La Cassazione penale sul discrimine tra il peculato e la truffa aggravata

Truffa
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La Cassazione penale sul discrimine tra il peculato e la truffa aggravata

 

Nella sentenza n. 30184/2025 la VI Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha chiarito i confini tra il reato di peculato e il reato di truffa.

In primo luogo, la Corte ha specificato che per distinguere la fattispecie criminosa di peculato, prevista dall’art. 314 C.p., da quella di truffa aggravata, ex art. 640 C.p., c. 2, occorre avere riguardo agli elementi del possesso e degli artifici o raggiri.

Se gli artifici e i raggiri sono volti a mascherare l’illecita appropriazione da parte dell’agente del denaro o della res di cui già aveva la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, allora è integrabile il reato di peculato.

Se, al contrario, la condotta fraudolenta, posta in essere con artifici e raggiri, è volta a conseguire il possesso del denaro o della cosa mobile altrui, allora ricorre lo schema della truffa.

La stessa distinzione, secondo la Corte, è valevole con stretto riferimento al reato di truffa ai danni dello Stato, aggravato dalla violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione (ex art. 61 n. 9 C.p.), che è integrato con la condotta del pubblico agente che, per effetto degli artifici o raggiri, ottenga l’indebita erogazione del denaro o della res di cui non aveva disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio (Cass. pen., Sez. VI, n. 13559/2019).

In definitiva, quindi, la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui l’elemento di discrimine tra il peculato e la truffa va individuato nell’effetto derivante dall’artificio: se quest’ultimo è causalmente diretto a ottenere una disponibilità che il pubblico agente non avrebbe avuto, è configurabile il reato di truffa. Se l’artificio, al contrario, è volto a mascherare un’appropriazione illecita da parte di un pubblico agente di denaro o di una res di cui aveva la disponibilità, è integrabile il peculato.