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Compensi reversibili e qualificazione convenzionale

compensi reversibili
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Compensi reversibili e qualificazione convenzionale

 

Abstract

I compensi reversibili non sono tassati ai fini delle imposte sui redditi in capo all’amministratore persona fisica e costituiscono costo deducibile nell’esercizio di competenza per la società erogante e ricavo imponibile per competenza per l’impresa percipiente. La qualificazione convenzionale dei compensi reversibili è da ricondurre all’art. 7 del modello OCSE.


Che cosa sono i compensi reversibili

Si tratta di rapporti contrattuali che intervengono in genere, nell’ambito di gruppi societari, fra la “controllante” e la “controllata”, ma possono presentarsi anche fra società che non hanno questo tipo di rapporto.

I compensi spettanti al dipendente o al collaboratore coordinato e continuativo di un’impresa, nominato quale membro dell’organo amministrativo di un’altra società, possono contrattualmente essere versati direttamente alla prima.


Clausola di reversibilità

In base alla cd. clausola di reversibilità è possibile disporre contrattualmente che i compensi spettanti al dipendente o al collaboratore coordinato e continuativo di un’impresa, nominato amministratore di un’altra società, vengano versati direttamente alla prima. Tale clausola è generalmente utilizzata nell’ambito di gruppi societari (ma può essere impiegata anche tra società indipendenti), laddove si prevede che i compensi spettanti al dipendente o al collaboratore coordinato e continuativo della società controllante, per la sua funzione di amministratore nella società controllata, vengano versati da quest’ultima direttamene alla prima. In particolare, ai fini della reversibilità dei compensi, è necessario che sussistano congiuntamente i seguenti elementi:

  • l’accordo tra la società controllante e l’amministratore (suo dipendente o collaboratore) da cui risulti l’obbligo di reversibilità,
  • la comunicazione della società controllante alla società controllata (in cui è svolta la funzione di amministratore) dell’esistenza dell’accordo di reversibilità al fine di rendere liberatorio per quest’ultima il versamento diretto del compenso alla prima,
  • la documentazione del pagamento del compenso alla società controllante e non all’amministratore.


Disciplina tributaria applicabile

Per individuare il regime fiscale applicabile ai compensi reversibili è opportuno distinguere il caso in cui l’amministratore della società controllata sia un dipendente della società controllante dal caso in cui sia un collaboratore coordinato e continuativo.

Si rammenta che l’articolo 51, comma 2, lettera e), del TUIR dispone che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i compensi reversibili di cui alle lettere b) ed f) del comma 1 dell’articolo 50 del TUIR.

La citata lettera b) assimila ai redditi di lavoro dipendente le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità: sono quelle somme che il prestatore di lavoro percepisce da soggetti diversi dal proprio datore di lavoro per incarichi svolti in relazione alle funzioni della propria qualifica e in dipendenza del proprio rapporto di lavoro quali, ad esempio, la partecipazione a organi collegiali, commissioni di esami, comitati tecnici, compresi quelli dei dipendenti pubblici per attività rese in funzione del proprio ruolo o in rappresentanza dell’ente di appartenenza.

L’assimilazione al lavoro dipendente deriva dal fatto che l’attività viene fornita dal dipendente in relazione a un ordine di servizio ricadente nel rapporto di lavoro subordinato intrattenuto in via principale.

La predetta disposizione normativa esclude dal novero dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, insieme ai compensi che per legge devono essere riversati allo Stato, quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro. Tale esclusione, tuttavia, non comporta la loro qualifica come redditi di lavoro dipendente: i compensi reversibili richiamati dal citato articolo 51 non solo non costituiscono reddito assimilato a quello dipendente, ma non devono essere assoggettati a tassazione neanche quali redditi di lavoro dipendente, in quanto sono imputati direttamente al soggetto al quale, per clausola contrattuale, devono essere riversati.

