Può provarsi la violazione dell’obbligo di fedeltà del coniuge mediante prove illecitamente acquisite?

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Può provarsi la violazione dell’obbligo di fedeltà del coniuge mediante prove illecitamente acquisite?

 

Le prove illecitamente acquisite sono le prove acquisite in violazione di divieti posti dalla legge. Si pensi a mail o messaggi acquisiti senza il consenso della persona interessata, per esempio utilizzando username e password del soggetto interessato, senza che quest’ultimo ne sia a conoscenza e abbia acconsentito a tale accesso, poi prodotte in giudizio per provare l’infedeltà del coniuge.

I messaggi o le mail sono da considerarsi diversi dai post, che sono dirette alla cerchia di amici e non un solo specifico destinatario. Invero, si ritiene che la posta elettronica e le conversazioni sui programmi di messaggistica costituiscano corrispondenza privata, tutelata dall’art. 15 Cost. e dalle norme del diritto penale.

Inoltre, l’acquisizione di tali messaggi si pone anche in contrasto con la normativa sulla privacy.

Sono utilizzabili dal giudice tali messaggi, se prodotti in giudizio civile, ai fini della sua decisione?

Occorre innanzitutto evidenziare che nel processo civile non vi è una norma che dispone l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge, come invece esiste nel diritto penale, dove all’art. 191 c.p.p. è espressamente previsto che le prove acquisite in violazione dei divieti previsti dalla legge non possono essere utilizzate, non potendo quindi il giudice porle a base della sua decisione.

Secondo un primo più risalente orientamento della giurisprudenza, minoritario, il materiale probatorio acquisito in violazione di legge è inutilizzabile nel processo civile.

Così, ad esempio, Cass. Civ., Sez.  VI, ordinanza 8/11/2016, n. 22677, per cui  «Il materiale probatorio sottratto in maniera fraudolenta alla controparte che ne era in possesso non può essere utilizzato nel processo civile (nella specie, nel corso di un giudizio di separazione uno dei coniugi aveva prodotto file audio con relativa traduzione giurata già di proprietà dell'altro coniuge)».

Secondo un più recente e maggioritario orientamento, le prove illecitamente acquisite sarebbero liberamente valutabili dal giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c.

Interessante, di recente, sul punto Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 13/12/2021, n.  39531, che ha stabilito che  «E' legittimo l'accesso ai dati di un terzo, senza il consenso dell'interessato, per far valere o difendere un diritto in giudizio, purché: a) il trattamento avvenga esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento e b) riguardi esclusivamente i dati pertinenti alla tesi difensiva» e «L'interesse alla riservatezza dei dati personali deve cedere, a fronte della tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti; né il diritto alla difesa giudiziale, anche mediante la conoscenza dei dati a ciò strettamente necessari, previsto dall'art. 24, comma 1, lett. f) del Codice privacy può essere interpretato in senso restrittivo, correlato cioè al solo titolare dei dati soggetti a trattamento: al contrario, anche altri soggetti possono formulare la richiesta di accesso ai dati, sempre se portatori di un interesse tutelabile in sede giudiziaria e per la cui realizzazione sia indispensabile conoscere i dati personali richiesti prevale sul diritto alla riservatezza del soggetto, i cui dati siano resi necessari dalla necessità della tutela giudiziale dei propri diritti».

In questo senso, quindi, il giudice potrebbe acquisire prove assunte con violazione di norme ai fini della propria decisione. Si presupporrebbe un bilanciamento del diritto alla riservatezza leso con il diritto di difesa, da parte del giudice.

