Par condicio e social network: ipotesi di riforma

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Par condicio e social network: ipotesi di riforma

La campagna per le elezioni politiche del 2022 ha rappresentato un dato incontrovertibile: il fare politica, oramai, necessita dell’utilizzo delle piattaforme social. Mentre la comunicazione radiotelevisiva da anni è normata dalla legge sulla par condicio al fine di garantire i principi di obiettività, imparzialità, completezza e correttezza, si apre attualmente il dibattito per garantire quegli stessi principi alla comunicazione su Internet.

 

Indice:

Il quadro normativo
Eventuali proposte
Conclusioni

 

ABSTRACT

Partendo da un’analisi sintetica della legge sulla par condicio, l’articolo, delinea eventuali proposte che potrebbero adeguare i principi obiettività, imparzialità, completezza e correttezza anche alla comunicazione digitale.

 

ABSTRACT

The article analyzes the law on par condicio and communication on social media


IL QUADRO NORMATIVO

La conclusione, pochi mesi fa, della campagna elettorale per le politiche 2022 che ha visto la vittoria della coalizione di centro-destra a trazione Fratelli d’Italia, ha riaperto il dibattito sul tema della par condicio. Dibattito che si è riaperto per il massiccio utilizzo da parte dei nostri candidati al Parlamento, a cominciare dai leader dei partiti, delle piattaforme digitali. Partiamo dalla legge sulla par condicio. La legge n. 28 del 2000 (“Disposizioni in tema di parità d’accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica”)  nasceva in un contesto socio-politico focalizzato sulla comunicazione politica radiotelevisiva.  La ratio dell’intervento normativo trovava e trova fondamento nella necessità di regolare, durante la campagna elettorale, la partecipazione di partiti e cittadini alla propaganda politica. L’elettore, infatti, deve essere messo in condizione di acquisire in modo completo ed esaustivo ogni necessaria informazione sui programmi politici delle forze politiche in campo, senza che sulla formazione della propria scelta possa incidere arbitrariamente un utilizzo distorto dei mezzi di comunicazione.

Volendo elaborare un quadro sintetico della normativa, la comunicazione politica radiotelevisiva si svolge nelle forme che vanno dalle tribune politiche ai dibattiti, dalle tavole rotonde alla presentazione in contraddittorio di candidati e di programmi politici. Il riparto degli spazi tra i soggetti politici, offerti in condizioni di parità di trattamento, sono regolati dalla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), previa consultazione tra loro. Per quanto riguarda i programmi di informazione nei mezzi radiotelevisivi, la legge rinvia ai criteri stabiliti dalla Commissione e dell’Autorità, al fine di garantire la parità di trattamento, l’obiettività, la completezza e l’imparzialità dell’informazione (art. 5 legge n. 28/2000). A tal proposito si prevede che i notiziari diffusi dalle emittenti televisive e radiofoniche nazionali e tutti gli altri programmi a contenuto informativo, riconducibili alla responsabilità di una specifica testata registrata ai sensi di legge, si conformino con particolare rigore ai principi della tutela del pluralismo, dell’imparzialità, dell’indipendenza, dell’obiettività, dell’equilibrata rappresentanza di genere e dell’apertura alle diverse forze politiche, assicurando all’elettorato la più ampia informazione sui temi e sulle modalità di svolgimento della campagna elettorale, evitando di determinare, anche indirettamente, situazioni di vantaggio o svantaggio per determinate forze. Per quanto riguarda invece la responsabilità dei contenuti di talk show o programmi di infotainment (neologismo anglosassone nato dalla fusione tra information e entertainment volto a indicare un mezzo di comunicazione di massa con funzione di informazione e intrattenimento), questa è da ricondurre al direttore del programma.

Per quanto riguarda la stampa, la legge disciplina esclusivamente i messaggi politici elettorali su quotidiani e periodici (art. 7 legge n. 28/2000) stabilendo che, dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino al penultimo giorno prima delle elezioni, gli editori di quotidiani e periodici, qualora intendano diffondere a qualsiasi titolo messaggi politici elettorali, devono darne tempestiva comunicazione sulle testate edite, per consentire ai candidati e alle forze politiche l’accesso ai relativi spazi in condizioni di parità fra loro. Le forme di messaggio politico elettorale ammesse sono le seguenti: annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze, discorsi; pubblicazioni destinate alla presentazione dei programmi delle liste, dei gruppi di candidati e dei candidati; pubblicazioni di confronto tra più candidati.

