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Come provare l’infedeltà in un giudizio

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Come provare l’infedeltà in un giudizio

 

L’accertamento della violazione del dovere di fedeltà di un coniuge passa attraverso le prove che una parte deduce in giudizio. Il giudice infatti, ai sensi dell’art. 115 cpc., deve porre a fondamento della propria decisione le prove proposte dalle parti.

Vengono quindi in rilievo i mezzi di prova.

Vediamoli nel dettaglio.

La prova testimoniale può senz’altro trovare ingresso nel giudizio per l’accertamento della violazione del dovere di fedeltà.

Certamente può esser dedotta la prova testimoniale diretta, ove il teste riferisce ciò che direttamente ha visto o sentito.

Dubbi possono invece sorgere per la cosiddetta testimonianza de relato o indiretta, nella quale il teste riferisce ciò che gli è stato riferito da altri, altri che possono essere una delle parti o una terza persona. Inoltre, le dichiarazioni della parte, a cui ha assistito il teste e su cui depone, potrebbero essere anche della parte e a sé sfavorevoli ed integrare quindi una sorta di “confessione”.

Che valore assume tutto ciò per la giurisprudenza?

In generale, la giurisprudenza è incline a ritenere che la testimonianza de relato o indiretta può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice se corroborata da ulteriori risultanze probatorie concordanti: in sostanza, ha un valore indiziario.

Però, quando la dichiarazione è resa al teste dal soggetto che ha proposto il giudizio, parte della giurisprudenza l’ha considerata nulla; da altri invece, se a sé sfavorevole, è stata ritenuta assumere valore di elemento di prova, equiparata alla confessione stragiudiziale, che è liberamente apprezzabile dal giudice.

Di recente, in tal senso, Tribunale di Reggio Emilia, secondo cui « In tema di prova testimoniale, i testimoni "de relato actoris" sono quelli che depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte e non sul fatto oggetto dell'accertamento, fondamento storico della pretesa; i testimoni "de relato" in genere, invece, depongono su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni, pur attenuata perché indiretta, è idonea ad assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità. Ne consegue, quindi, che la testimonianza "de relato", seppure abbia un suo rilievo, deve essere corroborata da altri elementi probatori al fine di fornire la prova»; Cass. Civ., Sez. I, ord. 18/7/2022, n. 22480 per la quale «La testimonianza "de relato ex parte actoris" può assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da ulteriori risultanze probatorie, che concorrano a confermarne la credibilità»; Cass. Civ., Sez. III, 8/4/2020, n. 7746, per cui «In tema di procedimento civile, la deposizione "de relato ex parte" con cui si riferiscano circostanze sfavorevoli alla parte medesima (che funge da fonte referente) è suscettibile di integrare prova o, almeno, elemento di prova idoneo a suffragare altra testimonianza indiretta, e ciò in quanto presenta natura giuridica di prova testimoniale di una confessione stragiudiziale (se munita del relativo "animus") fatta a un terzo, e quindi, in quanto tale, liberamente apprezzabile dal giudice ai sensi dell'art. 2735, comma 1, secondo periodo c.c., giacché, altrimenti, in caso di deposizioni rese dai testi su fatti appresi dalle parti, la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell'accertamento» e «La deposizione "de relato ex parte", con cui si riferiscano circostanze sfavorevoli alla parte medesima, ha la natura giuridica di prova testimoniale di una confessione stragiudiziale fatta a un terzo, se supportata dal relativo elemento soggettivo, in quanto tale liberamente apprezzabile dal giudice, ai sensi dell'art. 2735, comma 1, secondo periodo, c.c., e sufficiente ad integrare prova od elemento di prova idoneo a suffragare altra testimonianza indiretta. Al contrario, qualora verta su circostanze apprese dalle parti, la deposizione in parola ha una rilevanza probatoria sostanzialmente nulla, poiché attiene al fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non a quello oggetto dell'accertamento»; Cass. Civ., Sez. III, sentenza 20/1/2006, n. 1109: «La deposizione testimoniale "de relato", di per sè sola, non ha alcun valore probatorio e può acquisire rilevanza solo attraverso il riscontro di altre circostanze, le quali, quindi, devono avere adeguata consistenza ed essere congruamente esaminate dal giudice di merito nel loro rilievo e nella loro funzione».