In relazione a screenshot di messaggi whatsapp acquisiti senza il consenso dell’interessato, è stata affermata la utilizzabilità da parte di Cass. Civ., Sez. nell’ordinanza 12/5/2023, n. 13121, per la quale «È legittima la decisione dei giudici di merito che, richiamando l'articolo 24 comma 1, lett. f) del D.Lgs. n. 196 del 2003 - in base al quale il consenso al trattamento dei dati personali non è richiesto quando è necessario ai fini dello svolgimento di investigazioni difensive di cui alla legge n. 397 del 2000 o comunque per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria - hanno ritenuto utilizzabili le foto delle conversazioni whatsapp utilizzate esclusivamente per far valere il diritto del marito all'addebito della separazione a carico della moglie» e «Il trattamento dei dati personali in ambito giudiziario, anche nel vigore della disciplina di cui al D.Lgs. n. 196/2003, non è soggetto alla previa acquisizione del consenso purché i dati siano inerenti al campo degli affari e delle controversie giudiziarie che ne scrimina la raccolta».

Nello stesso senso, in precedenza, Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza 30/6/2009, n. 15327, per cui «dovendosi ritenere che l'interesse alla riservatezza dei dati personali receda qualora il relativo trattamento sia esercitato per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante e nei limiti in cui sia necessario per la tutela. Ne consegue che, ove vi sia stata una divulgazione di dati personali, non si realizza necessariamente una violazione della citata legge, dovendosi comunque effettuare una comparazione, affidata al giudice di merito, tra gli interessi coinvolti» e Cass. Civ., Sez. III, nella sentenza 28/8/2013, n. 19790, per cui «La diffusione di dati personali in sede giudiziaria è lecita, anche senza il consenso dell'interessato, purché finalizzata alla difesa tecnico-giuridica, essendo illecita, viceversa, ove diretta a screditare, agli occhi del giudice di appello, il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata».

Nella giurisprudenza di merito, si segnala Tribunale di Torino, sentenza dell’8/5/2013, che ha dichiarato che «E' ammissibile la produzione in giudizio di messaggi telefonici e di posta elettronica, anche ove assunti in violazione alle norme di legge. Il codice di procedura civile non contiene alcuna norma che sancisca un principio di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite in violazione di legge. L'art. 160, n. 6, D.Lgs. n. 196/2003 (Codice della privacy) stabilisce che la validità e l'utilizzabilità di documenti nel procedimento giudiziario, basati sul trattamento di dati personali non conforme a disposizioni di legge, restano disciplinate dalle pertinenti disposizioni processuali della materia penale e civile. Il contemperamento tra il diritto alla riservatezza e il diritto di difesa è rimesso, in assenza di una precisa norma processuale civile, alla valutazione del singolo giudice nel caso concreto».

Già in precedenza, si era assistito a tentativi di superare l’illiceità dell’acquisizione, ritenendo che il vincolo matrimoniale implicasse un affievolimento della sfera di riservatezza di ciascun coniuge: così Tribunale di Roma, nella sentenza 30/3/2016, che aveva dichiarato  «In un contesto di coabitazione e di condivisione di spazi e strumenti di uso comune quale quello familiare, la possibilità di entrare in contatto con dati personali del coniuge è un'evenienza non infrequente, che non si traduce necessariamente in una illecita acquisizione di dati. E' la stessa natura del vincolo matrimoniale infatti che implica un affievolimento della sfera di riservatezza di ciascun coniuge, e la creazione di un ambito comune nel quale vi è una implicita manifestazione di consenso alla conoscenza di dati e comunicazioni di natura anche personale, di cui il coniuge, in virtù della condivisione dei tempi e degli spazi di vita, viene di fatto costantemente a conoscenza, a meno che non vi sia una attività specifica volta ad evitarlo».

Più di recente, però la giurisprudenza si pare assestare sulle posizioni più recenti sopra evidenziate, cui accede anche la giurisprudenza di merito. Così Tribunale di Roma, nella sentenza 20/1/2017, per la quale «Nel silenzio della legge, nel processo civile non è applicabile la sanzione della nullità alle prove acquisite al di fuori del processo con modalità ritenute non lecite, al contrario di quanto previsto nel processo penale dall'art. 191 c.p.p. Il Giudice è chiamato a compiere un bilanciamento tra i diritti e gli interessi che si contrappongono nel caso concreto al fine di scegliere la soluzione migliore nell'esclusivo interesse del minore».

