Truffa: il profilo fantasma

Frode
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Truffa: il profilo fantasma 

 

Introduzione

I banchetti agli angoli delle strade dove l’abile prestigiatore fa il gioco delle tre carte e i complici vincono barcate di soldi al prestigiatore indovinando dove si nasconda la carta fortunata, sono rimasti una pittoresca realtà ancora resistente nelle località turistiche dove qualche malcapitato ancora spera che qualcuno gli regali delle banconote sonanti.

Oggi le truffe si sono spostate nel web, ma le dinamiche umane sono sempre le stesse. Carpire la fiducia del malcapitato e, a mano a mano che il rapporto di fiducia cresce, spillargli sempre più soldi. Quando il malcapitato si rende finalmente conto della truffa ha già perso parte del suo patrimonio. Le fasi sono le identiche: le informazioni, l’esca, l’attacco.

Nella prima fase il truffatore raccoglie le informazioni utili per poter poi lanciare l’esca alla sua vittima. Cosa le piace, di quali servizi online si serve e le sue disponibilità economiche per poter calibrare il tiro. Se la richiesta di denaro è superiore alle possibilità della vittima, questa non abboccherà mai. È pertanto necessario procedere gradualmente, con piccole somme e piano piano alzare il tiro. Si arriva così all’attacco, ovvero la richiesta di soldi.

È popolare in questi giorni un documentario che spopola sulle piattaforme on demand, il truffatore di Tinder. Dai meccanismi psicologici che si insidiano nella mente delle vittime è facile notare una leggerissima analogia con i meccanismi mentali della mente di un ludopatico. Infatti, il giocatore compulsivo, dopo aver perso una certa somma di denaro, non continua più a giocare con l’auspicio di capitalizzare “l’investimento”, ma gioca con la vana speranza di rifarsi di quello che ha perso fino a quel momento con la tragica conseguenza di continuare a perdere ancora e ancora.

 

Il caso

Questa è la storia di Giulia (nome di fantasia) che è stata vittima di una truffa. Non su Tinder, ma su Facebook, il noto social network con oltre 2,80 miliardi di utenti. Giulia voleva regalare alla sua migliore amica i biglietti per il concerto del suo cantante preferito. Giulia si è quindi iscritta ad un gruppo privato dove gli utenti comprano e rivendono biglietti per i vari concerti in giro per l’Italia. Vediamo qui in un attimo fondersi le prime due fasi della truffa. Il truffatore, infatti, non ha la necessità di ricercare attivamente informazioni sulla vittima, ma è la vittima stessa a fornirle, manifestando interesse per un determinato prodotto e chi appartiene al gruppo Facebook condivide l’interesse per questo o quel concerto. Pertanto, Licia (questo è il nome di fantasia scelto per il profilo facebook del truffatore) si è iscritta allo stesso gruppo Facebook di Giulia ed è rimasta pazientemente ad aspettare - neppure troppo a lungo. Ed eccolo che arriva il post di Giulia: “Ciao! Sto cercando dei biglietti per il concerto dei Bee Hive del 01.01.2021”. Puntualissima, scalzando altri venditori di quel gruppo, Licia risponde a Giulia che ha proprio due biglietti pronti per lei e che se interessata possono sentirsi in privato.

La due chattano prima su Facebook e poi si scambiano i numeri di cellulare, e si da inizio alla trattativa. I biglietti non sono particolarmente economici, ma sui canali ufficiali sono già terminati e Lucia racconta a Giulia di averli acquistati molto tempo prima, per andarci con il marito, ma poi purtroppo un imprevisto le ha impedito di andare e pertanto è costretta a rivenderli.