Analogamente, Cass. Civ., Sez. VI, ord. 4/3/2020, n. 5981: «In tema di prova testimoniale, le dichiarazioni stragiudiziali effettuate dalla parte ad un terzo, aventi contenuto a sfavore della parte medesima e formanti oggetto di testimonianza "de relato" del terzo, sono equiparate alla confessione stragiudiziale, con la conseguenza che esse sono liberamente apprezzabili dal giudice ed idonee a fondare, anche da sole, il suo convincimento»; Cass. Civ., Sez. I, sentenza 15/1/2015, n. 569: « In tema di prova testimoniale, i testimoni "de relato actoris" sono quelli che depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte e non sul fatto oggetto dell'accertamento, fondamento storico della pretesa; i testimoni "de relato" in genere, invece, depongono su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni, pur attenuata perché indiretta, è idonea ad assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità. (Nell'enunciare tale principio, la S.C. ha cassato la decisione nella quale la Corte territoriale aveva attribuito la qualifica di testimoni indiretti non pienamente attendibili perché controinteressati a soggetti che invece avevano direttamente preso parte alle consultazioni sindacali oggetto della loro testimonianza)»; Cass. Civ., Sez. I, sentenza 8/2/2006, n. 2815: «Le testimonianze "de relato ex parte actoris" possono concorrere a determinare il convincimento del giudice, ove valutate in relazione a circostanze obiettive e soggettive o ad altre risultanze probatorie che ne suffraghino il contenuto, specie quando la testimonianza attenga a comportamenti intimi e riservati delle parti, insuscettibili di percezione diretta dai testimoni o di indagine tecnica. (In base a tale principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata, che, in materia di divorzio, aveva valorizzato, ai fini della prova della dedotta inconsumazione del matrimonio, in ipotesi di comprovata non verginità della donna prima delle nozze, le testimonianze "de relato" rese da amici del marito, il quale aveva confidato loro il rifiuto della moglie di intrattenere rapporti sessuali)».

Non sono mancate pronunce di segno diverso, fra cui Tribunale di Piacenza, nella sentenza 18/5/2010, per cui «La testimonianza de relato ex parte, se considerata di per sé sola e senza il conforto di altri elementi, non ha valore probatorio, nemmeno indiziario, e la sua rilevanza processuale è sostanzialmente nulla»; Tribunale di Chieti, sentenza 11/12/2007: «In tema di valutazione della prova, alle circostanze riferite dai testi, i quali, però, dichiarino di non aver appreso le stesse personalmente, ma dallo stesso attore o da terzi, non può attribuirsi alcun valore probatorio, sia per la parte in cui si risolvono in una testimonianza de relato actorìs, sia per la parte in cui si risolvono in una testimonianza de relato in genere. (Cass., n. 8358 del 3 aprile 2007; Cass., n. 1109 del 20 gennaio 2006; Cass., n. 5526 del 4 giugno 1999)».

In sostanza, il giudice deve considerare l’intero complesso delle deposizioni dei testimoni, tenendo conto non solo del suo grado di vicinanza con le parti, ma anche della verosimiglianza o meno della sua deposizione, valutata nel complesso degli elementi probatori (Cass. Civ. n. 25663/2014).

Altro mezzo di prova è la confessione resa direttamente dalla parte nel giudizio di accertamento della violazione del dovere di fedeltà.

Come è noto, la confessione è, ai sensi dell’art. 2730 c.c., la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte.

Secondo la giurisprudenza, le dichiarazioni ammissive non possono assumere il valore di prova legale, ex art. 2733 c.c., vertendosi in materia di diritti indisponibili. Dette dichiarazioni però possono essere utilizzate quali indizi liberamente valutabili dal giudice, unitamente ad altri elementi probatori.

Così Cass. Civ., Sez. I, nella sentenza 4/4/2014, n. 7998, per cui «Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, ed al fine della addebitabilità della separazione, vertendosi in materia di diritti indisponibili, le ammissioni di una parte non possono assumere valore di confessione in senso stretto, a norma dell'art. 2730 cod. civ., ma possono essere utilizzate - unitamente ad altri elementi probatori - quali presunzioni ed indizi liberamente valutabili, sempre che esprimano non opinioni o giudizi o stati d'animo personali, ma fatti obiettivi, suscettibili, in quanto tali, di essere valutati giuridicamente come indice della violazione di specifici doveri coniugali. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, estrapolando acriticamente alcune frasi da una lettera inviata dal marito alla moglie nella quale il primo riconosceva di non essere stato un buon marito, vi ravvisava una sostanziale confessione della violazione dei doveri coniugali, con conseguente venir meno, ai fini della pronuncia di addebito, della rilevanza causale della violazione del dovere di fedeltà da parte della moglie)» e «Nel giudizio di separazione personale, ed al fine dell'addebitabilità della separazione stessa ad uno o ad entrambi i coniugi, il giudice, non potendo fondare la propria pronuncia sulla generica inosservanza del dovere di fedeltà coniugale, deve accertare i fatti storici in cui si sarebbero manifestate le violazioni contestate, realizzando poi una ponderata valutazione della rilevanza degli stessi ai fini del sorgere della crisi che tenga conto della frequenza e delle modalità con cui la violazione dell'obbligo di fedeltà è avvenuta. Ai fini della prova dell'addebito, le ammissioni di una parte non assumono valore di confessione in senso stretto e devono essere valutate dal giudice del merito alla stregua di presunzioni, qualora esse cadano su un fatto obiettivo».

Ad esempio, Cass. Civ., Sez. IV, nell’ordinanza 16/12/2025, n. 25337, ha ritenuto rilevante la confessione di una moglie sull’esistenza di una relazione extraconiugale, quando ulteriormente dimostrata dal comportamento successivo tenuto dalla medesima signora.

Spesso, nei giudizi volti all’accertamento della violazione del dovere di fedeltà trovano ingresso le relazioni di investigatori privati.

