La battaglia elettorale nel secolo virtuale del “disprezzo”
La battaglia elettorale nel secolo virtuale del “disprezzo”
Le ultime campagne elettorali italiane e statunitensi hanno segnato una svolta nello scenario politico internazionale, in ragione dell’indiscutibile centralità acquisita dai social network nelle strategie di comunicazione politica di partiti e candidati. In concreto, esse hanno rappresentato un importante banco di prova per la consacrazione delle piattaforme digitali come strumento di divulgazione di informazioni politico-elettorali. Come marcato in dottrina, la comunicazione politica può essere definita come “lo scambio e il confronto dei contenuti di interesse pubblico-politico prodotti dal sistema politico, dal sistema dei media e dal cittadino elettore”[1], laddove il sistema dei media racchiude tutti quei mezzi di comunicazione di massa (risalenti e innovativi), con i quali la politica instaura relazioni di assuefazione e/o scontro, di competizione, di negoziazione. In particolare, tra politica e comunicazione sembra esserci un rapporto di “interdipendenza”: il potere non può fare a meno della comunicazione, così come quest’ultima – soprattutto quella di massa – non può rinunciare ad entrare nel circuito che si crea tra la sfera politica e quella dei cittadini[2]. Nel corso degli anni, il mondo politico – a livello internazionale – ha attraversato una fase di mutamento nel suo rapporto con gli strumenti tecnologici: si è rilevato un uso scorretto degli strumenti medesimi, intendendo con il termine “scorretto” non solo un utilizzo poco efficiente o contro legge, ma anche un uso che rivela l’attuazione di una politica brutale; difatti, è ormai consueto privilegiare i benefici più immediati dello strumento tecnologico, tra cui la sua capacità di amplificazione e generazione di virilità del messaggio, per ridurre il dibattito, il confronto e l’operato politico sino a livelli elementari, sfociando nell’offesa, nella denigrazione e nell’odio[3]. Su influenza d’oltreoceano, il nostro Paese si è adeguato ad un ampio processo di trasformazione della comunicazione politica in generale, e nello specifico, delle campagne elettorali, con il coinvolgimento di numerosi e differenti attori, che si sono mossi secondo i tempi e le logiche dei social network. A ciò deve aggiungersi l’ascesa di “nuove” forze politiche, di rottura, guidate da giovani leader capaci di imporsi come protagonisti assoluti della comunicazione politica proprio tramite l’uso-abuso delle piattaforme digitali. Una campagna elettorale non più controllata da soggetti istituzionali, ma da strumenti esterni rischia di mettere a repentaglio sia la tutela dei diritti individuali sia il buon funzionamento del sistema democratico.
Agli inizi del XXI secolo, la comparsa delle piattaforme digitali offre agli esponenti politici la possibilità di uscire dai rituali monodirezionali della comunicazione televisiva e di sondare una dimensione comunicativa fondata sull’interazione e sul contatto diretto con i cittadini[4]. Sebbene i social network fossero da tempo oggetto di attenzione da parte degli osservatori più prudenti della politica statunitense, le elezioni presidenziali del 2008 dimostrarono la straordinaria capacità dei predetti strumenti di prevalere sulle tradizionali campagne con una maggiore incisione e divulgazione, con una spiccata personalizzazione dei messaggi, nonché con l’instaurazione di un rapporto intimo e solido tra il candidato e i suoi sostenitori. Barack Obama, 44° Presidente degli Stati Uniti, è il primo ad accettare di cambiare, senza titubanze e cosciente dei rischi, il modo di rapportarsi con i suoi elettori attraverso la rete, lasciando aperto, senza filtri, il canale di comunicazione[5]. L’elezione di Obama alla Casa Bianca costituisce la chiave di volta della comunicazione politica del nuovo secolo: l’obiettivo perseguito dalla social campaign del Presidente non risiede nel superamento dei mezzi di comunicazione precedenti, quanto piuttosto nella necessità di integrare gli strumenti digitali in una lunga tradizione[6]. In tale ottica, la rete sembra avere rivendicato il proprio diritto ad esistere in una società spenta, conquistando a pieno titolo il ruolo di opinion market nella costruzione del consenso politico, e non solo di potenziale elettore, passivamente esposto alla comunicazione televisiva[7]. Il tratto caratteristico della social campaign di Barack Obama è quello di saper trasformare una campagna elettorale nazionale in un’elezione locale, puntando sugli interessi dei singoli: data l’impossibilità di spostare direttamente voti, vi sono le condizioni di “spostare persone”, ossia coltivare un rapporto di fiducia, informare i cittadini sulle attività realizzate, sulle proprie proposte e rispondere alle critiche mosse[8]. Sotto tale profilo, la rete ha rivelato un’innata capacità di ascolto reciproco e tempestivo tra candidati ed elettori, così da consentire al messaggio politico di perforare in maniera sottile nel tessuto sociale e alle sensazioni/stati d’animo degli elettori di giungere in tempo reale all’ascolto dei decisori pubblici[9]. La potenza della rete e il ruolo cruciale assolto dai social network nel corso delle elezioni presidenziali del 2008 trovano conferma in termini statistici: 75 milioni di americani – ossia il 37 % della popolazione adulta – sono ricorsi alla rete per conseguire informazioni e notizie politiche, esprimere pareri sui temi principali della campagna elettorale, trasformandosi in donatari, volontari e sostenitori impegnati e responsabilizzati. La vittoria di Obama è riconducibile specialmente all’impiego ottimale dei tre fattori-chiave decisivi per il successo elettorale: il denaro, il messaggio e l’organizzazione. Con riferimento al messaggio, gli artefici della campagna del 44° Presidente degli Stati Uniti hanno puntato sul “cambiamento”, divenuto trait d’union di una campagna incentrata su un candidato ignoto all’opinione pubblica, di colore, senza esperienza politica, che intendeva venire incontro alle esigenze dei cittadini; la sua “corsa” alla Casa Bianca si colloca oltre ogni dimensione ideologica, facendo leva sulla partecipazione attiva dal basso per consacrare la sua immagine al di sopra dei partiti; in tale senso, egli ha saputo reinterpretato il concetto di populismo sotto una prospettiva più vicina al populismo della rete (unificante, post-ideologico, post-materialistico, e per diversi aspetti impolitico) che a quello tradizionale (divisivo, ideologico, materialistico, politico)[10].
Le presidenziali statunitensi del 2012, pur caratterizzate da un minore entusiasmo, un maggiore tasso di astensionismo ed una campagna combattuta in termini di sondaggi, hanno concesso un’ulteriore occasione per testare l’incisività delle piattaforme digitali in campo elettorale. Se quella del 2008 avevano segnato l’atteso debutto dei social network, l’elezione successiva si contraddistingue per il loro impiego raddoppiato sia da parte dei c.d. nativi digitali che tra la popolazione adulta, così come l’utilizzo dei social media in generale[11]. È opportuno segnalare come alla rielezione di Obama abbia contribuito non solo un uso massiccio e solido dei social network, ma anche lo sfruttamento dei big data: la creazione di un unico contenitore di dati provenienti da fonti digitali rendeva possibile la stesura di una strategia di campagna cost-effective, tale da consentire, a parità di costo, di raggiungere e coinvolgere nella campagna elettorale un numero superiore di sostenitori e donatori e, al contempo, time-efficient, tale contribuire a comprendere, quasi in tempo reale, l’umore dell’elettorato e la sua risposta ai messaggi politici, abbassando i tempi di reazione della c.d. war room[12].
Sebbene quella di Barack Obama venga definita la “madre” di tutte le competizioni elettorali digitali[13], si deve tenere presente che le potenzialità degli strumenti tecnologici, e in particolare quelle dei social network, sono state sfruttate anche in passato, in maniera però insoddisfacente. In particolare, già Howard Dean, considerato il vero pioniere delle social campaign, aveva tentato di accrescere, attraverso l’efficace piattaforma MeetUp, la sua candidatura all’interno della tornata elettorale del 2004, riuscendo a raccogliere più fondi rispetto a quelli reperiti dagli ulteriori candidati del versante democratico, tramite l’organizzazione di migliaia di volontari implicati in una campagna door-to-door, partita dalla rete[14]. Tuttavia, nel lontano 2004 la cultura politica si dimostrava incapace di intuire le potenzialità della stessa come strumento e, soprattutto, spazio della democrazia[15], così come confermato dalla scarsa considerazione dei più sofisticati social network.