Sono state ritenute utilizzabili nel processo civile anche prove che era state ritenute inutilizzabili nel processo penale, perché in violazione di leggi di quest’ultimo procedimento (Cass. Civ. n. 8459/2020).

Vale la pena però ricordare che la parte potrà utilizzare la prova illecitamente acquisita nel processo civile, volto a dimostrare l’infedeltà del coniuge: tale prova, come detto, sarà liberamente valutabile dal giudice, ma, avendo comunque acquisito tale prova con violazione di legge, risponderà nelle altre sedi (penale o amministrativa) dell’illecito commesso.

Giova ricordare, per sommi capi, che nel nostro ordinamento giuridico penale l’acquisizione di registrazioni audio o video è lecita se chi registra è parte della conversazione e se l’azione riprodotta può essere liberamente osservata senza ricorrere a particolari accorgimenti, come accade per riprese effettuate dalla pubblica via (Cass. Pen. n. 6323/1996; Cass. Pen. n. 6339/2013; Cass. Pen. 17346/2019). L’acquisizione invece diventa illecita, per violazione dell’art. 617 c.p. se effettuata in luogo di privata dimora e senza il consenso dell’interessato e se colui che registra non è parte della conversazione (così Cass. Pen.  n. 36109/2018). Sono state, per esempio, ritenute illecite in ambito penale le registrazioni effettuate da   un coniuge relativamente alla conversazione dell’altro coniuge con un terzo. Vi è violazione dell’art. 617 bis c.p. quando la conversazione è stata acquisita mediante installazione di un dispositivo di intercettazione, se lo stesso dispositivo è idoneo a captare le conversazioni di entrambi gli utilizzatori del telefono.

Per quanto riguarda fotografie, mail, sms e messaggi di programmi di messaggistica, sempre sotto il profilo penale, la violazione di legge vi sarebbe solo in caso in cui il dispositivo fosse protetto da password. Configurerebbe reato il trattenersi nel dispositivo altrui oltre il tempo in cui l’interessato avrebbe dato il consenso o impiegare la password, pur concessa dal titolare, per scopi di versi da quello per cui era stata concessa. Allo stesso modo, è stato ritenuto configurare reato la condotta del coniuge che ha avuto accesso alla pagina dei social utilizzando username e password senza il consenso dell’altro coniuge oppure che sia entrato nel conto on line della moglie dopo che questa aveva revocato la delega ad operare al marito.

Per ciò che concerne la produzione di corrispondenza cartacea, si ritiene che la violazione di legge penale sussista solo ove la corrispondenza riguardi le parti nel processo, mentre sarebbe in violazione dell’art. 616 c.p. se è con soggetti terzi.

Le fotografie sono lecite, sotto il profilo penale, se le produce in giudizio chi le ha scattate e se lo scatto avviene in luoghi pubblici o aperti al pubblico, mentre è  in violazione dell’art. 615 bis c.p. se è stata scattata in luoghi privati senza il consenso dell’interessato. Analoghe considerazioni valgono per le fotografie scattate dagli investigatori privati.

Inoltre, la produzione di messaggi, corrispondenza o immagini potrebbe anche porsi in violazione della normativa sulla privacy, comportando conseguenze per chi la effettua sotto il profilo amministrativo.

Come sopra detto, invero, secondo la più recente giurisprudenza, la produzione in giudizio di prove illecite sarebbe ammissibile nel processo civile e le stesse potrebbero quindi ben essere prese in considerazione dal giudice civile per fondare il proprio convincimento e prevenire ad una decisione, ma ciò non toglie che la parte che le ha prodotte possa andare incontro a conseguenze sotto il profilo penale o amministrativo.