Per la giurisprudenza, tali relazioni rientrano tra le cosiddette “prove atipiche”, liberamente valutabili dal giudice. Invero, come è noto, nel giudizio civile le prove non sono tassative e si ritiene che possano trovare ingresso anche prove non contemplate dai codici vile e di procedura civile, le quali sono liberamente valutabili dal giudice ex art. 116 cpc.

Secondo Cass. Civ, Sez. I, ordinanza 30/5/2023, n. 15196, «Nell'ambito dei giudizi in cui uno dei coniugi chieda dichiararsi l'addebito della separazione a carico dell'altro, la relazione investigativa può essere utilmente impiegata, ai fini dell'accertamento della violazione dell'obbligo di fedeltà, rientrando tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell'art. 116 c.p.c., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, atteso che nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova».

Conformemente Cass. Civ. n. 16735/2020) o anche Cass. Civ., Sez. I, sentenza 23/5/2014, n. 11516, per la quale la relazione investigativa «deve considerarsi prova documentale lecita e idonea a dimostrare la violazione del dovere di fedeltà».

Non è mancata qualche pronuncia di segno diverso, come Tribunale di Napoli, sentenza 2/2/2006: «L'«investigazione d'uso», vale a dire la relazione redatta da un investigatore privato in ordine ad una certa vicenda, costituisce una prova illegale e non ha alcuna efficacia probatoria, in quanto le dichiarazioni di scienza ivi riportate, provenienti da un terzo, sono state formate al di fuori del processo e non nel contraddittorio delle parti, a mezzo di prova testimoniale (nella specie, il tribunale ha ritenuto priva di ogni efficacia, anche presuntiva, l'«investigazione d'uso», in particolare neanche proveniente con certezza da un investigatore privato autorizzato, esibita in un giudizio relativo alla decadenza di un marchio registrato per non uso quinquennale)».

Nel giudizio per l’accertamento della violazione del dovere di fedeltà, trovano spesso ingressi anche mail, chat sia sono forme di stampa cartacea (screenshot di schermi del cellulare) o file audio e messaggistica (sms, messaggi di whatsapp o di altri programmi di messaggistica).

La giurisprudenza riconosce che la mail o i messaggi costituiscano rappresentazioni meccaniche ex art. 2712 c.c., che fanno piena prova dei fatti e delle cose rappresentante se colui contro il quale sono state prodotte non disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.

Così Corte d’Appello di Napoli nella sentenza 22/7/2022, per cui: «In tema di validità del messaggio e-mail, in punto di diritto si osserva che il messaggio di posta elettronica (cosiddetta e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'articolo 2712 del codice civile e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime»; Corte d’Appello di Milano, Sez. II, nella sentenza 16/2/2021, per la quale «In tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (c.d. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime, con la precisazione che tuttavia, l'eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall'art. 215, comma 2 c.p.c. poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni»; Corte d’Appello di Perugia, sentenza 1/10/2020, per cui « In tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime». O anche Cass. Civ., Sez. I, nella sentenza 6/3/2017, n. 5510, per la quale erano stati ritenuti valida prova alcuni sms amorosi pervenuti sul cellulare del marito; conforme, Corte d’Appello di Milano, sentenza 8/7/2014.

Il disconoscimento dovrà essere chiaro, circostanziato ed esplicito e sostanziarsi nell’allegazione di elementi che attestino la non corrispondenza fra la realtà fattuale e la realtà riprodotta, non essendo invece sufficiente una generica contestazione della prova prodotta in giudizio: ciò ai fini dell’idoneità a far perdere la validità di prova (Cass. Civ., n. 19155/2019; Cass. Civ., n. 5114/2019; Cass. Civ., n. 11606/2018).

Si ritiene che anche le fotografie e i post pubblicati sui social network possano essere utilizzati come prova nel processo volto all’accertamento della violazione del dovere di fedeltà (così, di recente, Tribunale di Rovigo, sentenza 504/2020; Corte d’Appello di Milano, sentenza 28/3/2022 per cui avevano trovato ingresso e costituito prova le fotografie che mostravano il marito in atteggiamento di intimità con una donna; conformemente Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 24/2/2020, n. 4899).

Anche gli scritti di soggetti terzi possono assumere rilevanza come prova liberamente valutabile dal giudice. Nel caso sottoposto al vaglio della Corte d’Appello di Roma del 18/10/2006, avevano trovato ingresso alcuni scritti autografi della figlia, con cui quest’ultima aveva manifestato ad un amico e al padre stesso la propria amarezza per il comportamento avuto del genitore e da ciò si era desunta la prova della violazione del dovere di fedeltà.

Altresì le registrazioni di conversazioni telefoniche fra il coniuge e l’amante sono state ritenute ammissibili dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, nella recente sentenza 11/5/2022, che ha inquadrato le registrazioni fonografiche di conversazioni fra presenti nel genus delle riproduzioni meccaniche disciplinato dall’art. 2712 c.c., la quali fanno prova se non vengono disconosciute da colui contro il quale sono prodotte, con disconoscimento chiaro, circostanziato ed esplicito. La valutazione è quindi rimessa al prudente apprezzamento del giudice.