WhatsApp è un sistema informatico: l’accesso abusivo integra il reato di cui all’art. 615-ter C.p.

WhatsApp è un sistema informatico: l’accesso abusivo integra il reato di cui all’art. 615-ter C.p.
La Cass. pen., Sez. V, con la sentenza n. 19421/2025 si è pronunciata sulla fattispecie di reato prevista e punita dall’art. 615-ter C.p., rubricata come “Accesso abusivo a un sistema informatico”, e introdotta dalla legge n. 547/1993.
Il delitto, introdotto come “computer’s crime”, è stato inserito nella sezione relativa ai reati contro l’inviolabilità del domicilio. Infatti, come ha sottolineato la Suprema Corte, la relazione di accompagnamento al relativo disegno di legge riconosce che i sistemi informatici costituiscono “un’espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato, garantito dall’art. 14 della Costituzione e penalmente tutelata nei suoi aspetti più essenziali e tradizionali dagli artt. 614 e 615 del codice penale”.
Secondo la Corte, il bene giuridico tutelato dal reato di Accesso abusivo a sistema informatico è individuato dalla giurisprudenza costante nella difesa del domicilio informatico con riferimento allo ius escludendi alios, anche in relazione alle modalità che regolano l’accesso dei soggetti eventualmente abilitati.
La sentenza in esame, particolarmente, ha permesso di rilevare che integra la fattispecie criminosa di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico protetto di cui all’art. 615-ter C.p., oltre alla condotta di accesso o di mantenimento nel sistema posta in essere da un soggetto non abilitato ad accedervi, anche la condotta di accesso di un soggetto abilitato che «violi le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso, ovvero ponga in essere operazioni di natura ontologicamente diversa da quelle per le quali l’accesso è consentito». Non hanno rilievo, invece, ai fini dell’integrazione della fattispecie, le finalità che soggettivamente hanno motivato l’accesso al sistema.
In particolare, la Corte ha riaffermato la propria giurisprudenza, chiarendo che la nozione di “sistema informatico” deve essere riferita, testualmente, a «un complesso di apparecchiature destinate a compiere una qualsiasi funzione utile all’uomo, attraverso l'utilizzazione (anche parziale) di tecnologie informatiche, che sono caratterizzate - per mezzo di un'attività di “codificazione” e “decodificazione” - dalla “registrazione” o “memorizzazione”, per mezzo di impulsi elettronici, su supporti adeguati, di “dati”, cioè di rappresentazioni elementari di un fatto, effettuata attraverso simboli (bit), in combinazione diverse, e dalla elaborazione automatica di tali dati, in modo da generare “informazioni”, costituite da un insieme più o meno vasto di dati organizzati secondo una logica che consenta loro di esprimere un particolare significato per l’utente. La valutazione circa il funzionamento di apparecchiature a mezzo di tali tecnologie costituisce giudizio di fatto insindacabile in cassazione ove sorretto da motivazione adeguata e immune da errori logici».
Con riferimento alle ipotesi di singoli sistemi informatici, la Corte ha confermato che l’accesso alla casella di posta, intesa come “spazio di memoria”, concreta tecnicamente un accesso al sistema informatico, anche in forza delle password che proteggono la conoscenza dei dati contenuti.
La medesima conclusione è valevole per WhatsApp che, secondo la quinta Sezione penale della Cassazione, deve essere considerato un sistema informatico, «essendo un’applicazione software progettata per gestire la comunicazione tra utenti attraverso messaggi, chiamate e videochiamate, utilizzando reti di computer per trasmettere i dati, combinando hardware, software e reti per offrire il suo servizio». Pertanto, l’accesso abusivo nella nota applicazione software è idoneo a integrare il reato di cui all’art. 615-ter C.p