Anche la comunicazione istituzionale è soggetta a restrizioni dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto. Si prevede infatti all’art. 9 della legge il divieto per tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’assolvimento delle proprie funzioni. Tale divieto è ricondotto alla necessità di evitare che le pubbliche amministrazioni possano fornire, attraverso modalità e contenuti informativi non neutrali, una rappresentazione suggestiva, a fini elettorali, dell’amministrazione e dei suoi organi titolari.  Infine, si ricorda l’art. 8 della legge 28 riguardo ai sondaggi politici ed elettorali, prevedendo che nei quindici giorni precedenti la data delle votazioni sia vietato rendere pubblici i risultati sull’esito delle elezioni e sugli orientamenti politici per non condizionare in maniera decisiva l’elettorato nei giorni più prossimi alla data delle votazioni.

 

EVENTUALI PROPOSTE

Com’è emerso dal sintetico quadro normativo fornito precedentemente, nessuna previsione è dedicata nello specifico ad Internet e alla rete, sebbene sia indubbio come oggi l’arena politica trovi in quel mezzo una decisiva forma di sviluppo. Molti politici o persone note nel campo dello spettacolo hanno profili “social”, soprattutto su Facebook o Twitter, nei quali diffondono orientamenti e dichiarazioni di voto. Tali profili sono seguiti da molti followers, o seguaci, che, a loro volta, riprendono e commentano le dichiarazioni che tali soggetti hanno reso sui vari profili, amplificando il messaggio e costruendo dei veri e propri trending topic. La comunicazione via Internet, dunque, deve essere regolamentata e bisogna farlo con un approccio necessariamente multidisciplinare. Si potrebbe pensare in primo luogo a una responsabilizzazione delle forze politiche e dei candidati, vietando, ad esempio, che le campagne elettorali possano essere svolte sfruttando violazioni delle norme applicabili in materia di protezione dei dati personali, poiché   oramai è chiaro che, soprattutto a seguito dello scandalo “Cambridge Analytica”, i motori di ricerca e i social network effettuano acquisizioni strategicamente finalizzate a eliminare qualsiasi minaccia di futura concorrenza, anche solo potenziale. A questo proposito, rappresenterebbe un altro importante strumento di disciplina la previsione, a carico delle imprese attive su Internet, dell’obbligo di richiedere agli utenti autorizzazioni al trattamento dei loro dati e il contestuale divieto di negare la fornitura dei servizi offerti dal motore di ricerca e/o dal social network ove l’utente rifiuti l’assenso a trattamenti non indispensabili per l’esecuzione del rapporto contrattuale con il fornitore del servizio.

Queste misure potrebbero risultare però inefficaci nel caso in cui non si imponessero obblighi di trasparenza in merito agli algoritmi utilizzati dagli operatori di Internet. In questo caso occorre trovare soluzioni che salvaguardino da un lato i cittadini-utenti al fine di non essere esposti, per giunta inconsapevolmente, a manipolazioni e, dall’altro lato, il diritto dei titolari dei diritti sugli stessi algoritmi a non vedere messi a rischio gli investimenti effettuati e da effettuare.

L’istituzione di un’autorità indipendente dotata delle adeguate competenze ed assoggettata a stringenti obblighi di riservatezza in merito ai punti commercialmente sensibili degli algoritmi potrebbe forse essere una soluzione accettabile per tutti gli attori in campo. La questione risulta essere di primaria importanza poiché stiamo assistendo alla “disintermediazione” dell’informazione in cui, specialmente nei Paesi tecnologicamente più avanzati, le notizie vengono direttamente cercate su Internet con l’eliminazione graduale del ruolo dei tradizionali mediatori dell’informazione.

E riguardo al pluralismo informativo? Si potrebbe pensare ad una tutela dei siti che offrono garanzie di obiettività e indipendenza. Tutela che riguarderebbe anche i siti dei concessionari di servizi pubblici, rilevando come proprio sotto questo profilo si possa cogliere lo stretto rapporto tra vecchi e nuovi media e la necessità che il pluralismo sia garantito ad entrambi.

 

CONCLUSIONI

Alla luce di ciò bisogna, infine, essere consapevoli che nell’attuale fase di rivoluzione tecnologica, la televisione conserva in Italia un ruolo rilevante nell’informazione politica dei cittadini, e quindi un abbandono delle regole legislative attualmente dettate per la televisione non sarebbe giustificato. Ma la sola legge comunque non sarebbe sufficiente per una disciplina organica della materia. Forse più ambizioso e più efficace è l’obiettivo di accrescere nel cittadino un certo spirito critico per valutare e verificare le informazioni che riceve dai vari mezzi di comunicazione, in tempi di elezioni come in altri periodi. Occorre, infatti, prendere atto che ogni mezzo di comunicazione è per sua natura non neutrale, perché esso comporta negli utenti-spettatori determinati comportamenti e opinioni. La legislazione arriva inevitabilmente fino ad un certo punto, oltre può fare l’educazione e la formazione dei cittadini-elettori, con particolare attenzione alle nuove generazioni.