Diffamazione: la pena detentiva è consentita solo in circostanze eccezionali

Cass. pen. n. 29840/2025

Diffamazione
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Diffamazione: la pena detentiva è consentita solo in circostanze eccezionali (Cass. pen. n. 29840/2025)

 

Con sentenza n. 29840/2025 la V Sezione penale della Corte suprema di Cassazione si è pronunciata sul reato previsto e punito dall’art. 595 del Codice penale.

In fatto, il ricorrente aveva pubblicato su Facebook un post in cui lamentava che il Presidente della Corte d’Assise d’Appello dell’epoca avesse emesso provvedimenti in processi nei quali il marito sarebbe stato rappresentante della pubblica accusa. Il Presidente, secondo quanto scritto nel post ritenuto diffamatorio, avrebbe avuto una figlia appartenente allo stesso distretto giudiziario.

Tuttavia, il Presidente della Corte d’Assise d’Appello non era sposato e non aveva figlie, ma solo figli maschi non appartenenti alla magistratura.

L’imputato, quindi, è stato condannato alla pena, sospesa, di quattro mesi per il reato di diffamazione.

Tramite il difensore di fiducia, l’imputato ha perciò presentato ricorso, denunciando, in particolare, vizio di motivazione carente e comunque insufficiente con riguardo alla scelta di infliggere al ricorrente la pena detentiva in luogo di quella pecuniaria, che è alternativamente prevista dall’art. 595, c. 3 C.p.

Nelle considerazioni giuridiche, la Corte ha ritenuto che nel caso di specie fossero anzitutto assenti i presupposti per l’ipotizzabilità della scriminante del diritto di critica o del diritto di cronaca.

Dopodiché, il Supremo collegio ha ritenuto che la Corte di Appello territoriale non abbia in alcun modo risposto alla specificità degli argomenti difensivi con i quali si contestava la gravosa scelta della pena detentiva.

La Corte ha precisato che il ricorso alla pena detentiva come risposta sanzionatoria al delitto di diffamazione sia consentito solo ove ricorrano circostanze eccezionali.

«Secondo un’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata della norma, l’irrogazione di una pena detentiva, ancorché sospesa, per il delitto di diffamazione commesso, anche al di fuori di attività giornalistiche, mediante mezzi comunicativi di rapida e duratura amplificazione (nella specie via “internet”), deve essere connessa alla grave lesione di diritti fondamentali, come nel caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza».

Questa interpretazione si spiega, secondo il Collegio, alla luce del fatto che il reato di cui all’art. 595 C.p. è al centro di un delicato e difficile equilibrio tra il diritto alla reputazione personale e il fondamentale diritto alla libertà di manifestazione del pensiero.

Pertanto, in definitiva, l’irrogazione di una pena detentiva, anche se sospesa, per il reato di diffamazione connesso ai mezzi di comunicazione può essere compatibile con la pena detentiva, ma solo in circostanze eccezionali, quali la violazione di diritti fondamentali, come avviene nei casi di discorsi di odio o di violenza.

La Corte ha quindi ritenuto questo motivo di ricorso fondato e ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio