Da San Bernardo di Chiaravalle a William Shakespeare. Quale il termine fisso

Da San Bernardo di Chiaravalle a William Shakespeare. Quale il termine fisso
From Saint Bernard of Clairvaux to Dante Alighieri to Shakespeare there is no break in continuità a strong, mature, complete and totally trusting Christian creed, where the most intimate feelings merge with the one who created them and deposited them in the human soul to come to life.
Da San Bernardo di Chiaravalle a Dante Alighieri sino a Shakespeare, nessuna soluzione di continuità nel rappresentare un credo cristiano forte, maturo, completo e di affidamento totale, dove i sentimenti più intimi si fondono con colui che li ha creati e depositati nell’animo umano per prendere vita.
San Bernardo loda la Santa Vergine Maria
L’uomo del Medioevo è un pellegrino è un viaggiatore, in tutte le esperienze terrene e anche spirituali a livello meditativo.
Con la preghiera alla Vergine Maria, San Bernardo di Chiaravalle, che è l’ultimo aiuto che riceve, Dante è affidato direttamente alla Madonna, alla Regina del Cielo. Si sta concludendo il viaggio di Dante, attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso: di qui a breve egli farà l’esperienza diretta di Dio.
Questo viaggio ha un significato importante: l’uomo in questione è l’uomo del viaggio, si considera come un aviatore,un camminatore in ricerca, e infatti quelle che possiamo definire le tre grandiepopee del Medioevo (Dante è l’interprete più alto del Medioevo) sono appunto, il pellegrinaggio (che poteva durare anche parte della vita), verso Roma, Gerusalemme e Compostela, la ricerca del Graal e la Divina Commedia.
L’uomo si percepisce come un viandante in cerca della dimora dell’anima, come un pellegrino dell’Assoluto, e questo ci aiuta a comprendere una verità su noi stessi: noi abbiamo questionesda proporre e una forte spinta dentro,intuibile è la domanda che rende prigioniero l’uomo sin dal suo vagito: perché l’amore perché la morte, si pensa ai tanti spasmi per entrambi e qui… il sublime termine di amore spontaneamente risponde.
La Madonna previene il senso dei perché, poiché è come la luce del sole che vira a mezzogiorno nella meridiana d’amore.
La parola ancora rivolta al fisso termine d’occhio e di ardore: “Qual vuol grazia, ed a te non ricorre, Sua disianza vuol volar senz’ali”. Su altro vocabolo fisso per l’uomo, ovvero, “disianza” v’è un appunto da dire: lo spasmo conoscitivo è la domanda di felicità, immortalità, amore e estrema conoscenza che arde dentro l’uomo come un certificato di nascita che arde. Questo spasmo ha la sua radice e il suo compiuto in Dio, ma per giungere a Lui è necessario l’intervento del mistero dei misteri quale il femminile, la Madonna, perché senza la Madonna l’uomo è mutilato.
La preghiera termina con un appunto di esaltazioni che si sono trasfuse nelle litanie ad oggi recitate.
Parlando ancora di termini: “Misericordia” viene detto nel senso dialettico di miseriscor dare, ovvero dare il cuore a chi ne è povero.
Quell’aggettivo di commozione e guardare con soccorso sia verso Dio e anche nei nostri confronti: “cose grandi” perché Maria vede Dio ma, ha anche una lucida visione della vita di ciascuno di noi.
San Tommaso d’Aquino proferisce che: “il bene spirituale di una sola persona vale più dell’ Universo intero”.
A tal punto possiamo constatare che quell’universo interiore umano, che umanamente è un granello incomprensibile è invece quel qualcosa di grande di comprendere già la parola Universo. E qui potremmo dirci: questa vergine era sola? Non lo era ma questo è altro che lasciamo intendere alla fede di un uomo.
Shakespeare e il cattolicesimo
Dagli studi condotti dagli scrittori Monaldi&Sorti presso la British Library su di una rara edizione della Divina Commedia, spicca senza ombra di dubbio un intreccio stretto tra l’opera cristiana di Dante e il teatro elisabettiano.
A partire già dalla costruzione narrativa delle opere (Vedi trilogia Dante di Shakespeare; Solferino, 2021-2024) è visibile l’influenza del cristianesimo in gran parte delle opere shakespeariane.
Temi e concetti cristiani come Peccato, redenzione e perdono sono latenti in molte opere, la natura del peccato, le sue conseguenze e la possibilità di redenzione e perdono sono di palmare evidenza in Macbethe al suo tormento interiore per l’assassinio, ovvero in Misura per misura che affronta temi di giustizia e misericordia.
Giustizia divina, presente in diverse tragedie, come Amleto con il desiderio di vendicare la morte del padre e la riflessione sulla vita dopo la morte.
Moralità e coscienza già ritrovate nelle op. cit., dove si riflettono gli insegnamenti della catechesi cristiana sul bene e il male.
Episodi biblici: i drammi – soprattutto – sonopermeati di allusioni a storie, personaggi e insegnamenti della Bibbia dimostrando una parentela con la Sacra Scrittura; riferimenti ad Adamo ed Eva, Caino ed Abele, il Diluvio Universale e parabole del Nuovo o Vecchio Testamento, come Re Lear definita proprio dal suo autore “l’Antico Testamento”.
E poi il tema della Misericordia individuato nel Mercante di Venezia, quando durante il processo Shylock sottolinea i propri diritti legittimi e arriva a preparare il pugnale per prendersi ciò che gli spetta. Porzia, però, giunta dalla casa di Belmonte sotto le mentite spoglie di un giovane avvocato, ammette, da una parte, le buone ragioni di Shylock e, dall’altra, gli rivolge il famoso elogio della misericordia. Una specie di omelia sulla stessa recitata sul palco. La “qualità della misericordia non è forzata” (strained). Quello che l’espressione significa è che nessuno può essere costretto a essere misericordioso: la misericordia deve sgorgare direttamente dal cuore. Deve cadere come pioggia gentile dal cielo sulla terra.
Eccoci immediatamente proiettati nel mondo Biblico: al libro sapienziale del Siracide, che si riferisce proprio alla misericordia (Sir. 35,25) al cantico di Mosè nel Deuteronomio, in cui si fa riferimento alla Sapienza (Dt. 32,2; cfr. anche Is.4,6) e alle parole di Gesù nel Discorso della Montagna, con rinvio all’amore di Dio (Mt. 5, 45).
Porzia prosegue così: “È due volte benedetta, / benedice chi la dona e chi la riceve”; sarebbe certamente una vera benedizione per il povero Antonio, se gli fosse rimesso il debito, ma lo sarebbe anche per Shylock per averglielo rimesso.
È come dice Gesù, in brevi parole non riportate nei Vangeli, ma citate da San Paolo negli Atti degli Apostoli, dove si da maggiore importanza al dono: “Si è più beati nel dare che nel ricevere” (At. 20,35).
E continua ancora Porzia: “il potere terreno si mostra più vicino a Dio/ quando la misericordia tempera la giustizia”.
Infatti, di certo, come si legge ovunque in tutta la Bibbia, soprattutto nell’Antico Testamento, Dio è giusto; il Nuovo Testamento,sottolinea in particolar modo che Dio è misericordioso come un Padre amorevole. Non è tutto quel che ha da dire sulla misericordia Shakespeare; un’altra eroina forse meno nota, ossia la novizia Isabella, in Misura per misura. Ella implora misericordia per il fratello Claudio, colpevole –secondo la legge draconiana di Vienna contro i reati di natura sessuale- di fornicazione con la fidanzata Giulietta. L’appello della fanciulla è rivolto ad Angelo, un giudice puntiglioso “preciso” il quale, è, meno legalista –in senso veterotestamentario – diquanto non fosse Shylock, ma con lui condivide una certa inclinazione puritana. Vero è che in Inghilterra elisabettiana i puritani erano chiamati sia “ebrei cristiani” come Shylock che come “precisi” come Angelo.
Ed ecco cosa proferisce Isabella dopo l’invito a uscire dal convento in risposta all’affermazione di Angelo: “vostro fratello è caduto nelle mani della legge” che, equivale a dire deve morire, Isabella perentoriamente dice: “Ebbene tutte le anime esistenti erano cadute, un tempo,/ e colui che avrebbe potuto approfittarne/ trovò il rimedio”. Ovverosia, come Porzia, ella sposta lo sguardo dall’Antico al Nuovo Testamento.
Sotto l’Antica Alleanza, per motivi più vari, la maggior parte degli esseri umani era destinata a morire; nella Nuova Alleanza, grazie alla Parola di Dio fattasi carne, la grazia della salvezza è stata estesa a tutti da Gesù Cristo. Così il rimedio è la redenzione, secondo un incastro di parole che ritornano in molti Salmi (Vedi: Salmo 102, Salmo 130 e il Salmo 103 i più emblematici).
