Fedifragismo: il matrimonio non è patologia
Fedifragismo: il matrimonio non è patologia
Abstract
Pensieri morali ed aspetti giuridico-esistenziali del rapporto coniugale che cerca sempre più l’ancora di salvezza per diventare realmente indissolubile.
Abstract
Moral thoughts and juridical-existential aspect of the marital relationship that increasingly seeks the anchor of salvation to become truly indissoluble.
Fumus matrimonii
Il matrimonio è circondato da un contorno di romanticismo; non è bene privarlo di questo aspetto di cui l’immaginazione lo riveste, ma è necessario far comprendere tutto il peso delle responsabilità relative al voto ed impegno matrimoniale. Questo rapporto unisce i destini di due esseri umani con un legame che solo la morte dovrebbe sciogliere materialmente. Si deve riflettere seriamente prima di sposarsi, perché il matrimonio è un passo che si compie per la vita. L ‘uomo e la donna si devono interrogare con cura profonda per conoscere e svelarsi se potranno restare fedelmente uniti l’uno all’altra attraverso le vicissitudini della vita, finché entrambi saranno su questa terra.
Gesù ha corretto alcune idee sbagliate sul matrimonio
Gli ebrei permettevano a un uomo di mandar via sua moglie per motivi futili e la donna era libera di risposarsi. Questa consuetudine creava profonde sofferenze. Nel Sermone sul Monte il Signore dichiara che il legame del matrimonio è indissolubile, con l’unica eccezione dell’infedeltà di uno dei coniugi alla promessa matrimoniale: «… Chiunque manda via sua moglie, salvo che per motivo di fornicazione, la fa diventare adultera, e chiunque sposa colei che è mandata via commette adulterio» (Mt 5:32).
Quando i farisei posero a Gesù una domanda sulla legittimità del divorzio egli ricordò loro il significato dell’istituzione del matrimonio alla creazione e aggiunse: «Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli; ma da principio non era così» (19:8). Gesù ricordò loro il tempo in cui Dio aveva dichiarato che «tutto era buono» (cfr. Gn 1:31). Il matrimonio e il sabato nascono alla creazione e sono due istituzioni create per la gloria Dio in favore dell’umanità (Gn 2).
Quando il Creatore unì nel vincolo coniugale la prima coppia dichiarò: «… L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne» (Gn 2:24). Egli promulgava così la legge del matrimonio destinata a tutti i discendenti di Adamo fino alla fine dei tempi. Ciò che l’Eterno stesso aveva definito come buono era una legge che rappresentava la massima benedizione e possibilità di progresso per l’uomo.
Infedeltà e divorzio nella Parola di Dio
Il matrimonio si fonda su principi di amore, lealtà, esclusività, fiducia e sostegno reciproco dei coniugi nell’ubbidienza a Dio (cfr. Gn 2:24; Mt 19:6; 1 Cor 13; Ef 5:21-29; 1 Ts 4:1-7). Quando si violano questi principi il matrimonio è in pericolo.
Quando un matrimonio va incontro al fallimento i coniugi devono esaminare la propria condizione e cercare di capire la volontà di Dio per la loro vita. Il Signore offre la consolazione a coloro che hanno il cuore rotto. Dio accetta il pentimento di coloro che hanno commesso i peccati più terribili, anche quelli che implicano conseguenze irreparabili (cfr. 2 Sam 11; 12; Sal 34:18; 86:5 Gl 2:12,13; Gv 8:2-11; 1 Gv 1:9).
Tuttavia, frequentemente, le relazioni matrimoniali degenerano a tal punto che è meglio che i coniugi si separino, dando termine a quella indissolubilità agognata e prevista dalla più elevata norma morale. La gelosia, il tradimento, le incomprensioni e, spesso, un amore poco fondato portano molte coppie a rompersi.
Le Sacre Scritture riconoscono come motivo di divorzio l’adulterio e/o la fornicazione (cfr. Mt 5:32) come anche l’abbandono da parte di un coniuge non credente (cfr. 1 Cor 7:10-15).
L’infedeltà ai voti matrimoniali è stata considerata generalmente come adulterio o fornicazione.