a) reversibilità in capo ad un dipendente della controllante

Il compenso di amministratore non rileva in capo al dipendente, ai fini delle imposte sui redditi, in base al principio generale secondo cui non si configurano quale reddito imponibile di un soggetto le somme di cui egli non ottenga in alcun modo la disponibilità. Manca, in altri termini, il presupposto impositivo previsto dall’art. 1 del TUIR (possesso in denaro o in natura di un reddito rientrante nelle categorie previste dalla normativa). Ciò è indirettamente desumibile anche dall’art. 50 comma 1, lett. b) del TUIR, che esclude dai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente i compensi a carico di terzi spettanti al lavoratore dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità che, per clausola contrattuale, devono essere riversati al datore di lavoro. Pertanto, in assenza di presupposto impositivo in capo al dipendente, nessuna ritenuta alla fonte deve essere operata nei suoi confronti ai sensi dell’articolo 24, comma 1 ter, del D.P.R. n. 600/1973.

Per la società controllata, il costo è deducibile ai fini delle imposte dirette per competenza. Infatti si tratta di somme non spettanti all’amministratore, ma – contrattualmente – direttamente alla società o ente di appartenenza.Le somme corrisposte al datore di lavoro dell’amministratore concorrono, per effetto della reversibilità, a formare il reddito imponibile della società percipiente.

Se il compenso viene corrisposto ad una società residente in Italia o ad una stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente, esso concorre a formare il suo reddito imponibile per competenza e non è soggetto alla ritenuta d’acconto di cui all’articolo 24, comma 1 ter del D.P.R. n. 600/1973, essendo, questa, applicabile ai redditi di cui all’articolo 50, comma 1, lettera c-bis del TUIR.

Se invece il compenso è percepito da una società non residente e non è relativo ad una stabile organizzazione in Italia, trova applicazione la ritenuta d’imposta di cui all’articolo 24, comma 1 ter del D.P.R. 600/1973, dato che il presupposto territoriale dei redditi di collaborazione coordinata e continuativa è costituito, anche per le imprese non residenti, dalla residenza in Italia del soggetto che eroga il compenso (articolo 23, comma 2, lettera b del TUIR.

b) reversibilità in capo ad un collaboratore coordinato e continuativo della controllante

Nel caso in cui sia un amministratore o altro collaboratore coordinato e continuativo della società controllante (assimilato ai fini fiscali ai lavoratori dipendenti) ad essere nominato, su indicazione di questa, membro del Consiglio d’amministrazione di altra società, con obbligo di reversibilità del compenso:

  • il compenso non è soggetto a ritenuta d’acconto;
  • la società controllata deduce il compenso, solo ai fini Ires e non ai fini Irap, per competenza;
  • la società controllante assoggetta ad imposizione il compenso solo ai fini Ires e non ai fini Irap, per competenza.

Ai fini IVA, se la prestazione è svolta da un collaboratore coordinato e continuativo che non esercita per professione abituale altra attività di lavoro autonomo, la prestazione è esclusa dal campo di applicazione del tributo, per effetto dell’articolo 5, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972; pertanto né la controllante né il collaboratore saranno soggetti ad obbligo di fatturazione: diversamente, se la prestazione è effettuata da un collaboratore che esercita per professione abituale altra attività di lavoro autonomo, questi dovrà fatturare con IVA e con obbligo di rivalsa il proprio compenso alla società controllata, in quanto prestatore del servizio, nonostante non abbia materialmente incassato il compenso perché reversibile.

Esempio

Compensi corrisposti al dott. Rossi (dipendente di una società italiana) in relazione all'incarico di consigliere di amministrazione da una società fiscalmente residente in Spagna

Tali compensi non assumono rilevanza per tale soggetto ai fini della determinazione del reddito.