Viene ripresa concettualmente anche la Provvidenza divina, in molte opere si intravede il credo in un progetto divino che guida gli eventi, come nel finale di Amleto, quando si fa riferimento alla “speciale provvidenza nella caduta di un passero”. Tutto si spiega anche perché Shakespeare, visse in un’epoca di transizione religiosa che toccò profondamente l’Inghilterra, con il passaggio dal cattolicesimo al protestantesimo.
Tale tensione religiosa si riflette nelle opere anche e non c’è mai una esternazione diretta sulla scelta personale ed intima. La familiarità del pubblico elisabettiano con le storie bibliche ed i concetti cristiani rendeva tutte le allusioni proposte peculiarmente efficaci e ricche di significato.
Possiamo additare alcuni esempi specifici:
in Amleto, la riflessione sull’aldilà, il tema della vendetta e il dilemma morale di Amleto sono pregni di concetti cristiani;
in Macbeth, l’ossessione per il peccato, il senso di colpa e la ricerca di redenzione sono temi centrali con forti connotazioni cristiane.
Nel Mercante di Venezia, il dramma solleva questioni di giustizia, misericordia e pregiudizio religioso, in un contesto in cui le tensioni tra cristiani ed ebrei erano presenti e attive.
In Misura per misura, si toccano temi come l’ipocrisia religiosa e si esplora la corruzione morale e la tensione tra legge e misericordia.
Il cristianesimo dunque, è un elemento di vitale importanza per comprendere a tutto campo le opere di Shakespeare: temi, linguaggio, rappresentazioni sono influenzati dalla cultura e credo cristiano del suo tempo, anche se l’interpretazione delle personali convinzioni rimane nel chiaro/scuro per modo di dire, poiché quando si fa penetrare un valore religioso in una dinamica concettuale si vuole dare un degno segno di esternazione interioristica.
La Figura della Vergine Maria
Interessante è notare che la figura della Vergine Maria appare, nonostante i modi lievi ed assottigliati, spesso in modo indiretto nelle opere shakespeariane; nonostante l’epoca storica inglese difficile per esprimere dei concetti religiosi profondi, la presenza o l’eco della Vergine Maria si manifestano soprattutto nei drammi.
Giuramenti e interiezioni: dove le espressioni come “marry” intesa come abbreviazione di by Mary erano comuni all’epoca e si trovano in diverse opere, l’esempio massimo in “Romeo e Giulietta”. In suddetto contesto “marry” fungeva da una blanda esclamazione o giuramento.
Diversi studi già supra citati hanno suggerito che alcuni personaggi femminili o immagini nelle sue opere possano richiamare a livello simbolico alcune qualità alla SS. Vergine Maria, come la purezza, la compassione o il ruolo materno.
Ad esempio, è stato ipotizzato che la figura di Hermione in “Il racconto d’inverno” possa avere delle risonanze mariane. Considerando anche che la figura di Maria Santissima era profondamente radicata nella cultura popolare dell’epoca, probabilmente il pubblico di Shakespeare era in grado di cogliere allusioni o riferimenti rievocativi della sua immagine anche se in contesti laici espressi. Si percepisce una educazione devozionale poiché la madre di Shakespeare, Mary Arden, aveva radici cattoliche, proveniva da una famiglia con questi legami. I simbolismi, i giuramenti e il contesto culturali sono i famosi tre indizi probatori della presenza mariana nelle opere e nell’intimità viva di Shakespeare.
Diversi sonetti sono dedicati all’elogio della bellezza e della purezza: bellezza del “Fair Youth” o della “Dark lady”. L’estrema idealizzazione e la descrizione di una purezza quasi trascendente attribuita a suddetti soggetti potevano evocare immagini idealizzate come la Vergine Maria, sebbene il contesto primario sia quello dell’amore e dell’ammirazione umana. Sublime il sonetto116 in questa allusione dove quel termine sempre fisso che guida e non abbandona…evoca Maria Santissima.
In tale sonetto Shakespeare interpreta l’amore come una connessione spirituale e mentale che resiste alle difficoltà proposte dalla vita. Si va oltre le convenzioni sociali o al sentimento di coppia. La connessione mentale e spirituale è quella preghiera rivolta al sublime a ciò che eleva l’anima […] tanto che non muta mai neanche difronte alla morte; la morte corporale fa vivere lo spirito che si incarna. Quel faro che guida le anime va oltre un legame fisico e temporale, non è soggetto al tempo ma sopravvive va oltre la dimensione terrena.
Certamente è la poetica e celebrativa del sentimento d’amore che sconvolge tutta la letteratura sullo stesso tema del 1600.
Dante Alighieri, nel XXXIII canto del Paradiso, attraverso la figura di San Bernardo di Chiaravalle, esalta la Vergine Maria e la invoca per ottenere la grazia della visione divina, che si realizzerà in seguito in modo ineffabile. San Bernardo, guida mistica, celebra la Madonna e la implora di intercedere per Dante, affinché possa contemplare Dio nella sua pienezza. Il santo rivolge alla Vergine una preghiera che mescola lode per la sua unicità e supplica per il suo intervento; Si sottolinea la capacità di Maria di intercedere ed ottenere il favore di Dio, e la sua capacità di guidare all’amor divino
È descritta come il fulcro di un’emblematica rosa di beati, un’immagine che rappresenta la comunione dei santi nel Paradiso. Conoscere San Bernardo è un momento mistico di un viaggio, quello in cui l’intelletto umano si unisce alla fede per cogliere la verità divina (Consulta: “Divina Commedia” di Bosco U. e Reggio G. e Le Monnier 2002). La cultura rinascimentale inglese è tutta influenzata dalla letteratura italiana e certamente Shakespeare aveva familiarità con la Divina Commedia e le sue traduzioni tratte da un poema postumo al 1548 “The Deuyne Commedy”. Shakespeare era interessato ai simboli religiosi e alle rappresentazioni del Paradiso, come si vede nelle sue opere in cui compaiono demoni, angeli e figure divine come “La Tempesta” e in “Macbeth”, le figure angeliche che troviamo in “Sogno di una notte di mezza estate” come la figura di Puck intero regno dell’irrazionale.
Shakespeare ha costantemente presente il Vangelo cristiano, ma compone, da drammaturgo supremo e libero quale egli è, un testamento (sono le sue ultime opere) suo: il Nuovo Testamento di William Shakespeare.
Non è possibile infatti ignorare la complessità di motivi e forme che lo ispirano (dal dramma pastorale alla Commedia dell’Arte, dal romanzo tardo-antico al dumb show al masque) e neppure la singolare, geniale inclusività e mescolanza delle quali fa mostra: la sovrapposizione sincretistica di divinità pagane e Dio biblico, l’accostamento di magia e religione, l’intreccio di politica e passioni, il contrasto e la complementarità di natura e cultura, di Natura e Arte.
Ma non è neanche possibile ignorare che la sequenza che esamino qui, da Amleto alla Tempesta, si apre con una citazione dal Vangelo e termina con un’altra citazione dal Vangelo: Amleto, infatti, dichiara a Orazio, riprendendo la frase da Matteo e da Luca, «C’è una speciale provvidenza anche nella caduta di un passero», e Prospero alla fine della Tempesta si congeda dai suoi spettatori (da noi) con le parole che chiudono il Padre nostro: «E la mia fine / è la disperazione, / a meno che / non sia salvato dalla preghiera / che va tanto a fondo / da vincere la pietà / e liberare dal peccato. / Come voi per ogni colpa / implorate il perdono, / così la vostra indulgenza / metta me in libertà».
Se tale sequenza ha un senso, vuol dire che Shakespeare, a partire dalla seconda parte di Amleto [1], medita sulla Provvidenza, sul perdono, sul bene e la felicità, e lo fa in termini cristiani. A me non interessa affatto cercare di determinare – come pur legittimamente interessa a molti oggi – se Shakespeare fosse, nei suoi ultimi anni o a qualsiasi altro punto della sua vita, protestante o cattolico (non era, par certo, un puritano, perché irride i puritani più di una volta), credesse o no nel Purgatorio e nella transustanziazione, si ritenesse fedele della Chiesa di Roma o di quella d’Inghilterra. Ci sono elementi contraddittori a favore dell’una o dell’altra ipotesi. Per esempio, la Provvidenza «speciale» di Amleto sembra provenire dalle idee di Calvino. Ma di questa non c’è traccia nella Tempesta, che pure ha l’azione della Provvidenza al suo centro.
Ancora: si ritiene che Shakespeare abbia usato la Bibbia di Ginevra, la grande traduzione protestante inglese del 1560, ma non si può escludere che talvolta guardi alla versione di Douai-Rheims (1582-1610), cioè alla traduzione cattolica, e neppure, a quella anglicana, la Bibbia di Re Giacomo, pubblicata nella sua interezza nel 1611.