Comunque la parola fornicazione[1], nel Nuovo Testamento, comprende altri tipi di comportamenti sessuali devianti (cfr. 1 Cor 6:9; 1 Tm 1:9,10; Rm 1:24-27). Quindi le perversioni sessuali, compresi l’incesto, l’abuso sessuale sui minori e le pratiche omosessuali sono considerati comportamenti sessuali impropri e una violazione del piano divino per il matrimonio. In quanto tali sono già un valido motivo di divorzio.
Il settimo comandamento «Non commettere adulterio» (Es 20:14) esige il rispetto dell’affettività propria e altrui. Secondo il pensiero biblico, l’adulterio implica una mancanza di rispetto tanto verso la famiglia, quanto al progetto divino che prevede per la coppia il divenire «una sola carne» (Gn 2:24). Questo comandamento condanna il tradimento, lo sfruttamento, la discriminazione e l’abuso degli altri come forme indegne di degradazione e promuove i valori dell’amore, della fedeltà, il rispetto dei legami familiari, dell’intimità della persona e dei suoi sentimenti.
Molte volte si confonde l’amore con il bene, uno dei punti che porta molte coppie a rivedere e modificare il rapporto. “Voler bene significa prendere possesso di qualcosa […] Amare è permettere all’altro di essere felice”[2].
«Ti amo» – disse il Piccolo Principe. «Anche io ti voglio bene» – rispose la rosa.
«Ma non è la stessa cosa» – rispose lui. – «Voler bene significa prendere possesso di qualcosa, di qualcuno. Significa cercare negli altri ciò che riempie le aspettative personali di affetto, di compagnia. Voler bene significa rendere nostro ciò che non ci appartiene, desiderare qualcosa per completarci, perché sentiamo che ci manca qualcosa.» Voler bene significa sperare, attaccarsi alle cose e alle persone a seconda delle nostre necessità. E se non siamo ricambiati, soffriamo. Quando la persona a cui vogliamo bene non ci corrisponde, ci sentiamo frustrati e delusi. Se vogliamo bene a qualcuno, abbiamo alcune aspettative. Se l’altra persona non ci dà quello che ci aspettiamo, stiamo male. Il problema è che c’è un’alta probabilità che l’altro sia spinto ad agire in modo diverso da come vorremmo, perché non siamo tutti uguali. Ogni essere umano è un universo a sé stante. Amare significa desiderare il meglio dell’altro, anche quando le motivazioni sono diverse. Amare è permettere all’altro di essere felice, anche quando il suo cammino è diverso dal nostro. È un sentimento disinteressato che nasce dalla volontà di donarsi, di offrirsi completamente dal profondo del cuore. Per questo, l’amore non sarà mai fonte di sofferenza.
Quando si ama non si ci lascia sopraffare da sentimenti altri equivalenti o che mettono in discussione il profondo trasporto dell’anima personale, in questo si compenetra la fedeltà. Fedeltà, intesa come conformità perfetta ad un sentimento assoluto e pieno. Con devozione e lealtà per esso.
Non si può rispondere ad un amore totale con un amore parziale. Ogni amore è sacro nella misura in cui esprime donazione di sé, senza limiti e restrizioni, senza condizioni, né riserve.
Il matrimonio è compiuto nella misura in cui i due sono capaci di darsi definitivamente, senza venire meno alla parola data. La riuscita del matrimonio non è data semplicemente dalla capacità d’innamorarsi, ma dal saper restare nell’amore indipendentemente dalle circostanze della vita. La fedeltà non è una semplice questione di resistere alla tentazione o evitare pericoli, magari continuando per tutta la vita a desiderare il frutto proibito dell’albero (uomo o donna) ideale, ma, innanzitutto, è essere fedeli all’amore divino, il che vuol dire crescere in questo amore senza accumulare frustrazioni.
La fedeltà è sempre frutto della volontà, di una scelta volontaria. Ma solo quando questa scelta non viene vissuta come una rinuncia.
