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Impugnabilità del pagamento da parte del debitore

Impugnabilità del pagamento
Impugnabilità del pagamento

Impugnabilità del pagamento da parte del debitore

Abstract:  L’ art. 1192 c.c., quando prevede che il debitore può impugnare il pagamento fatto con cose di cui non poteva disporre, deve intendersi come attributivo del potere di chiedere l’annullamento del contratto, anche nel caso in cui l’altruità della cosa non sia stata riconoscibile da parte del creditore, e quindi in deroga all’art. 1431 c.c.

The art. 1192 of the Civil Code, when it provides that the debtor can challenge the payment made with things he could not have at his disposal, must be understood as attributing the power to request the annulment of the contract, even in the case in which the otherness of the thing was not recognizable by part of the creditor, and therefore in derogation of the art. 1431 c.c

Il diritto del debitore di impugnare il pagamento ex art. 1192 c.c. può essere esercitato anche nel caso in cui quest’ultimo sia stato inizialmente in mala fede, ossia fosse a conoscenza dell’altruità della cosa, in quanto egli, attraverso tale impugnazione, alla quale deve seguire la restituzione della cosa al legittimo proprietario, reintegra la sfera giuridica di quest’ultimo, la quale era stata illegittimamente lesa

The right of the debtor to challenge the payment pursuant to art. 1192 c.c. it can also be exercised in the event that the latter was initially in bad faith, meaning what was aware of the altruism of the thing, since he, through this challenge, which must be followed by the return of the thing to the legitimate owner, reinstates the legal sphere of the latter, which had been illegitimately violated

Quando il debitore, nell’impugnare il pagamento fatto con cose di cui non poteva disporre, offre di eseguire la prestazione con cose di cui può legittimamente disporre, le garanzie dei terzi costituite a tutela del credito rimangono operanti.

When the debtor, in contesting the payment made with things he could not have at his disposal, offers to perform the service with things he can legitimately have at his disposal, the third-party guarantees established to protect the credit remain in force.

 

Ai sensi dell’art. 1192 c.c., “il debitore non può impugnare il pagamento eseguito con cose di cui non poteva disporre, salvo che offra di eseguire la prestazione dovuta con cose di cui può disporre. Il creditore che ha ricevuto il pagamento in buona fede può impugnarlo, salvo il diritto al risarcimento del danno”.

Tizio (debitore), per adempiere all’obbligo contrattuale assunto verso Caio (creditore), ha consegnato a quest’ultimo una cosa che in realtà era di proprietà di un terzo (Mevio).

Per quanto riguarda l’impugnazione del pagamento da parte del debitore, si possono dare due casi.

 

Buona fede del debitore

Tizio, al momento in cui ha consegnato la cosa a Caio, non sapeva che questa fosse di proprietà di Mevio.

Egli, però, dopo aver fatto diligentemente delle ricerche, ha accertato tale diritto di proprietà, e quindi viene a sapere, dopo aver già fatto il pagamento, di essere incorso in un “errore”, ossia di aver, appunto erroneamente, ritenuto essere propria una cosa che invece era di altri, e quindi, sulla base di tale convinzione, di aver adempiuto in modo illecito (illiceità dell’oggetto, ex art. 1346 c.c.).

L’errore, ai sensi dell’art. 1429 c.c., è causa di annullamento del contratto, tra gli altri casi, anche quando esso cade “sull'identità dell'oggetto della prestazione”.

L’oggetto della prestazione corrisponde alla “cosa” utilizzata per adempiere, ex art. 1192 c.c. .

Quindi il debitore – in base all’art. 1429 c.c., il quale, essendo inserito nella disciplina delle obbligazioni, assume il carattere di norma generale – dovrebbe essere comunque legittimato a domandare l’annullamento del contratto.

