Caso Davigo: gli ultimi arresti giurisprudenziali in tema di rivelazione di segreti d’ufficio ex art. 323 C.p.

Piercamillo Davigo al Festival della Comunicazione di Camogli, foto di Alessio Jacona, tratta da Wikimedia Commons
Piercamillo Davigo al Festival della Comunicazione di Camogli, foto di Alessio Jacona, tratta da Wikimedia Commons

Caso Davigo: gli ultimi arresti giurisprudenziali in tema di rivelazione di segreti d’ufficio ex art. 323 C.p.

 

È punibile ex art. 323 C.p., oltre al propalatore qualificato, l’extraneus che abbia in qualsiasi modo concorso moralmente

 

Il caso Davigo-Amara, avente ad oggetto i verbali dell’interrogatorio dell’avvocato Pietro Amara sulla Loggia Ungheria, è stato posto all’attenzione della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che si è pronunciata con sentenza n. 3755 del 2025.

 

Il caso

Piercamillo Davigo era stato condannato dalla Corte di appello di Brescia, in conferma della sentenza di primo grado, perché ritenuto responsabile di più fatti di reato, avvinti dalla continuazione, puniti ai sensi dell'art. 326 C.p., che incrimina la rivelazione e l’utilizzazione di segreti di ufficio.

All’epoca dei fatti, l'imputato era componente del Consiglio Superiore della Magistratura e avrebbe concorso nel reato ex art. 326 C.p. quale extraneus, con il Sostituto procuratore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, Paolo Storari.

La rivelazione dello Storari era consistita nell’aver dato notizia al Davigo delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dall'Avvocato Piero Amara, anche attraverso la consegna al concorrente Davigo di un supporto informatico con copie dei verbali.

Le notizie avevano ad oggetto atti coperti dal segreto investigativo, nei quali il dichiarante faceva riferimento all’esistenza di una associazione segreta di matrice massonica della quale avrebbero fatto parte alte cariche dello Stato e delle Forze Armate, nonché diversi magistrati e, in particolare, due componenti del Consiglio Superiore della Magistratura.

La condotta criminosa del Davigo sarebbe quindi consistita nell’aver divulgato a terzi il contenuto delle notizie. Particolarmente, il Davigo le avrebbe propalate a Giuseppe Marra, componente del Consiglio Superiore della Magistratura, al Vicepresidente Davide Ermini, e ad altri Consiglieri, oltre alle sue collaboratrici amministrative, al Senatore Nicola Morra, Presidente della Commissione Nazionale Antimafia, e al Presidente della Corte Suprema di Cassazione, Pietro Curzio.

 

La questione

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia ha giudicato Storari separatamente con rito abbreviato, assolvendolo per errore incolpevole sul fatto ex art. 47 C.p. e ritenuta insussistenza del dolo, per aver riposto affidamento nella qualificata e comprovata professionalità di Davigo. La decisione è stata confermata in appello.

Davigo, invece, è stato giudicato dai giudici di merito responsabile del reato di cui all’art. 326 C.p., quale concorrente extraneus di Storari, soggetto tenuto al segreto d’ufficio.
 

La soluzione

Secondo la Suprema Corte, il ricorrente avrebbe illegittimamente rassicurato l'intraneus in ordine alla non opponibilità del segreto investigativo allo stesso in quanto componente del Consiglio Superiore della Magistratura.

La sesta sezione penale della Cassazione ha tenuto a precisare i rapporti tra i concorrenti nella fattispecie incriminatrice ex art. 326 C.p., affermando che essa «punisce unicamente il propalatore qualificato (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) della notizia riservata e non il soggetto che la riceve, salvo che quest'ultimo non si sia limitato passivamente a riceverla ma abbia, con il proprio contegno, contribuito al disvelamento illecito, istigando, inducendo o comunque supportando l'intraneus nella esecuzione della relativa condotta materiale».

La Corte, quindi, ha stabilito che il contributo morale dell’extraneus, ai fini dell’integrazione della fattispecie criminosa, possa estrinsecarsi nei modi più diversi e atipici, a differenza dell’intraneus, che, per integrare la fattispecie, deve realizzare il fatto tipico. Testualmente la sesta sezione penale ha affermato che «il contributo morale offerto dal concorrente extraneus, in base all'ordinaria disciplina del concorso di persone nel reato, oltre alle tradizionali forme della determinazione e della istigazione, può estrinsecarsi nei modi più vari ed indifferenziati, sottraendosi a qualsiasi catalogazione o tipicizzazione, cui invece deve uniformarsi la condotta dell'autore dell'illecito e, quindi, del concorrente che esegue l'azione vietata dalla norma e non già quella del partecipe».

La Corte ha altresì rilevato che l’onere di riservatezza imposto dall’art. 329 c.p. prescinde dal fatto che il disvelamento abbia avuto o meno una incidenza concreta rispetto all'ordinario e utile sviluppo dell'indagine.

La Suprema Corte, infatti, ha richiamato il principio, incidentalmente valorizzato anche dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 4964 del 27/10/2011, dep. 2012, secondo cui «quando è la legge a prevedere l'obbligo del segreto in relazione ad un determinato atto o in relazione ad un determinato fatto, il reato sussiste senza che possa sorgere questione circa l'esistenza o la potenzialità del pregiudizio richiesto, in quanto la fonte normativa ha già effettuato la valutazione circa l'esistenza del pericolo, ritenendola conseguente alla violazione dell'obbligo del segreto».

Infine, è stato dichiarato che, in tema di concorso di persone nel reato, «l'assoluzione per difetto dell'elemento soggettivo in capo al concorrente "intraneo" nel reato proprio non esclude di per sé la responsabilità del concorrente "estraneo", che resta punibile nei casi di autorità mediata di cui all'art. 48 C.p. e in tutti gli altri casi in cui la carenza dell'elemento soggettivo riguardi solo il concorrente "intraneo" e non sia quindi estensibile, come deve dirsi nella specie, alla posizione dell'extraneus».