Scrive F. Alberoni[3]: «La fedeltà è come progettare un grande monumento, come scrivere un grande romanzo. Per farlo bene ti devi concentrare su di esso. Non puoi progettare dieci edifici contemporaneamente, perché verrebbero tutti brutti. Non puoi scrivere dieci romanzi contemporaneamente perché metteresti giù solo delle banalità incoerenti. Le cose veramente belle e di valore nascono dalla concentrazione di tutte le nostre energie verso un fine, dalla scelta di ciò che è essenziale e la rinuncia a ciò che non lo è».
«Sappiamo, proprio grazie all’osservazione individuale, che difficilmente le donne arrischiano un tradimento in presenza di una situazione coniugale gratificante o comunque non sufficientemente grave da giustificare uno schiaffo al coniuge. Nel maschio, invece, neppure una relazione coniugale funzionante mette al riparo dalla scappatella. Di norma, le trasgressioni femminili sono sostenute dalla ricerca di comprensione, mentre quelle maschili sembrano rispondere a bisogni più vicini all’affermazione del proprio sé. Quindi componenti più affettive nell’infedeltà femminile, maggiori rimandi alla volontà di potenza quando è l’uomo l’infedele. Per tale ragione, se è la donna a tradire risulta più difficile un eventuale tentativo di riavvicinamento nella coppia, poiché nella maggior parte dei casi il tradimento arriva solo quando lo stato di crisi è piuttosto avanzato e dunque esso segnala una frattura già quasi consumata» (Domenico Barrirà).
Laddove il tradimento è consumato dall’uomo, la tendenza è quella di giustificare l’infedeltà colpevolizzando la donna con la consueta polemica secondo cui il tradimento sarebbe stato determinato dall’insufficienza disponibilità della moglie. Ciò può anche essere vero, ma spesso non si tiene conto delle motivazioni per cui la donna ha perso l’interesse intimo-affettivo.
La logica, in questi casi, viene rovesciata interamente e il colpevole di infedeltà si ritrova erroneamente ad avere ragione, al punto da indurre la moglie a cedere alle sue voglie. Tali cedimenti non solo non risolvono i problemi della coppia, ma il più delle volte li aggravano, perché rischiano di incrementare le richieste dell’altro e il suo senso di impunità e i bisogni dell’altro coniuge permangono insoddisfatti.
Al fine di lenire le conseguenze angosciose di un tradimento si può aprire la strada del perdono, ma spesso la ferita rimane e la fiducia s’è incrinata, pertanto l’unica strada rimane quella della separazione.
«L’amore è l’unico momento in cui noi abbassiamo le armi, cessa la paura, e noi ci abbandoniamo fiduciosi all’altro come il bambino nelle braccia della madre. All’interno del recinto incantato del nostro amore assaporiamo il piacere dell’innocenza del paradiso terrestre e quello del regno di Dio, dove è bandito ogni male. Ed è solo l’amore che cementa la coppia, sposata o convivente non importa, che ne fa la solida nave con cui affrontare il mare in tempesta. Se siamo così fortunati da costituire una coppia unita, complementare, il nostro viaggio non è più solidario. Siamo un equipaggio che muove verso una meta comune.
E ci completiamo a vicenda, ci arricchiamo, la nostra forza si moltiplica. Abbiamo qualcuno di cui fidarci e a cui affidarci, che lotta sempre al nostro fianco nella buona e nella cattiva sorte. Ed è per questo che il tradimento anche solo sessuale di chi amiamo rappresenta una bufera pericolosa, perché ci dice che non gli basti, che non vali.
La dolcezza dell’amore, gli struggimenti, le gioie ed i dolori condivisi, la felicità provata con i propri bambini, le lotte condotte fianco a fianco. Cancellare tutto questo provoca, tanto in chi lascia quanto in chi viene lasciato, una spaventosa amnesia, una voragine spirituale. Col rischio di perdere sé stesso, la propria identità. Alcuni restano smarriti, altri bevono, altri si ammalano».[4]
L’esperienza del dolore è contrassegnata dallo shock, dove la persona fa fatica a credere al tradimento. Provoca disapprovazione e a volte ira profonda. Inevitabilmente ci si arrabbia: pensavo di aver sposato, di costruire con te, invece mi hai ingannata/o. Ci si macera molto, ma si spera ancora che si possano recuperare tempi dell’amore, della bellezza da condividere. Arriva anche La disperazione e la depressione.
