Intorno al recesso dal contratto
Intorno al recesso dal contratto
Ai sensi dell’art. 1373 cc., rubricato recesso unilaterale, si chiarisce che “se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto (facoltà che, scendendo nel dettaglio, autorevole dottrina, Torrente-Schlesinger o Roppo – volendo fornire solo due esempi, ma il concetto è espresso proprio nella fase iniziale degli scritti e delle opere di moltissimi altri autori, anche più recenti – sostiene sia espressione del cd. recesso convenzionale, che trova, per l’appunto, fondamento nell’art. 1373 cc. e si distingue dal recesso legale), tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.
Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione (principio questo, si può precisare, che in parte ricalca quello dell’art. 2126 cc., in materia di nullità o annullamento del contratto di lavoro, norma che, fatta salva l’ipotesi della causa illecita, fa salvo il periodo in cui il contratto ha avuto esecuzione e, al comma secondo, fa salvo l’obbligo di corresponsione della retribuzione anche se il contratto era contrario alle norme poste a tutela del prestatore di lavoro). Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita. E’ salvo in ogni caso il patto contrario”.
Sin dai pochi dati normativi e, incidentalmente, dottrinali, fin qui forniti, posti in relazione a questa forma di exitdalla cogenza del principio pacta sunt servanda, si possono trarre delle interessanti conclusioni.
Il recesso può essere gratuito o oneroso e si manifesta (primo periodo dell’articolo) come forma di risoluzione negoziale unilaterale.
La portata della disposizione si apprezza nel momento in cui il contratto si perfeziona ed innesca il meccanismo di cui all’art. 1372 cc., a mente del quale il contratto non può essere sciolto se non per mutuo dissenso.
E’ in questo contesto che si inserisce il cosiddetto potere di risoluzione unilaterale che può essere attribuito dallo stesso contratto o ad una sola parte o ad entrambe le parti.
A mente del primo periodo, tale potere è circoscritto alle ipotesi in cui il contratto si sia perfezionato, ma ancora non abbia avuto quel “principio di esecuzione” che autorevole dottrina (Bianca) definisce come il momento in cui il contratto produce il suo effetto reale o si verifica, almeno parte, l’adempimento della obbligazione.
Pertanto, per garantire lo scioglimento unilaterale dei contratti istantanei dopo il cd. “principio di esecuzione”, sarebbe sempre preferibile l’apposizione, in conformità con quanto legittimamente e pacificamente ammesso ai sensi dell’art. 1322 cc. comma primo, di clausole o sospensive o risolutive (soluzione molto apprezzata e riportata in dottrina) a seconda dello schema contrattuale e delle esigenze delle parti; cosa che, d’altronde, spesso accade anche in tema di rinegoziazione: le parti diligenti, infatti, sono solite inserire all’interno dello schema contrattuale clausole di rinegoziazione, da attivare all’occorrenza.
Tuttavia – nonostante le perplessità sollevate da parte della dottrina (Bianca) in ordine alla operatività del recesso nei contratti traslativi post principio di esecuzione, implicitamente (in ragione delle pronunce richiamate nel suo poderoso Trattato) condivise da Galgano e da Gazzoni (nel suo Manuale di diritto privato) ed espresse in altri termini, più possibilisti, da altra dottrina (Roppo) che invece evidenzia in modo più incisivo il carattere derogabile del principio – occorre pur sempre ricordare che, di fatto, la possibilità di risoluzione unilaterale dal contratto post inizio di esecuzione non è estranea al sistema della circolazione dei diritti, essendo anzi caratteristica impressa in alcuni schemi negoziali, produttivi di effetti traslativi, tipici.
Appurati, pertanto, i tratti essenziali della norma, si può scendere un po' più nel dettaglio, ricordando che il recesso può acquisire rilievo nel momento in cui si pone l’accento sui soggetti cd. deboli come, per esempio, i consumatori. Ad essi è riconosciuto il cd. recesso di pentimento, che protegge – nell’ambito dei contratti asimmetrici (in altre sedi definiti con l’acronimo B2C, Business to Customer), dove si pone il problema della tutela del contraente più debole rispetto al contraente dotato di maggiori competenze sotto un profilo professionale – la posizione del consumatore, attribuendogli un potere di recedere dai contratti, specie qualora il contratto sia stipulato a distanza.
Il fondamento normativo del potere si rinviene nell’art. 52 D.Lvo n. 206 del 2005, il quale recita che “[…]il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali senza dover fornire alcuna motivazione e senza dover sostenere costi diversi da quelli previsti dall’art. 56 comma secondo e all’articolo 57”. Ancora, la tematica può acquisire una veste più specifica ed interessante nel momento in cui si decide di scendere nel dettaglio delle regolamentazioni normative dei singoli contratti.
Prova ne è l’art. 1671 cc., rubricato recesso unilaterale dal contratto, a mente del quale il committente ha il potere negoziale di recedere dal contratto anche se è stata iniziata l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.
La norma, pertanto, in parte acuisce, in parte risolve in positivo i dubbi teorici precedentemente sopiti a mezzo dell’uso di clausole sospensive o risolutive e posti in relazione al recesso convenzionale nei contratti con principio di esecuzione istantanei, ammettendo expressis verbis la possibilità che un contraente possa recedere, seppur non gratuitamente, anche in ipotesi di contratto che ha già avuto un cd. “principio di esecuzione” (esistente quando una parte di opera/servizio/obbligazione è stata già eseguita), vertendosi, in questo caso e seguendo solo la dottrina dominante, non propriamente in una ipotesi di contratto classificabile come di durata e ad esecuzione continuata o periodica, bensì di contratto (ancora non istantaneo, ma) ad esecuzione prolungata.
Qualora, per contro, si intendesse fare riferimento all’appalto come contratto di durata ad esecuzione continuata o periodica (come alcuni hanno proposto, tralasciando le tesi miste e le affinità con altri schemi, ad esempio, in materia di appalto di servizi/manutenzione), la norma sarebbe semplice proiezione (e, per la parte dedicata agli obblighi nascenti nei confronti dell’appaltatore) specificazione della norma generale di cui all’art. 1373 cc.
Si conferma, in ambo i casi, in conclusione, ancora una volta, la capacità del sistema civile di seguire la naturale ed istintiva sequenza norma generale (in questo caso, recesso convenzionale) - norma di dettaglio (in questo caso, potere di recesso attribuito però dalla legge, ma oggetto di discussioni sfociate nella scelta giurisprudenziale di considerare la norma derogabile) che o conferma o appone deroghe rispetto al contenuto della prima.