Il compenso in questione erogato da parte della società amministrata su un apposito conto corrente intestato al dipendente anziché direttamente alla società italiana, in forza della particolare normativa vigente in Spagna, viene, infatti, da questi riversato al proprio datore di lavoro società italiana e, pertanto, il dott. Rossi non ottiene di fatto la disponibilità delle somme in argomento. Ciò in ragione dell’obbligo contrattualmente pattuito di riversare i relativi compensi al datore di lavoro italiano, che, pertanto, diviene il beneficiario effettivo di dette somme. Conseguentemente in relazione a dette somme, la società italiana non è tenuta all’effettuazione delle ritenute né deve adempiere ad altri obblighi in qualità di sostituto d’imposta: tuttavia, in capo alla società italiana, il compenso riversato al lordo della ritenuta in uscita applicata dalla Spagna, in qualità di Stato della fonte, va considerato imponibile ai fini IRES con conseguente possibilità di fruire del foreign tax credit di cui all’art. 165 del TUIR.


Qualificazione e tassazione in base alle norme convenzionali

I compensi reversibili pagati da una società italiana a un amministratore, con obbligo di riversamento a favore di una società del gruppo non residente, sono regolati a livello convenzionale dalle disposizioni dell’art. 7 del modello OCSE.

Conseguentemente, i compensi in parola sono assoggettati a tassazione nel solo Stato estero di residenza della società beneficiaria, nella misura in cui questa non abbia stabile organizzazione in Italia, e su di essi non grava alcuna ritenuta a carico della società italiana che materialmente li corrisponde.

Nella risposta a interpello 22 maggio 2023 n. 330 l’Agenzia delle Entrate prende in considerazione il caso di una società italiana nella quale un dipendente di una società estera del gruppo aveva assunto la carica di consigliere di amministrazione, con obbligo contrattuale di riversamento dei compensi a favore della società estera; di fatto, i compensi venivano versati direttamente alla società non residente, senza alcun transito materiale delle somme in capo all’amministratore. L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate è quello per cui, difettando lo stesso presupposto per l’esistenza di un reddito a norma dell’art. 1 del TUIR (il possesso del reddito), l’amministratore non è tenuto a versare alcuna imposta a prescindere dalla sua residenza.

Il presupposto impositivo è, invece, tale in capo alla società estera beneficiaria, la quale deve includere nel proprio reddito il compenso riversato: tenuto conto che quest’ultima è priva di una stabile organizzazione in Italia, la tassazione avviene in via esclusiva nell’altro Stato, in quanto l’art. 7 della Convenzione con l’Italia esclude, in linea con il modello OCSE, ogni potere impositivo in Italia in assenza di una stabile organizzazione ivi situata.

L’interpello n. 330/2023 riveste una certa importanza in quanto l’Agenzia, prendendo atto dell’opinione dominante, afferma in modo espresso che la qualificazione convenzionale dei compensi reversibili è da ricondurre all’art. 7 citato: “Profits of an enterprise of a Contracting State shall be taxable only in that State unless the enterprise carries on business in the other Contracting State through a permanent establishment situated therein. If the enterprise carries on business as aforesaid, the profits that are attributable to the permanent establishment in accordance with the provisions of paragraph 2 may be taxed in that other State”.

Uno Stato Contraente non può esercitare la propria potestà impositiva sugli utili d’impresa realizzati da una impresa non residente a meno che tale impresa non eserciti un’attività per il tramite di una stabile organizzazione ivi situata: in altri termini, fino a che una impresa di uno Stato Contraente non ha stabilito una stabile organizzazione in un altro Stato Contraente, essa non può essere considerata come un soggetto partecipante alla vita economica di detto altro Stato tale da giustificare l’esercizio della potestà impositiva da parte di quest’ultimo sugli utili dell’ impresa.

Ulteriormente, la potestà impositiva dello Stato della fonte non si estende agli utili che l’impresa non residente produce in detto Stato ma fuori dalla stabile organizzazione. Il principio risolve la disputa tra le divergenti opinioni internazionalistiche sulla sussistenza o meno della forza attrattiva della stabile organizzazione sugli utili non prodotti per il tramite della stabile organizzazione nello Stato della fonte.