Dal momento in cui la speranza crolla si cade nella disperazione che conduce inesorabilmente alla depressione che è indice sia di un grido d’aiuto, come anche del distacco dalla realtà. La depressione è accentuata anche dal senso di colpa. Si rivisita il passato, si considerano le omissioni, le parole che potevano essere evitate e i comportamenti propri discutibili. In questo c’è della verità, nessuno è perfetto, ma questi aspetti sono ingigantiti dalla sofferenza. Delle volte il senso di colpa si cerca attenuarlo con parole tipo: «Il mio cuore è colmo d’amore, ma lui ha perso la retta via».
Ma non è ancora finita, perché, la vittima cerca il patteggiamento. Si fa un po’ di contabilità cercando di recuperare il rapporto. «Se solo lui/lei facesse o si comportasse. potremmo ritornare a stare insieme». Non funziona perché, la ragioneria nei sentimenti e con le emozioni non fa tornare i conti, quindi subentra la depressione e si comincia a pensare: vuoi vedere che ho sbagliato tutto sul serio!? ma come ho fatto a sbagliarmi, non è possibile! Prometteva così bene, sembrava tanto innamorato e adesso è una continua delusione.
Nel tempo, arriva, più che la rassegnazione, l’accettazione. Crollano le speranze, i miraggi che si rifanno al passato e che illudono e si accetta la situazione per quella che è. L’accettazione è un considerare l’accaduto in tutte le sue conseguenze non attraverso gli occhi delle ferite emozionali o di sogni che pur infranti permangono, ma con la dovuta distanza.
In breve, «L’amore è la sintesi di due storie di vita» (Lutte), quando questa fusione viene a mancare o si screpola, si fa strada la sofferenza, caratterizzata dalla solitudine, dall’incomprensione, dalla povertà di dialogo, di rispetto, di fiducia e dall’infedeltà. Se nel tempo, dopo variegati tentativi di recupero, la relazione degenera tale da intaccare la dignità della persona è meglio che i coniugi si separino[5].
I due Motu proprio di Papa Francesco Mitis iudex Domins Iesus per la Chiesa latina e Mitis et misericors Jesu per le Chiese orientali, resi noti l’8 settembre 2015, infliggono una grave ferita al matrimonio cristiano.
L’indissolubilità del matrimonio è legge divina e immodificabile di Gesù Cristo
La Chiesa non può “annullare”, nel senso di sciogliere, un matrimonio. Essa può, con una dichiarazione di nullità, verificarne l’inesistenza, dovuta alla mancanza di quei requisiti che ne assicurano la validità. Ciò significa che in un processo canonico la priorità della Chiesa non è l’interesse dei coniugi nell’ottenere la dichiarazione di nullità, ma la verità sulla validità del vincolo matrimoniale.
Pio XII ci ricorda a questo proposito che «nel processo matrimoniale il fine unico è un giudizio conforme alla verità e al diritto, concernente nel processo di nullità la asserita non esistenza del vincolo coniugale» (Allocuzione alla Rota Romana, 2 ottobre 1944).
Il fedele può imbrogliare la Chiesa per ottenere la nullità, per esempio attraverso l’uso di testimonianze false, ma la Chiesa non può raggirare Dio e ha il dovere di un accertamento della verità limpido e rigoroso.
Nel processo canonico deve essere difeso prima di tutto il supremo interesse di un’istituzione divina qual è il matrimonio. Il riconoscimento e la protezione di questa realtà sono formulati in ambito giuridico con la sintetica espressione favor matrimonii, ovvero la presunzione, fino a prova contraria, della validità del matrimonio.
Giovanni Paolo II ha ben spiegato che l’indissolubilità è presentata dal Magistero come la legge ordinaria di ogni matrimonio celebrato, proprio perché ne è presupposta la validità, a prescindere dal successo della vita coniugale e dalla possibilità, in taluni casi, della dichiarazione di nullità (Discorso alla Rota Romana, 21 gennaio 2000).