Ai sensi dell’art. 1431 c.c., l’errore, per poter essere causa di annullamento del contratto, deve essere “riconoscibile dall’altro contraente”, ossia occorre che anche quest’ultimo ne fosse a conoscenza. Nel caso di cui all’art. 1192 c.c., sarebbe quindi necessario, al fine dell’azione di annullamento da parte di Tizio, che anche Caio sapesse dell’altruità della cosa, e che Caio fosse in mala fede.

Pertanto, il debitore Tizio potrà dirsi legittimato a chiedere l’annullamento del contratto solo nel caso in cui il creditore Caio sia stato a conoscenza dell’altruità, mentre, nel diverso caso in cui Caio non ne sia stato a conoscenza, egli non potrà esperire la suddetta azione.

In primo luogo, avanzare dubbi sulla legittimità dell’art. 1431 c.c. risulta quanto mai fondato, poiché si tratta di una norma contraddittoria: si prevede che la parte possa impugnare solo se l’errore, in cui essa è incappata, sia riconoscibile dalla controparte. Ebbene, quest’ultima, se ha riconosciuto l’errore, avrà tutto l’interesse ad evitare l’impugnazione ed a cercare con la parte una mediazione, in quanto sa perfettamente che, nel caso in cui la parte stessa impugni, il Giudice con ogni probabilità accerterà la sussistenza dell’errore ed accoglierà la domanda di annullamento, proprio perché anche la controparte medesima ne era a conoscenza.

Inoltre, porre, quale presupposto per l’esperibilità di un’azione giudiziale (in tal caso, l’annullamento), il riconoscimento dell’errore ad opera della controparte, vuol dire che quest’ultima deve condividere con la parte il motivo di impugnazione che questa intende far valere, il che sostanzialmente equivale a dire: “tu puoi impugnare soltanto se anche io sono d’accordo”; stabilire tale presupposto vuol dire compromettere l’esercizio del diritto di difesa.

In secondo luogo, nel caso dell’art. 1192 c.c., Tizio, nel chiedere l’annullamento del contratto, deve offrire a Caio di accettare una prestazione diversa, consistente nella consegna di una cosa della quale Tizio stesso può legittimamente disporre in quanto di sua proprietà. Egli, quindi, fa comunque un favore a Caio, in quanto gli consente di acquistare la disponibilità di un bene in un modo che è del tutto lecito, e di metterlo perciò al riparo da qualsivoglia azione di rivendica da parte di terzi, garantendo quindi al suo acquisto stabilità e certezza. Pertanto, stabilire, come fa l’art. 1431 c.c., che il debitore non possa chiedere l’annullamento del contratto quando il creditore non abbia riconosciuto l’errore, significa porre una limitazione che, anziché tutelare gli interessi di quest’ultimo, li lede grossolanamente.

Di conseguenza, l’art. 1192 c.c., nel consentire, al debitore il quale voglia adempiere consegnando una cosa di sua proprietà (e non di proprietà di altri), di impugnare il pagamento, supera questa limitazione, il che conferma i forti dubbi sopra espressi riguardo alla legittimità della medesima.

 

Mala fede iniziale del debitore

Tizio, al momento in cui ha consegnato la cosa a Caio, sapeva che questa era di proprietà di Mevio, e quindi, al momento in cui ha adempiuto, era in mala fede.

Egli, però, dopo essersi “pentito” di ciò, vorrebbe impugnare il pagamento, facendosi ridare la cosa da Caio per poi ritrasferirla al proprietario Mevio, ed offrendo contestualmente di consegnare a Caio una cosa di sua proprietà, in modo da ristabilire la liceità del proprio adempimento.

E’ possibile tale impugnazione?

L’art. 1192 c.c., quando dice “cose di cui non poteva disporre”, non specifica se la mancata conoscenza dell’altruità della cosa sia dipesa da mala fede (il debitore ne era perfettamente a conoscenza ma ha fatto finta di niente) o da buona fede (il debitore effettivamente non poteva sapere che la cosa fosse di altri).

Pertanto, sembrerebbe che il pagamento sia impugnabile anche nel caso in cui il debitore sia stato inizialmente in mala fede, ossia “in dolo”.

Però, in questo caso, l’impugnazione non potrà avvenire mediante la domanda di annullamento del contratto, perché questa è proponibile solo quando il richiedente sia stato la vittima del dolo utilizzato dalla controparte, e non anche quando sia stato egli stesso in dolo.

A tale riguardo, tuttavia, si segnala che, a norma dell’art. 1150 c.c., il possessore, anche se di mala fede, e quindi anche se “in dolo”, ha diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie, nonché all’indennità per i miglioramenti apportati alla cosa.

Il ragionamento allora è il seguente: se il possessore (in mala fede) di una cosa altrui ha comunque diritto

di essere retribuito per aver apportato miglioramenti alla stessa, e quindi per aver incrementato la sfera giuridica del vero proprietario della cosa, al debitore ex art. 1192 c.c. dovrebbe essere attribuito il diritto di poter chiedere l’annullamento del contratto anche quando egli stesso sia stato in mala fede, poiché, ottenendo la sentenza di annullamento, potrà restituire la cosa al legittimo proprietario e quindi ripristinare l’integrità della sfera giuridica di quest’ultimo. La presenza di uno stato soggettivo di mala fede, se non osta al riconoscimento di un diritto patrimoniale (rimborso spese per miglioramenti) il quale sia derivato dall’aver arricchito il vero proprietario della cosa, non dovrebbe ostare neanche alla proposizione di una domanda giudiziale mirante ad eliminare, tramite l’azione di annullamento, il depauperamento subìto dal medesimo proprietario per essersi questo visto trasferire illecitamente la propria cosa da un soggetto all’altro.

Pertanto, si deve ritenere che il debitore ex art. 1192 c.c. sia legittimato a chiedere l’annullamento del contratto anche nel caso in cui sia stato inizialmente in dolo.

L’art. 1153 c.c. sembra rivestire un’importanza strategica sotto il profilo sistematico, perché in base ad esso dovrebbe essere rivista la disciplina dell’azione di annullamento del contratto, nel senso di stabilire che tale azione è esperibile anche quando “il dolo” abbia riguardato non la controparte ma la stessa parte che la esercita.

• Un altro aspetto da considerare è il seguente: se il debitore offre di eseguire la prestazione con cose di cui può disporre, le garanzie di terzi che erano state rilasciate a tutela dell’adempimento della prestazione originaria (ossia quella fatta con cose di cui il debitore non poteva disporre) permangono o si estinguono?

Tale quesito si pone in quando l’offerta di una nuova prestazione potrebbe anche configurare la fattispecie della “prestazione in luogo di adempimento” di cui all’art. 1197 c.c. . Se così è, si dovrebbe allora applicare, anche alla fattispecie ex art. 1192 c.c., la norma contenuta nell’ ultimo comma art. 1197 c.c., in base alla quale “in ogni caso non rivivono le garanzie prestate dai terzi”.

Tuttavia, l’art. 1197 c.c. stabilisce che “il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta”. Non sembra che tra la fattispecie ex art. 1197 c.c. e quella di cui all’art. 1192 c.c. vi siano particolari affinità, in quanto, in questo secondo caso, il creditore non può “non consentire” a ricevere una prestazione diversa, dal momento che quella in precedenza eseguita è stata adempiuta dal debitore con cose di cui questi non era proprietario, e pertanto il creditore stesso ha tutto l’interesse a che venga eseguita la prestazione diversa.

La conseguenza di ciò qual è? Che, non essendo configurabile la fattispecie di cui all’art. 1197 c.c., non si applica nemmeno l’ultimo comma di tale norma, il quale prevede che “in ogni caso non rivivono le garanzie prestate dai terzi”. Quindi, nel caso di cui all’art. 1192 c.c., se il debitore impugna il pagamento offrendo una prestazione diversa, permangono, a favore del creditore, le eventuali garanzie che terzi avevano costituito a tutela del credito.

