Sequestro probatorio: il decreto del PM deve indicare l’oggetto delle informazioni da ricercare e la perimetrazione temporale

alba a Sirolo
Ph. Luca Martini / alba a Sirolo

Sequestro probatorio: il decreto del PM deve indicare l’oggetto delle informazioni da ricercare e la perimetrazione temporale

 

La Seconda Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34324/2025, si è pronunciata sul sequestro probatorio di dati contenuti in dispositivi informativi o telematici.

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo ha proposto ricorso in Cassazione contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Bergamo che ha annullato il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal Pubblico Ministero in data 24 febbraio 2025, disponendo la restituzione del telefono cellulare del ricorrente e della copia forense eventualmente estratta.

Il Procuratore della Repubblica ha dedotto quale unico motivo la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’asserita mancata specificazione del vincolo di pertinenzialità e alla violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza della misura cautelare.

In particolare, il Procuratore ha sostenuto, con riferimento alla proporzionalità della misura, che le informazioni oggetto di ricerca, i criteri di selezione e la perimetrazione temporale dei dati di interesse possono essere individuati solo nella fase esecutiva, alla presenza delle parti e dei consulenti eventualmente nominati.

In più, secondo il Procuratore, l’interesse del ricorrente alla pronuncia del Tribunale del Riesame di Bergamo era infondato, poiché la decisione è intervenuta quando i dispositivi erano già stati riconsegnati.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, con riferimento all’interesse della parte a proporre riesame, esso sussiste «di per sé» in caso di sequestro probatorio di un telefono cellulare contenente dati informatici e pur già restituito all’avente diritto previa estrazione di “copia forense”, poiché lo smartphone è un mero “contenitore” di dati, destinato per sua natura a raccogliere informazioni personali e riservate. Pertanto, non occorre dimostrare l’interesse al riesame alla luce di quanto il dispositivo contiene.

Infatti, «È indubbio che l’interesse all’impugnazione nel caso a giudizio e in altri similari interseca la questione della tutela del diritto alla riservatezza e la necessità di individuazione di un punto di equilibrio nel bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco».

Con riferimento alla proporzionalità e alla adeguatezza della misura cautelare,  secondo la Corte l’oggetto delle informazioni da ricercare e la loro perimetrazione temporale non può essere demandata alla fase di estrazione della copia forense nel contraddittorio tra le parti, poiché l’ambito dell’esigenza investigativa di ricerca della prova deve essere già delineato e puntualmente motivato nella fase genetica, «al fine di apprezzare sia il vincolo di pertinenzialità che la finalità probatoria perseguita oltre che il rispetto del requisito della proporzionalità».

Infatti, «il sequestro probatorio di dati contenuti in dispositivi informatici o telematici postula che il decreto del pubblico ministero, al fine di consentire una adeguata valutazione della proporzionalità della misura sia nella fase genetica che in quella esecutiva, debba illustrare le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e omnicomprensivo o, in alternativa, le specifiche informazioni oggetto di ricerca, i criteri di selezione del materiale informatico archiviato nel dispositivo, la giustificazione dell’eventuale perimetrazione temporale dei dati di interesse in termini sensibilmente difformi rispetto ai confini temporali dell’imputazione provvisoria e i tempi entro cui verrà effettuata tale selezione, con conseguente restituzione anche della copia informatica dei dati non rilevanti».