Per un protestante, per un anglicano, il Purgatorio non esiste, eppure il fantasma del padre di Amleto dichiara al figlio di essere condannato «per un dato tempo a vagare / di notte e di giorno a digiunare tra le fiamme / finché i turpi delitti compiuti nei miei / giorni terreni non siano bruciati e purgati». Di nuovo, non c’è segno di questo possibile purgatorio nella Tempesta, dove si parla soltanto di Inferno e Paradiso (Terrestre).
Non si può neppure cancellare del tutto l’ipotesi che negli anni successivi all’ascesa al trono di Giacomo I Stuart Shakespeare pensasse a un riavvicinamento fra Londra e Roma. La scena finale di Cimbelino – nella quale l’Indovino annuncia il compimento della profezia secondo la quale si stabilirà ora una nuova unione fra «la nostra aquila imperiale, Cesare, e il radioso Cimbelino», e dove il re inglese fa marciare assieme, sotto bandiere affiancate, le truppe romane e quelle britanne attraverso la città di Londra – potrebbe essere allusione alla translatio imperii da Roma all’Inghilterra, ma anche presentare la velata speranza di un incontro fra Papato e Corona (cioè Chiesa) inglese.
Si tratta di problemi intriganti, che lascio però agli storici, e a quelli della cultura e delle mentalità in particolare. A me sembra altrettanto affascinante notare che quel discorso di Amleto, e la sua vita, terminino con un amen, e che allo stesso modo, con due amen, termini la rappresentazione della Tempesta; che da Amleto e da Re Lear in poi la fantasia di Shakespeare sia dominata da tempeste, naufragi, pirati, morti per acqua; da fiori e rigoglio della natura; da relazioni fra padri e figlie e fra mogli e mariti; da riconoscimenti, rivelazioni, epifanie, apocalissi.
In particolare, la scena di riconoscimento fra Lear e Cordelia costituisce una sorta di archetipo di quelle fra Pericle e Marina, fra Imogene e Cimbelino, fra Leonte e Perdita, così come l’agnizione fra Pericle e Taisa ritorna in quelle fra Imogene e Postumo e Leonte ed Ermione. Nella Tempesta, poi, i riconoscimenti vengono sostituiti dalle rivelazioni, ma abbiamo anche qui, cruciale, un rapporto fra padre, Prospero, e figlia, Miranda.
I legami fra questi drammi sono, perciò, stretti. Seguirne lo sviluppo è il compito che mi sono prefisso in questo libro. Naturalmente, è anche vero che le allusioni bibliche sono costantemente presenti nell’opera di Shakespeare, e che tempesta, naufragio e riconoscimento sono rinvenibili già, per esempio, nell’incantevole commedia La dodicesima notte. Ma nella sequenza della quale parlo tali elementi rientrano in un disegno complessivo, provvidenziale appunto, delle vicende umane, e sono inserite all’interno di una visione che non saprei definire se non «teologica»: di un discorso, cioè, che riguarda i rapporti fra uomo e Dio e in particolare il problema della giustizia divina. Amleto parla di una «divinità» che «dà forma ai nostri piani», dice che il «Cielo» gli è stato d’aiuto. Lear si prefigura un futuro, in prigione con Cordelia, da «spia» di Dio, e l’ultima parte del dramma contiene una discussione serrata del comportamento divino nelle vicende dell’uomo. Pericle contesta gli dèi, li rimprovera, li accusa – poi li invoca, li ringrazia, è sopraffatto dalla loro grazia, sente la musica delle sfere. In Cimbelino, Imogene appare come una «divinità» con gli anni di un ragazzo, contro gli dèi c’è una vera e propria rivolta degli antenati di Postumo, e a loro Giove in persona risponde in una teofania. Nel Racconto d’inverno assistiamo alla resurrezione di Ermione. La Tempesta presenta Prospero come Dio, Miranda come dèa e Ferdinando come dio: Gabbano come il diavolo. Setebos, la divinità dei Patagoni, è invocata, e compaiono, infine, le dee pagane Iride, Cerere e Giunone.
La Passione di Giobbe e di Gesù sono di Lear, che talvolta raccomanda a se stesso la pazienza. Infinitamente patiens è Pericle, e Pazienza compare come una statua nella scena di riconoscimento fra lui e Marina: in grado di contemplare le tombe dei re «sorridendo dell’accadere della più alta sventura».
