’ambito dei diritti reali, sia in quello dei diritti relativi.

Quanto ai primi, l’abuso del diritto trova implicita esistenza, in primo luogo, negli artt. 832 e 833 c.c., i quali, sebbene sistematicamente collocati in apertura delle disposizioni generali attinenti alla proprietà, ne stabiliscono il limite di esercizio, comportando un temperamento al criterio dell’assolutezza, quale caratteristica tipica dei diritti reali.

L’art. 833 c.c., in particolare, prevede il cd. divieto di atti emulativi, secondo cui il proprietario non può porre in essere atti che abbiano l’esclusivo scopo di nuocere o recare molestia ad altri.

La disposizione sopracitata, nel rappresentare l’emblema dell’abuso del diritto di proprietà, tuttavia, trova un campo di applicazione ristretto poiché essa richiede, ai fini del suo perfezionamento, la sussistenza di un elemento soggettivo consistente nell’animus nocendi.

La necessaria presenza della suddetta componente psicologica emerge da un’interpretazione letterale dell’art 833 c.c., il quale presuppone che il soggetto agisca al fine di recare un pregiudizio ad altri. Interpretazione, questa, che, malgrado non risulti condivisa da una parte della giurisprudenza, trova ampia giustificazione nei criteri ermeneutici delineati dall’art. 12 delle preleggi.

Il divieto di abuso del diritto si evince, altresì, dall’art. 844 c.c. Tale disposizione, nel prevedere la disciplina delle immissioni, è incentrata sul criterio della normale tollerabilità, quale parametro idoneo a costituire un limite al godimento del diritto di proprietà, il cui esercizio, nonostante l’adeguata copertura costituzionale ex art. 42 Cost., va bilanciato con il principio di solidarietà sociale e, da ultimo, con i principi maturati nell’ambito del diritto eurounitario e internazionale (artt. 7 della Carta di Nizza e 8 della CEDU).

Chiarito ciò, occorre adesso esaminare la rilevanza dell’abuso del diritto in seno ai rapporti obbligatori.

Entro questo orizzonte concettuale, la clausola generale di buona fede, oltre a costituire un insuperabile elemento di controllo dell’esercizio del diritto, postula l’insorgenza di obblighi in capo alle parti che, in base all’art. 1175 c.c., devono comportarsi secondo correttezza.

La funzione di protezione dall’abuso del diritto, accordata alla buona fede, trova applicazione anche nel caso dell’esercizio di un diritto potestativo, la cui caratteristica è la posizione di soggezione di una delle parti.

In argomento è necessario precisare, a lume degli artt. 2 Cost. e 1175 c.c., che l’esercizio di tale potere, di regola incondizionato, subisce un’evidente limitazione derivante dai principi di buona fede e solidarietà.

Principi, questi, che conferiscono al titolare di una posizione di soggezione la facoltà di sindacare l’esercizio abusivo di un diritto potestativo, consistente in un potere di modificazione e conformazione della sfera giuridica senza l’altrui collaborazione.

Paradigmatico, in tal senso, è il recesso ad nutum, il cui esercizio, ove non risulti funzionale alla soddisfazione di un interesse meritevole di tutela, e addirittura si riveli lesivo per la controparte, può essere contrastato a mezzo di una serie di rimedi diretti a paralizzarne l’efficacia.

Ai suddetti elementi concreti, desumibili dall’esame delle norme, devono aggiungersi considerazioni di ordine sistematico, giacché il divieto di abuso del diritto estende il proprio spettro applicativo alle ipotesi di abuso della personalità giuridica e di posizione dominante, nonché al caso di escussione dolosa della garanzia a prima vista nell’ambito del contratto autonomo di garanzia.

 

Rimedi codicistici

L’analisi delle tematiche esposte finora transita attraverso l’individuazione dei rimedi esperibili in caso di abuso del diritto, atteso che sussiste, anzitutto, un principio di carattere generale, consistente nell’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti.

Sul punto, occorre muovere dalla premessa che la corretta individuazione del rimedio, diretto a stigmatizzare l’esercizio abusivo, dipende dalla natura giuridica del diritto oggetto di questione.

Così, nel caso dei diritto relativi, l’ordinamento conferisce alla vittima la facoltà di far valere in giudizio la cd. exceptio doli generalis, quale strumento processuale, non positivizzato, diretto a paralizzare la domanda giudiziale avente per oggetto una pretesa in astratto fondata, ma in concreto preordinata al conseguimento di scopi non funzionali e pregiudizievoli per il convenuto.