Negli ultimi anni, i politici italiani – su ispirazione americana – iniziano a prestare maggiore considerazione alle potenzialità dei media e dei social, con scopi comunicativi e manipolativi dei votanti. È il Movimento 5 Stelle – per primo – a elevare la rete come proprio punto di forza, consolidando un nuovo modo di fare politica proprio attraverso l’adozione di quella piattaforma lanciata in precedenza negli Stati Uniti per incoraggiare la partecipazione dal basso nella tornata elettorale. Partendo dal proposito di offrire a tutti i seguaci attivi “l’opportunità di incontrarsi tra loro, discutere e prendere iniziative”, la predetta piattaforma creava un ambito in cui potevano raccordarsi esigenze di socialità con l’interesse per i problemi sociali e politici a livello locale. La strategia preannunciata e poi realmente seguita era quella di decidere caso per caso come votare senza precludere collaborazione su singole tematiche, mentre era respinta qualsiasi possibilità di alleanza con le ulteriori forze politiche[16]. Pertanto, non deve sorprendere se, alla sua prima prova elettorale su base nazionale (2013), il M5S si sia imposto come primo partito, riportando quasi 8.700.000 voti alla Camera dei deputati: come osservato in dottrina, esso ha saputo “trasformare la trasparenza da strumento a principale issue di campagna elettorale, da caratteristica passiva a prodotto di comunicazione, un fact checking degli eventi politici e delle dichiarazioni dei vari leader da riversare sulla rete sotto forma di reportage multimediale, per aprire un dibattito e tenere sotto controllo l’operato dei delegati”[17]. La particolare attrazione da parte della politica italiana verso lo stile digital-comunicativo caratteristico delle campagne elettorali americane trova riscontro nella scelta innovativa dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri uscente Mario Monti (che tramite Twitter rende nota la volontà di “misurarsi” con la politica) di puntare su David Axeldor, reduce dalla campagna di successo di Obama, per affrontare la sua prima campagna elettorale. Altrettanto indicativa di tale apprezzamento è la decisione di Matteo Renzi di affidarsi, nel corso della campagna referendaria del 2014, a Jim Messina, altro rilevante consulente politico americano, per rafforzare le ragioni del sì.
Alla luce di ciò, anche in Italia – pur con forte ritardo e talune incertezze – si assiste ad una netta trasformazione interessante tanto le modalità e i processi di comunicazione quanto i percorsi di attivazione e organizzazione; le nuove campagne elettorali digitali risultano caratterizzate da “una stretta connessione tra il potenziale interattivo del web, la centralità assegnata dal sistema digitale dell’autocomunicazione di massa all’attore sociale ed il recupero del ruolo fondamentale della comunicazione interpersonale come medium attraverso le campagne di mobilitazione sul campo”[18].
«Chiamatemi Giorgia». La mossa della Presidente del Consiglio dei Ministri, pur rischiosa, costringe gli altri leader politici a scendere in campo e individuare una strategia
migliore.
[1] Così, G. Mazzoleni, La comunicazione politica, III ediz,., Bologna, 2012, p. 34.
[2] G. Manetti, Brevi cenni su fasi evolutive e modelli della comunicazione politica, in A. Prato (a cura di), Comunicazione e potere. Le strategie retoriche e mediatiche per il controllo del consenso, Roma, 2018, p. 13.
[3] G. Ziccardi, Tecnologie per il potere: Come usare i social network in politica, Milano, 2019, p. 37.
[4] S. Spina, Openpolitica. Il discorso dei politici italiani nell’era di Twitter, Milano, 2012, p. 63.
[5] F. Pira, La net comunicazione politica: partiti, movimenti e cittadini-elettori nell’era dei social network, Milano, 2012, p. 47.
[6] F. Colombo, Il potere socievole. Storia e critica dei social media, Milano, 2013, p. 90 ss.
[7] F. Petricone, Società e politica della comunicazione, Milano, 2009, p. 146.
[8] F. Marrazzo, G. Grasso, Political Digital Strategy: Come fare campagna elettorale online, Palermo, 2017, p. 50.
[9] F. Petricone, Società e politica della comunicazione, cit., p. 147.
[10] R. De Rosa, Cittadini digitali. L’agire politico al tempo dei social media, Santarcangelo di Romagna (RN), 2013, pp. 66-67.
[11] In particolare, Jim Messina, capo dello staff per la campagna elettorale di Barak Obama dal 2008, rivela al Times Magazine, l’intenzione di misurare “ogni cosa” per portare a termine la rielezione del Presidente uscente.
[12] R. De Rosa, L’uso dei big data nella comunicazione politico-elettorale. La previsione di voto nelle presidenziali francesi 2017, in Comunicazione Politica, n. 2, 2018, p. 199.
[13] Così, F. Meola, Tecnologie digitali e neuro-marketing elettorale. A proposito di una possibile regolamentazione delle nuove forme di propaganda politica, in Costituzionalismo.it, n. 1, 2020, p. 96.
[14] F. Petricone, Società e politica della comunicazione, Milano, 2009, p. 143.
[15] A. Putini, Al di là di internet: fra recupero e dissoluzione della democrazia, in Sociologia, n. 2, 2013, p. 53.
[16] U. Comite, Un approccio manageriale alla gestione dei partiti politici, Milano, 2016, p. 51.
[17] R. De Rosa, Partecipazione politica e nuovi media, Roma, 2015, p. 161.
[18] C. Cepernich, Le campagne elettorali al tempo della networked politics, Roma-Bari, 2017, p. 10.