Pazienza consiglia Edgar in uno dei momenti più alti di Re Lear: la pazienza dell’esser nati come del morire. La sopportazione emerge come l’unico atteggiamento possibile nel Cimbelino. Anche Paolina, nell’ultima scena del Racconto d’inverno, continua a intimare la pazienza a Leonte: come capacità di pazientare nell’attesa del miracolo. E ancora: Prospero nella Tempesta non fa che ingiungere pazienza: ad Ariele, a Ferdinando e Miranda, a Gonzalo e Alonso.
Attendere. Ce lo impone Shakespeare, ritardando e rimandando con suspense abilissima la felice soluzione dei drammi romanzeschi. Ma un’altra accezione dell’attesa si situa fra la «readiness», l’essere pronti alla morte che viene ad Amleto dal Vangelo, e la «ripeness», la maturità, che Edgar proclama in Re Lear: fra la potenza e l’atto, fra l’annuncio e il compimento.
La «consumazione» che Amleto si augura prima di partire per l’Inghilterra, quella che fornirebbe il suicidio liberandoci dal male di vivere, diventa la «consumazione» nella pace che Guiderio e Arvirago augurano a Fedele che essi ritengono morto. Ma un’altra consumazione – cioè compimento – è quello che si prefigura Lear andando in prigione con Cordelia: cantare come uccelli in gabbia, scambiarsi benedizioni, chiedersi perdono, pregare, raccontarsi antiche favole, ridere delle farfalle variopinte, prendere su di sé il mistero delle cose ed essere spie di Dio. Le metafore bibliche e l’amore salvifico per intercessione della Vergine sono veri riferimenti spirituali (Vedi: Piero Boitani: “Il Vangelo secondo Shakespeare, ed. il Mulino 2009).
Alcuni autori: principalmente Monaldi & Sorti in “Dante di Shakespeare, ed. Solferino 2023”; John Florio cit.; Elisabetta Fiorito articolo in “Sole 24 Ore” 2021, “Dante raccontato da Shakespeare come non l’avete mai immaginato”. ipotizzano su riscontri di studi condotti che Shakespeare abbia tratto ispirazione dalle opere di Dante Alighieri soprattutto dalla Divina Commedia.
Come non trovare immediatamente il raccordo nella bellissima cantica XXIII del Paradiso, dove splende per altezza letteraria e fede cattolica la preghiera solenne dedicata da San Bernardo di Chiaravalle alla Beata Vergine Maria. È un passaggio indiretto come ispirazione ma brevemente ricostruiamo i tratti magnetici. Nella cantica citata, San Bernardo prega la Vergine di intercedere per il poeta, affinché possa avere la visione di Dio. La preghiera si articola in due momenti: Lode e invocazione. Tutto porta all’estasi beatifica; la Vergine accoglie la preghiera e Dante ha la visione di Dio, di cui ricorda solo un’impressione di infinita dolcezza.
In un’opera di Shakespeare, precisamente la “Dodicesima notte”, riportando una citazione pubblicata anche su Goodreads, si legge testualmente: “Madonna mia, perché piangi? Matto mio, per la morte di mio fratello. Credo che la sua anima sia all’inferno, Madonna. So che la sua anima è in paradiso, matto mio. Ancora più matto, Madonna, a piangere perché l’anima di tuo fratello è in paradiso”.
I sentimenti, l’etica, le moralità sono rappresentazioni filosofico-morali che influenzarono tutto il teatro elisabettiano, in cui Shakespeare inserì figure e temi di tale spessore. In particolar modo, le moralità sono un tipo di teatro derivato dalla tradizione medievale, diffuso soprattutto in Inghilterra tra il 1300 e il 1400.
Tra le più note ci sono The Castle of Perseveranceed Everyman. Nelle suddette rappresentazioni, le virtù sono veri messaggeri di Dio, mentre i vizi sono legati al Diavolo.
I sentimenti tutti e gli stati d’animo umani vengono rappresentati nella loro piena complessità, in più vengono accolti dalla tradizione popolare e medievale la dimensione fantastica e irrazionale, come spettri, streghe, folletti, fate ed elfi. Amleto per il dubbio e Otello per la gelosia.
Nel teatro elisabettiano il personaggio del Vice, che rappresenta il Diavolo, spinge sempre il protagonista sulla cattiva strada, tutto questo in un quadro teatrale significativo per la trasformazione religiosa tra il 1558 ed il 1625.
Queste connessioni mettono senz’altro in luce la profondità sensibile tendente all’affidamento dell’anima ad un soggetto superiore che tramite l’amore completo che smuove ogni costellazione diventa termine fisso guida per la vita intera.
La vergine che muove il cielo sulla terra altrimenti sterile e materica.