La chiave di lettura del primo rimedio sopracitato risiede nel principio di solidarietà, il quale conferisce fondamento e legittimazione all’exceptio doli generalis, stante l’assenza di un’espressa previsione legislativa.

La portata generale del rimedio in esame, ancorché circoscritto nell’ambito dei diritti relativi, consente di spiegare le soluzioni prospettate dalla giurisprudenza nel caso del frazionamento del credito mediante la formulazione di domande in autonomi giudizi.

Soluzioni, queste, che hanno accolto l’exceptio doli generalis, comportando il rigetto della domanda.

Ancora, un ulteriore strumento utilizzabile dal debitore è riconducibile all’inesigibilità della prestazione, il cui meccanismo opera laddove la pretesa del creditore risulti abusiva in quanto contraria alla buona fede in executivis prevista dall’art. 1375 c.c.

Ciò posto, va osservato che l’ordinamento reagisce anche a fronte di fenomeni che, sebbene non rientrino nel campo dei rapporti obbligatori, costituiscono un abuso.

Al riguardo, non può invero sottacersi in ordine al cd. abuso della personalità giuridica, consistente nell’uso distorto della persona giuridica, che comporta la disapplicazione del regime normativo favorevole (limitazione della responsabilità) e l’estensione della responsabilità illimitata delle persone fisiche operanti dietro a essa.

Quanto esposto induce a ritenere, inoltre, che l’esercizio abusivo del diritto può cagionare anche un danno patrimoniale e non patrimoniale nei confronti della vittima, la quale risulta, pertanto, legittimata a chiederne il risarcimento.

In ordine a tale questione, giova precisare che l’individuazione della disciplina applicabile all’azione di risarcimento del danno dipende dalla natura giuridica della responsabilità. In particolare, nel caso di responsabilità aquiliana trova applicazione l’art. 2043 c.c., con evidenti ripercussioni in tema di onere della prova e di durata del termine di prescrizione breve.

Di contro, nel caso di abuso del diritto nell’ambito dei rapporti obbligatori, va applicata la disciplina scolpita negli artt. 1218 e segg. c.c., facendo rientrare, per tal via, l’illecito in esame all’interno del paradigma della responsabilità da inadempimento, a cui consegue il riparto dell’onere probatorio a carico del convenuto e la configurabilità della prescrizione ordinaria decennale.

Il precipitato processuale del divieto di abuso del diritto, sempre inquadrato alla luce del risarcimento del danno, è rinvenibile anche negli artt. 88 e 96 c.p.c.

Infatti, da tali disposizioni emerge la figura dell’abuso del processo, quale diretta conseguenza della violazione dei doveri di lealtà e probità e, lato sensu, dei principi del giusto processo ex art. 111 Cost.

Ne deriva che la parte lesa può esercitare l’azione di risarcimento del danno, legittimata dall’art. 96 c.p.c., nei confronti di chi si è abusivamente avvalso del processo.

Infine, il divieto di abuso del diritto nell’ambito dei diritti reali e, invero, anche dei diritti personalità potrebbe aprire la strada all’esperibilità dell’azione inibitoria, quale rimedio generale e atipico, diretto a impedire il protrarsi o il ripetersi di condotte illecite.

D’altra parte, il ricorso a tale rimedio appare in maggiore armonia con il già richiamato principio dell’effettività della tutela, la cui portata tende a consentire il concreto godimento del diritto, comportando il superamento della centralità assunta dall’azione di risarcimento del danno che, invece, svolge una funzione compensativa a carattere ex post.

 

Conclusioni

Alla luce di quanto sin qui esposto, può concludersi che il divieto di abuso del diritto, malgrado la mancata codificazione quantomeno sul piano legislativo interno, costituisce una forma di tutela immanente all’ordinamento, il cui fondamento riposa sul principio di solidarietà sociale previsto dall’art. 2 Cost., alla cui violazione conseguono i rimedi sopra analizzati.

Letture consigliate:

 

Art. 2 Cost. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

 

Art. 41 Cost. “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

 

Art. 17 CEDU “Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata come implicante il diritto per uno Stato, gruppo o individuo di esercitare un’attività o compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o porre a questi diritti e a queste libertà limitazioni maggiori di quelle previste in detta Convenzione”.

 

Art. 833 c.c. “Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri”.

 

Art. 844 c.c. “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”.

 

Art. 1175 c.c. “Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”.

 

Art. 1375 c.c. “Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”.

 

Art. 2043 c.c. “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.