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Contratto valido anche se il consenso è dato da un pollice emoji?

contratto con emoji
contratto con emoji

Contratto valido anche se il consenso è dato da un pollice emoji?

 

Gli emoji sono simboli pittografici diventati famosi in Giappone alla fine degli anni ‘90 del Novecento e poi entrati in uso comune dagli anni Duemila anche nel resto del mondo. Il nome deriva da e (, immagine) e moji (文字, carattere) e vengono spesso usati tra i più giovani (ma non solo da loro) per indicare significati come assenso, gioia, emozioni particolari di vario tipo.


Tra questi, il pollice in alto (thumbs upviene spesso utilizzato, appunto, per indicare consenso o accettazione di qualcosa, ma anche, a volte, in senso ironico, per indicare una sorta di presa in giro. 

Non vi è, pertanto, un’attribuzione univoca di significato sull’uso di questo simbolo – perlomeno in Italia – anche se è innegabile che l’uso più comune e costante è rappresentato dall’indicazione di un assenso consapevole a qualcosa che è stato proposto. Dirimente pare essere, in ogni caso, la forma della domanda e le modalità con la quale essa viene posta.

Proprio sulla base di un emoji con il pollice levato 👍🏻 un agricoltore canadese è stato condannato ad eseguire un contratto presuntamente sottoscritto attraverso l’utilizzo, appunto, di tale emoji come indicazione del consenso prestato.

A seguito del mancato adempimento dell’agricoltore e della causa proposta dal creditore, il Giudice canadese lo ha condannato al pagamento di 82.000 dollari canadesi (circa 56mila euro).

Secondo il giudice l’emoji che raffigura il “pollice in su” è sufficiente a determinare l’accettazione almeno verbale di un accordo, e ha un valore identico alla firma dello stesso. Il giudicante ha infatti ritenuto che, al giorno d’oggi, i Tribunali devono adeguarsi alla “nuova realtà” che li circonda, ivi comprese alle nuove forme di comunicazione, intimando pertanto all’agricoltore canadese di corrispondere al proprio fornitore 82mila dollari canadesi a titolo di risarcimento, in virtù di un contratto espressamente accettato ma non adempiuto.

Ma vediamo come si sono svolti i fatti.

 

Contratto ed emoji: i fatti

La vicenda in questione riguarda la proposta commerciale inviata dalla South West Terminal, una cooperativa agricola locale di Gull Lake, nel mese di marzo del 2021 attraverso un messaggio di testo (sms) e riferita alla fornitura della cospicua partita di lino di circa 87 tonnellate.

Il rappresentante della società South West Terminal, firmato il contratto, lo spediva infatti via cellulare attraverso una foto, proponendolo ad un agricoltore locale, Chris Achter, con allegato un messaggio del seguente tenore: “Per favore conferma il contratto di lino”.

E qui avviene il fatto contestato, poiché Achter avrebbe risposto al messaggio di testo con il famigerato emoji con il pollice in su 👍🏻.

Quando la South West Terminal si è adoperata per ottenere l’adempimento di Achter, l’agricoltore si è opposto, asserendo di non aver mai sottoscritto alcun contratto con la cooperativa di Gull Lake, e che l’emoji utilizzato in risposta al messaggio avesse lo scopo di comunicare la presa visione della proposta. Achter ha infatti affermato: “Non era una conferma che ero d’accordo con i termini del contratto di fornitura lino. I termini e le condizioni completi del contratto di lino non mi sono mai stati inviati e ho capito che il contratto completo sarebbe seguito via fax o e-mail da rivedere e firmare. Il signor Mikleborough (ovvero il rappresentante della SWT, n.d.r.) mi scriveva regolarmente e molti dei messaggi erano informali”.

La South West Terminal ha sostenuto di aver già concluso almeno altri quattro contratti via messaggio con Achter, sms ai quali, a onor del vero, l’agricoltore non aveva mai risposto con l’emoji del pollice alzato, ma utilizzando, invece, un “ok”, un “sì” o un “pare buono”.

In effetti, non pare molto differente, nel caso di specie, l’utilizzo dell’emoji rispetto a un “pare buono” o a un “sì”, visto che negli altri casi l’agricoltore non aveva mai contestato l’assenza di un espresso consenso.

La domanda posta Per favore conferma il contratto di lino” lascerebbe spazio a diverse perplessità, relative alle modalità di conferma del contratto che sarebbe ben potuta avvenire successivamente, in maniera differita, attraverso l’invio di un documento da regolarizzare e firmare. Il fatto che, in precedenza, le cose fossero andate in maniera diversa, complica ancora di più le cose.

C’è da chiedersi, a questo punto: in Italia come verrebbe trattato un caso simile dai giudici?

 

Contratto ed emoji: in Italia cosa succederebbe?

La pronuncia della Corte Canadese non è poi così paradossale.

Secondo la dottrina più tradizionale, il nostro ordinamento sarebbe infatti improntato sul cosiddetto principio di libertà della forma del contratto, in virtù del quale, salvo il caso in cui la legge richieda espressamente una determinata forma scritta, le parti possono decidere il mezzo idoneo attraverso il quale manifestare il proprio consenso.

Persino il silenzio, se circostanziato, potrebbe valere come accettazione quando, instaurato un certo rapporto tra le parti e avuto riguardo alle loro qualità e relazioni di affari, il fatto di tacere possa essere invece inteso come adesione.

In effetti anche lo schema proposto dall’articolo 1327 del codice civile contempla un’ipotesi di questo tipo, laddove permette la conclusione del contratto in modo indipendente dalla conoscenza da parte del proponente dell’accettazione. In tal caso, il contratto si riterrà concluso quando per la natura dell’affare in corso o per gli usi o dal proponente stesso sia richiesta l’esecuzione urgente (ed espressamente urgente) del contratto. L’accettante potrà quindi procedere direttamente all’esecuzione senza rispondere alla proposta ricevuta, ma semplicemente avvisando l’altro dell’inizio delle attività richieste dal contratto.

Alla luce di quanto sopra, è pertanto ragionevole considerare che una pronuncia di tenore uguale o simile a quella resa dalla corte canadese, possa trovare spazio anche tra la giurisprudenza italiana.

Certo è che, nonostante tutto, l’ordinamento ha messo a punto determinati strumenti giuridici volti ad evitare che un soggetto si trovi, senza volerlo, vincolato a determinate clausole particolarmente onerose. È il caso, ad esempio, della “doppia sottoscrizione” richiesta dall’articolo 1341 del codice civile e della nullità di protezione messa a punto dal codice del consumo, che tutelano il contraente più debole dall’efficacia di clausole che ne aggravano la posizione, limitando le sue facoltà riconosciute per legge, o che favoriscono eccessivamente la controparte.

Sul punto è interessante notare che, al contrario di quanto comunemente si pensi, la disciplina del codice del consumo non tutela il solo consumatore persona fisica ma si estende anche agli utenti di servizi in senso lato oltre che alle micro-imprese.

L’utilizzo della comunicazione veloce di messagistica rappresenta comunque un rischio, specie se utilizzata per trattare temi delicati come quelli contrattuali. Canali più formali, come ad esempio le email, per stessa natura invitano ad una più attenta valutazione dei contenuti del messaggio e possono ridurre le conseguenze negative di una contrattazione commerciale troppo impulsiva.