Esercizio arbitrario delle proprie ragioni e sequestro di persona: non sussiste rapporto di specialità ex art. 15 C.p.

Notte a Comacchio
Ph. Luca Martini / Notte a Comacchio

Esercizio arbitrario delle proprie ragioni e sequestro di persona: non sussiste rapporto di specialità ex art. 15 C.p.

 

La Cass. pen. sez. V., sent. n. 10357/2025, si è pronunciata sul rapporto tra i reati di sequestro di persona ex art. 605 C.p. ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 393 C.p.

 

La Sezione V penale della Suprema Corte di Cassazione ha affermato, con sentenza n. 10357/2025, che tra il reato di sequestro di persona ex art. 605 C.p. e il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all’art. 393 C.p. non sussiste un rapporto di specialità ex art. 15 C.p. Pertanto i due reati possono concorrere senza che si configuri un concorso apparente di norme.

La fattispecie astratta di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non prevede, infatti, la privazione della libertà personale, che è un elemento costitutivo del sequestro di persona. Al contrario, richiede che la condotta sia connotata da violenza o minaccia.

Ancora, sul piano dell’elemento soggettivo, il sequestro di persona non richiede un dolo specifico, che è invece richiesto ai fini della configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, per cui il soggetto attivo agisce al fine specifico di esercitare un preteso diritto.

Con la pronuncia, la Corte ha confermato l’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui è ammessa la configurabilità del tentativo del reato di esercizio delle proprie ragioni, sia se commesso con violenza sulle cose, sia se commesso con violenza alle persone.

Così ha argomentato la Corte sostenendo l’orientamento maggioritario: «Va, però, condivisa la prima opinione, maggioritaria, anche alla luce della convincente considerazione di Sez. 6 Paoloni, per la quale sussiste “... il tentativo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, quando la violenza o la minaccia posta in essere non sia seguita dalla realizzazione del risultato. Questa soluzione risulta suggerita dal testo della disposizione normativa. In effetti, la previsione di cui all’art. 393 cod. pen. descrive la condotta dell’agente come quella di chi “si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone” (analoga è la statuizione dell’art. 392 cod. pen.). Ora, l’impiego dell’indicativo presente in relazione al “farsi ragione”, e, invece, del gerundio con riguardo all’uso della violenza o della minaccia, induce a ritenere che sia necessaria, per l’integrazione della fattispecie, la realizzazione del risultato perseguito”».

Il tentativo è quindi figurabile nella misura in cui il soggetto attivo, pur avendo fatto uso di violenza o minaccia, non abbia ottenuto il risultato di farsi arbitrariamente ragione da sé medesimo.