Quando l’illuminismo cercò di colpire a morte il matrimonio cristiano, Papa Benedetto XIV, con il decreto Dei miseratione del 3 novembre 1741, ordinò che in ogni diocesi venisse nominato un defensor vinculi e introdusse, per ottenere la dichiarazione di nullità, il principio della necessaria conformità delle sentenze in due gradi di giudizio.
Il principio della doppia sentenza conforme fu consacrato dal Codice di Diritto canonico del 1917 ed è stato recepito nella codificazione promulgata da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983.
Nei Motu proprio di Papa Francesco l’ottica è ribaltata. L’interesse dei coniugi ha il primato su quello del matrimonio. È lo stesso documento ad affermarlo, riassumendo in questi punti i criteri fondamentali della riforma: abolizione della doppia sentenza conforme, sostituita da una sola sentenza in favore della nullità esecutiva; attribuzione di una potestà monocratica al vescovo, qualificato come giudice unico; introduzione di un processo breve, e di fatto incontrollabile, con la sostanziale esautorazione del ruolo della Sacra Rota.
Come altro interpretare, ad esempio, l’abolizione della doppia sentenza? Quali sono i gravi motivi per i quali, dopo 270 anni, questo principio viene abrogato?
Il cardinale Burke ha ricordato come esiste in proposito una catastrofica esperienza. Negli Stati Uniti, dal luglio 1971 al novembre 1983, entrarono in vigore le cosiddette Provisional Norms che eliminarono di fatto l’obbligatorietà della doppia sentenza conforme. Il risultato fu che la Conferenza Episcopale non negò una sola richiesta di dispensa tra le centinaia di migliaia ricevute e nella percezione comune il processo iniziò ad essere chiamato “il divorzio cattolico” (Permanere nella Verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica, Cantagalli, Siena 2014, pp. 222-223).
Più grave ancora è l’attribuzione al vescovo diocesano della facoltà, come giudice unico, di istruire discrezionalmente un processo breve e arrivare alla sentenza.
Il vescovo può esercitare personalmente la sua potestà giurisdizionale o delegarla ad una commissione, non necessariamente composta da giuristi. Una commissione formata a sua immagine che seguirà naturalmente le sue indicazioni pastorali, come già avviene con i “centri diocesani di ascolto”, fino ad oggi privi di competenza giuridica. Il combinato tra il can. 1683 e l’articolo 14 sulle regole procedurali ha sotto questo aspetto una portata esplosiva. Sulle decisioni peseranno inevitabilmente considerazioni di natura sociologica: i divorziati risposati avranno, per ragioni di “misericordia”, una corsia preferenziale.
«La Chiesa della misericordia – osserva Giuliano Ferrara – si è messa a correre» (“Il Foglio”, 9 settembre 2015).
Si corre su una strada non amministrativa, ma “giudiziaria”, in cui di giudiziario resta ben poco. In alcune diocesi i vescovi cercheranno di assicurare la serietà della procedura, ma è facile immaginare che in molte altre diocesi, per esempio del Centro-Europa, la dichiarazione di nullità diventerà una pura formalità.
Nel 1993 Oskar Saier, arcivescovo di Friburgo im Br. Karl Lehman, vescovo di Mainz, e Walter Kasper, vescovo di Rottenburg-Stuttgart, produssero un documento a favore di coloro che erano certi in coscienza della nullità del loro matrimonio ma non avevano gli elementi per provarlo in tribunale (Vescovi dell’Oberrhein, Accompagnamento pastorale dei divorziati, “Il Regno Documenti”, 38 (1993), pp. 613-622).
La Congregazione per la Dottrina della Fede rispose con la Lettera Annus Internationalis Familiae del 14 settembre 1994, affermando che questa via non era percorribile, perché il matrimonio è una realtà pubblica: «non riconoscere questo essenziale aspetto significherebbe negare di fatto che il matrimonio esiste come realtà della Chiesa, vale a dire, come sacramento».
Ma la proposta è stata ripresa recentemente dall’ufficio pastorale della Diocesi di Friburgo (Orientamenti per la pastorale dei divorziati, “Il Regno Documenti”, 58 (2013), pp. 631-639), secondo cui i divorziati risposati, in seguito alla “nullità di coscienza” del precedente matrimonio, potranno ricevere i sacramenti e ottenere incarichi all’interno dei consigli parrocchiali.