La spiegazione è plausibile e Giulia, che ci teneva tanto a regalare i biglietti per il concerto dei Bee Hive alla sua migliore amica è sempre più convinta di aver avuto un inaspettato colpo di fortuna. Stava quasi per rinunciare a quel regalo quando la provvidenza si è palesata con il nome di Licia. Dalle foto su facebook Licia è coetanea di Giulia e ha un bambino di pochi mesi. Giulia, che non è nata ieri, prima di fidarsi ciecamente di Licia ha spulciato più e più volte le fotografie di Licia. Effettivamente il profilo di Licia non sembra affatto un profilo fake. Il profilo non è stato creato di recente, ma da almeno dieci anni ed è pieno di fotografie scattate in situazioni e momenti diversi con amiche storiche, tutte proprietarie di altrettanto profili Facebook, altrettanto ricchi di fotografie. Licia ha molte fotografie con il suo bambino e ciascuna fotografia ha molti commenti ai quali Licia risponde. Dagli scambi pubblici è facile determinare che le persone con cui interagisce sono persone che conosce anche nella vita reale, con la quale sembra che abbia una particolare confidenza. Non contenta, Giulia ha ricercato il nome e cognome di Licia su internet e ha scoperto che lavora in un noto negozio di abbigliamento nel centro di Milano. “Figuriamoci dunque se un’onesta lavoratrice come me, madre di famiglia, va a fregarmi quattro soldi!” si è detta Giulia e ha dato il via alle trattative con Licia ed ha accettato il costo della compravendita, ancorché un po’ esoso. Ma non poteva mica permettere che Licia vendesse i biglietti a qualcun altro più interessato e disponibile di lei.

Giulia chiede se prima di pagare può ricevere la ricevuta della spedizione, ma Licia si mostra spazientita per la diffidenza di Giulia e vengono ad un accordo. 50 % subito e 50% dopo la spedizione. “Sembra ragionevole. D’altro canto, se io non mi fido di lei perché lei dovrebbe fidarsi di me” pensa Giulia.

Qualche giorno dopo, anziché trasmettere la foto della ricevuta della spedizione, come da accordi, Licia scrive a Giulia spiegando di aver avuto a che discutere con il marito, il quale pretendeva il pagamento della somma intera prima di inviare i biglietti. Licia si scusa ma non può fare diversamente. I biglietti li ha acquistati il marito ed è lui che decide. Pertanto, se Giulia avesse voluto i biglietti avrebbe dovuto saldare la cifra per intero. Ormai preoccupata di perdere capra e cavoli, Giulia effettua il pagamento della seconda e ultima tranche, sperando di ricevere quello per cui ha pagato.

Segue un altro paio di messaggi in cui Licia tranquillizza Giulia sulla buona riuscita della transazione e sulla spedizione dei biglietti poi Licia sparisce e non risponde più ai messaggi e alle chiamate. Licia ha bloccato il numero di Giulia.

Qualche settimana più tardi Giulia viene contattata da un utente di Facebook, Andrea, che ha visto lo scambio pubblico tra Licia e Giulia nel gruppo Facebook ed anche lui ha avuto contatti con Licia ed anche lui ha pagato una prima tranche del biglietto dei Bee Hive e Licia aveva insistito per ricevere la seconda tranche. Andrea, insospettitosi, prima di completare la transazione si è informato sul personaggio e Giulia l’ha subito messo in guardia sul soggetto, risparmiando così ad Andrea almeno metà del maltolto. Andrea è piemontese ed è stato adescato con le medesime modalità con le quali è stata adescata Giulia.

Entrambi decidono perciò di mettere insieme le informazioni e di rivolgersi ad un investigatore privato per scoprire chi ci sia dietro al profilo Facebook di Licia, chi scrivesse i messaggi WhatsApp. Non è stato facile mettersi in contatto direttamente con Licia, perché scrivendole su facebook avrebbe senz’altro risposto la stessa persona che fino a quel momento ha chattato con Giulia. Pertanto, tramite le sue amicizie sui social abbiamo scoperto che il profilo di Licia era stato letteralmente rubato e ignoti lo utilizzavano al suo posto da diversi mesi. Licia, peraltro, non si era mai preoccupata di inoltrare alcuna segnalazione a Facebook e neppure di segnalare l’evento all’autorità giudiziaria, procrastinando e sottovalutando la portata di questo fatto. Si è semplicemente limitata a creare un nuovo profilo e avvisare i suoi contatti che il precedente “non era più in uso”.