Al riguardo, tuttavia, occorre segnalare quanto segue.

L’art. 1192 c.c., quando dice “cose di cui il debitore non poteva disporre”, si riferisce al fatto che nel contratto è stata indicata una prestazione nulla per illeceità dell’oggetto (art. 1346 c.c.), in quanto consistente nella dazione di un bene che in realtà il debitore non avrebbe potuto consegnare in quanto non era di sua proprietà.

Pertanto, dire che in questo caso la garanzia del terzo comunque permane, vuol dire affermare il principio in base al quale essa opera anche nel caso in cui la prestazione originaria – e cioè quella per la quale la medesima era stata costituita – sia nulla.

Si tratta di vedere se tale principio sia presente in altre norme del codice civile.

Un’ipotesi di estinzione della garanzia del terzo nel caso di nullità dell’obbligazione è quello previsti dall’art. 1276 c.c.. Tale norma disciplina il caso in cui un terzo sia subentrato nella qualità di debitore (a seguito di delegazione, espromissione od accollo), e prevede che, se l’obbligazione assunta da quest’ultimo è stata dichiarata nulla, si estinguono le garanzie prestate da terzi.

Quindi l’estinzione della garanzia del terzo è prevista qualora venga dichiarata nulla la nuova obbligazione assunta da un soggetto (il terzo) diverso dal debitore originario. Invece, nel caso dell’art. 1192 c.c., ad essere nulla è non l’obbligazione successiva – ossia quella alla quale il debitore adempie con cose di cui può disporre – ma quella precedente, ossia quella originariamente dedotta in contratto.

Pertanto, anche sotto questo aspetto, la persistenza della garanzia del terzo nel caso di cui all’art. 1192 c.c. (offerta di nuova prestazione) sembra del tutto legittima.

Sempre in materia di garanzie del terzo, ci si chiede se l’offerta di diversa prestazione ex art. 1192 c.c. possa configurare la fattispecie della “novazione” di cui all’art. 1230 c.c. .

La domanda si pone in quanto, ai sensi dell’art. 1232 c.c., “i privilegi, il pegno e le ipoteche del credito originario si estinguono, se le parti non convengono espressamente di mantenerli per il nuovo credito”.

Pertanto, se la nuova prestazione fatta dal debitore ex art. 1192 c.c. fosse assimilabile alla novazione, il creditore (Caio), che in precedenza aveva ricevuto una prestazione fatta con cose di cui il debitore non poteva disporre, perderebbe le garanzie del credito (a meno che queste vengano volontariamente mantenute).

La novazione si ha “quando le parti sostituiscono all'obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso”.

L’offerta della diversa prestazione ex art. 1192 c.c. determina senza dubbio l’insorgere di un’obbligazione avente un “oggetto diverso”, ossia il proprietario sostituisce, alle cose di cui non poteva disporre, cose di cui può disporre.

Però, a ben vedere, mentre la novazione ha un effetto estintivo dell’obbligazione originaria, invece l’offerta di una prestazione diversa di cui all’art. 1197 c.c. non sembra determinare propriamente un’estinzione dell’obbligazione, rappresentando essa, piuttosto, un comportamento riparatorio con il quale il debitore cerca adesso di adempiere (con cose di cui può disporre) ad un obbligo contrattuale che è comunque rimasto quello originario. Con la novazione si sostituisce un’obbligazione ad un’altra, con l’offerta ex art. 1192 c.c. si cerca di adempiere (tardivamente) ad obbligo che è rimasto quello, perché la prestazione eseguita in precedenza, avendo avuto ad oggetto cose di cui il debitore non poteva disporre, è stata resa illecitamente.

Di conseguenza, sembra doversi ritenere che, quando il debitore, nell’impugnare il pagamento fatto, offre di eseguire la prestazione con cose di cui può legittimamente disporre, le garanzie dei terzi debbano rimanere.