Al favor matrimonii si sostituisce il favor nullitatis, che viene a costituire l’elemento primario del diritto, mentre l’indissolubilità è ridotta a un “ideale” impraticabile. L’affermazione teorica dell’indissolubilità del matrimonio si accompagna infatti, nella prassi, al diritto alla dichiarazione della nullità di ogni vincolo fallito. Basterà, in coscienza, ritenere invalido il proprio matrimonio per farlo riconoscere come nullo dalla Chiesa. È lo stesso principio per cui alcuni teologi considerano “morto” un matrimonio in cui a detta di entrambi, o di uno dei coniugi, “è morto l’amore”.
Benedetto XVI, il 29 gennaio 2010, ha ammonito il Tribunale della Sacra Rota Romana a non indulgere nell’annullamento dei matrimoni per «accondiscendenza ai desideri e alle aspettative delle parti, oppure ai condizionamenti dell’ambiente sociale».
Ma nelle diocesi del Centro-Europa la dichiarazione di nullità diventerà un atto di pura formalità, come avvenne negli Stati Uniti all’epoca delle Provisional Norms. Per la nota legge secondo cui «la moneta cattiva scaccia quella buona», nel caos che si verrà a determinare, il “divorzio breve” è destinato a prevalere sul matrimonio indissolubile.
È da più di un anno che si parla di scisma latente nella Chiesa, ma ora a dirlo è il card. Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Fede, che in un suo discorso a Ratisbona ha evocato il rischio di una scissione nella Chiesa, invitando a essere molto vigili e non dimenticare la lezione dello scisma protestante che incendiò l’Europa cinque secoli fa.
Alla vigilia del Sinodo sulla famiglia di ottobre, la riforma di Papa Francesco non spegne nessun incendio, ma lo alimenta e spiana la strada ad altre disastrose innovazioni. Il silenzio non è più possibile.
Aspetti giuridici inquietanti
“Tradire in un matrimonio è consentito, se c’è crisi coniugale antecedente e uno dei due partner è infelice” questo è quanto stabilito dalla Corte di legittimità. Tradire è concesso e non rappresenta in alcun modo un addebito di colpa nella separazione, se le “corna” sono state la diretta conseguenza di un periodo prolungato e antecedente d’infelicità a causarlo. L’ha stabilito la Corte di Cassazione attraverso un’ordinanza (11.130/2022) con cui ha negato la pronuncia di addebito della separazione a carico della moglie, nonostante ne fosse stata accertata l’infedeltà, perché tale comportamento era conseguente a una crisi nel rapporto.
Viene sottolineato che “l’accertamento dell’anteriorità della crisi coniugale prevale ed è causa di estinzione dell’obbligo di fedeltà derivante dal matrimonio”. Non solo: “La decisione è un corollario di diritto di una constatazione ad contrariis di mero buon senso. Una persona felice del proprio rapporto di coppia non tradisce: un principio da ritenersi applicabile ad entrambi i coniugi”. In corso di causa il referto medico ha attestato che: “lo stato d’insoddisfazione della donna, sebbene non ancora sfociato in una crisi di coppia. La moglie si rivolse al servizio psicologico in cerca d’aiuto e, per ammissione dello stesso marito, aveva cambiato atteggiamento e abitudini”.
Sempre in merito alla sentenza della Cassazione circa la liceità del tradire in un rapporto coniugale se è attestata e pregressa l’infelicità del coniuge, si potrebbe dire che: “un uso cattivo e sconsiderato di quanto deciso dalla Suprema Corte potrebbe condurci alla considerazione per cui basta un certificato medico per tradire, ma si può pensare nell’ingresso nell’ordinamento del diritto famiglia del precedente secondo cui è l’infelicità di coppia che determina il tradimento e non viceversa”.
In tali termini gli obblighi nascenti con il matrimonio, la morale, l’indissolubilità, l’assistenza morale e spirituale richiesta dagli articoli civilistici letti nel momento del consenso che valore hanno? L’unione di persone che scelgono di unire le proprie anime, le proprie vite, gli spessori esistenziali che fine trova?