x

x

Diffamazione: pienamente utilizzabili gli “screenshot”

diffamazione screenshot
diffamazione screenshot

Diffamazione: pienamente utilizzabili gli “screenshot”

La Corte di Cassazione, Sezione V Penale, con sentenza n. 24600 del 2022, ha chiarito che sono da ritenersi pienamente utilizzabili, in quanto legittimamente acquisibili come documenti, i messaggi presenti sulle chat dei social-network fotografati dallo schermo di un telefono cellulare sul quale gli stessi sono leggibili (cd. screenshot).

Diffamazione: la vicenda posta al vaglio della suprema corte

Il ricorso all’esame della Suprema corte censurava la sentenza della Corte d’appello in quanto non avrebbe tenuto conto della inutilizzabilità delle conversazioni in chat riprodotte dagli screenshot e diffuse da alcuni utenti del servizio del noto social network di messaggeria Facebook; per altro sottolineando come la Corte d’appello non si fosse curata del fatto che le espressioni utilizzate da una delle interlocutrici non avessero affatto natura denigratoria e costituissero una mera rappresentazione del diritto di critica ad ognuno garantito.

Inoltre, il ricorso denunciava l’omessa motivazione quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo, avendo l’interessata espressamente richiesto alle sue interlocutrici riservatezza; volendo dunque evitare la diffusione delle conversazioni avvenute nella chat in questione.

Orbene, la Suprema Corte evidenzia che con la diffusione di internet, e quindi con l’aumento esponenziale delle occasioni di connessione e di condivisione in rete attraverso i social, si è posto il problema di arginare il fenomeno della graduale crescita degli illeciti commessi dagli internauti.

L’esposizione della propria idea in siffatti contesti, lungi dall’essere cautelata da una sorta di “immunità da web”, è, piuttosto, “aggravata” per la capacità amplificativa del mezzo adoperato.

È evidente infatti che il diritto di contrapporre le proprie alle altrui idee non ha nulla a che vedere con la denigrazione o addirittura con l’odio; non può mai passare attraverso l’offesa gratuita e l’istigazione all’attacco che alcune manifestazioni verbali del pensiero esprimono e che, sebbene non siano di per sé incriminabili, diventano esse stesse recriminabili nella misura in cui contribuiscono ad accendere i toni e a infiammare animi e parole.

In effetti, nella vicenda in questione, venivano utilizzate espressioni e valutazioni giudicate gravemente lesive della reputazione, del prestigio e della credibilità delle persone offese e venivano di fatto comunicate anche alle tre atlete, che partecipavano della chat e vi leggevano le espressioni fortemente diffamatorie.

Secondo la Cassazione, le espressioni adoperate dalla ricorrente, infatti, erano da ritenersi pienamente utilizzabili, in quanto legittima ne è l’acquisizione come documento, i messaggi sms fotografati dallo schermo di un telefono cellulare sul quale gli stessi sono leggibili in quanto «non è imposto alcun adempimento specifico per il compimento di tale attività, che consiste nella realizzazione di una fotografia e che si caratterizza soltanto per il suo oggetto, costituito appunto da uno schermo» sul quale sia visibile un testo o un’immagine «non essendovi alcuna differenza tra una tale fotografia e quella di qualsiasi altro oggetto» (Sez. 3, n. 8332 del 06/11/2019).

Né tanto meno l’inutilizzabilità può derivare dalla circostanza che il contenuto della conversazione, verbale o scritta che sia, sia reso disponibile quale mezzo di prova, in forma documentale a mezzo di screenshot, da uno dei conversanti senza autorizzazione o all’insaputa degli altri conversanti.

La Corte ha poi rilevato come non è riconducibile alla nozione di intercettazione la registrazione di un colloquio svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, operata clandestinamente, da un soggetto che ne sia stato partecipe o, comunque, sia stato ammesso ad assistervi; costituendo, invece, una forma di memorizzazione di un preciso fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova in giudizio.

Ciò in quanto le intercettazioni regolate dal codice di procedura penale consistono nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscono con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato.

Tutto ciò salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa.

Secondo la Suprema Corte, il principio di diritto che esclude che si verta in tema di intercettazioni quando le conversazioni, o meglio le comunicazioni verbali, come quelle relative alle chat, siano nella disponibilità dei soggetti legittimati a parteciparvi, trova applicazione anche nella casistica sottoposta al suo esame; e dunque in questo caso le comunicazioni sono pienamente utilizzabili.

Va infine tenuto conto che ai fini del riconoscimento dell’esimente dell’esercizio di un diritto o adempimento di un dovere, qualora le frasi diffamatorie siano formulate a mezzo social network, il giudice deve tener conto non solo del tenore concreto del linguaggio utilizzato ma anche delle modalità effettive di esercizio della critica. Restando senza alcun dubbio fermo il limite invalicabile del rispetto dei valori fondamentali che devono ritenersi sempre superati quando la persona offesa sia esposta gratuitamente alla pubblica denigrazione.