Tramite alcune semplici ricerche del numero di telefono si è inoltre scoperto chi c’era dall’altra parte del telefono. Non era Licia, bensì un giovane di nome Mirco, disoccupato e residente in tutt’altro luogo. Non aveva nulla a che fare con Licia ed era dedito a truffe da pochi soldi. Una persona nota alle autorità del luogo con piccoli precedenti penali.

 

Epilogo

Andrea e Giulia, ciascuno nella propria Questura di riferimento, hanno presentato denuncia alla polizia postale. Entrambi non hanno ricevuto particolari rassicurazioni in merito alla possibilità di recuperare il maltolto, ma sia a Giulia che ad Andrea hanno detto che le probabilità di recuperare i soldi erano estremamente esigue. Qualche mese più tardi, il profilo di Licia compare ancora nei gruppi Facebook di compravendita e scambio e ancora offre biglietti di concerti e qualunque altra cosa sia di interesse degli utenti che interagiscono sui vari gruppi. Tuttavia, ha cambiato nome. Non è più Licia, bensì Cristina, ma la foto profilo è rimasta la stessa e anche l’URL del profilo Facebook contiene ancora il nome originale di Licia.

 

Conclusioni

Quello che ci piacerebbe però approfondire in questa sede non è tanto l’aspetto investigativo quanto piuttosto quello normativo intorno al caso trattato. Il truffatore, per i suoi scopi di compravendita, utilizza un profilo Facebook rubato. Come sia entrato in possesso della disponibilità del profilo di Licia non ci è dato saperlo, ma conosciamo bene l’utilizzo fraudolento che ne ha fatto. Questo configura a tutti gli effetti il reato di furto d’identità digitale.

Se l’identità personale è un bene consistente nella proiezione sociale della personalità dell’individuo, l’identità digitale è la rappresentazione informatica della corrispondenza biunivoca tra un utente e i suoi attributi identificativi, verificata attraverso l’insieme dei dati raccolti e registrati in forma digitale”. Concetto che comprende quindi, da un lato, la proiezione dell’identità personale di un individuo sul web, dall’altro l’insieme delle tecniche di identificazione del soggetto che gli consentono di agire nella realtà virtuale tramite strumenti informatici e profili sui social network.

Pertanto, esattamente come è possibile il configurarsi il furto di identità, parimenti è configurabile il furto d’identità digitale. Questo è un fenomeno criminoso prodromico alla commissione di ulteriori illeciti, tra cui appunto la Truffa (Art. 640 Codice penale.)

Il Codice penale vigente non prevede una specifica norma incriminatrice, ma attualmente la giurisprudenza è orientata verso il combinato disposto della Sostituzione di persona (Art. 494 Codice penale) e della Frode Informatica (Art. 640 ter, co. 3 Codice penale). Pertanto, ad oggi, l’indebito utilizzo di identità digitale altrui appare costituisce una mera aggravante della frode informatica ma non un reato meritevole di una sua propria dignità penale.

Non conosciamo ancora il destino al quale sia andato incontro Mirco, in quanto è passato solo un anno, ma è probabile che non andrà incontro a gravi conseguenze penali. Dalla sua giocano sicuramente la tenuità del fatto, ma soprattutto le lunghe tempistiche dell’indagine prima e ancor più quelle del circuito giudiziario poi. Tutti elementi che incentivano questo genere di frodi su larga scala e che danno vita ad un malsano circolo vizioso, in quanto con l’aumentare degli illeciti analoghi, aumenta il carico di lavoro della Polizia Postale, giustamente impegnata nella persecuzione di reati ben più gravi. Ciò a sua volta comporta un aumento della sfiducia nei confronti dell’istituto della denuncia e di riflesso un sempre maggiore sentimento di impunità dei malfattori. Sono nati ormai da diverso tempo sui social gruppi spontanei di persone che tendono a tutelarsi vicendevolmente, mettendo in guardia gli utenti sulle truffe che circolano in rete. Una sorta di ronda di vicinato, ma senza divise né armi bianche, ma solo un forte senso di solidarietà reciproca.