Duke Ellington incontra Shakespeare: jazz, poesia, teatro e qualche colpo di scena

Such Sweet Thunder
Duke Ellington
Duke Ellington

Duke Ellington incontra Shakespeare: jazz, poesia, teatro e qualche colpo di scena


Such Sweet Thunder


Duke Ellington nasce a Washington il 28 aprile del 1899, appena in tempo per veder arrivare il Ventesimo secolo, tuffarcisi a fondo e (ri)emerge dagli anni Venti in poi come uno dei più grandi compositori di cui si abbia memoria. Cresciuto nell’epoca del jazz, dello swing e della canzone americana, Ellington si appropria a fondo delle sue radici, fino a liberarsi di ogni schema ed etichetta, regalandoci una serie di opere di caratura immortale.

Duke scrive musica elaborata e di matrice sinestetica, dipinge le sue prime piccole composizioni come quadretti, perfetti, di una narrativa avvolgente in cui ci ritroviamo ad inseguire la scena anche oltre i bordi della cornice. Il pianismo spigoloso di derivazione stride è il primo dei suoi strumenti compositivi e potremmo considerarlo come un disegno preparatorio sul quale poi viene steso il colore da una tavolozza più completa: l’orchestra. Formazione del suono granitico, ormai archetipico, nel quale spiccano inconfondibili le voci dei solisti: il potente sax baritono di Harry Carney o il clarinetto volante di Jimmy Hamilton solo per citarne alcuni.

Le composizioni di Ellington si sviluppano dalle prime piccole perle verso suite sempre più estese, fino anche alla scrittura di tre concerti sacri. Questo percorso deve moltissimo al sodalizio artistico ed umano con il compositore Billy Strayhorn. Non ci interessa in questa sede indagare dove inizi la scrittura di uno e finisca quella dell’altro, certo è che grandi opere come quella che andremo a scoprire di seguito, sono indiscutibilmente frutto dell’incontro e dell’intreccio del lavoro dei due.

La musica del Duca, facilmente etichettata come jazz, non è mai solo musica: è incrocio ed intersezione con l’arte a trecentosessanta gradi ed è uno strumento di ibridazione ed elevazione sempre diretto verso nuovi orizzonti conoscitivi.

Proprio in quest’ottica non risulta strano che nel 1957 la moltitudine ellingtoniana abbia incrociato il mondo letterario di William Shakespeare e abbia generato una delle opere più interessanti e intellettualmente stimolanti della storia del jazz e non solo: Such Sweet Thunder.

Durante il lunghissimo tour del 1956, Ellington e Strayhorn accumulano letture di Shakespeare e analisi di esperti e si avventurano in una serie di ritratti corali ed accorati dei personaggi del Bardo. Il genio compositivo della coppia intreccia le innumerevoli possibilità espressive dell’orchestra intesa come strumento a sé, ai gesti del mondo letterario. Ad esempio, quattro dei movimenti della suite sono brevi composizioni in forma di sonetto (Sonnet for Caesar, Sonnet to Hank Cinq, Sonnet in search of a Moor e Sonnet for Sister Kate), ma non solo nel titolo. Infatti ogni melodia è strutturata in quattordici frasi musicali di dieci note ciascuna, proprio come in poesia.

Due brani più estesi della suite molto interessanti da considerare sono The Star-Crossed Lovers (aka Pretty Girl) e Madness in Great ones (Hamlet). Essi sono presentati uno di seguito all’altro, probabilmente per farne risaltare per contrasto le caratteristiche peculiari.

In The star-crossed lovers Ellington mette in scena un Romeo e Giulietta fatto soltanto di cieli stellati e sussurri notturni. L’intreccio dei personaggi è suggerito in questa ballata romantica come se si desse per scontato che tutti siamo a conoscenza del drammatico epilogo. In ogni caso, che conosciamo o no l’evolvere della tragedia, sin dalla prima esposizione della melodia percepiamo che qualcosa di sottile, ma tragicamente ingiusto è dietro l'angolo. Con questo brano Ellington e Strayhorn fanno uso di quello scenario fatto di linee distese, tensioni nascoste e risoluzioni morbide che trasversalmente alla loro produzione viene chiamato “mood”. E chi poteva interpretare Giulietta se non il mellifluo sax alto di Johnny Hodges? Insuperato interprete di ballate, Hodges appoggia la melodia in maniera malinconica come se stesse parlando a sé stessa, mentre sullo sfondo l’orchestra ombreggia i sentimenti liquidi e intangibili di una notte di sospiri. Il tempo è cristallizzato e finiamo per chiederci se quel qualcosa sia successo davvero.

Abbiamo appena il tempo di riprenderci dalla triste storia d’amore tra i balconi di Verona che entra in scena Amleto e ci porta completamente altrove. Madness in great ones, ovvero la pazzia dei grandi. Anche solo dal titolo possiamo intuire che il brano è un capolavoro di gesto fuori dagli schemi. Qui l’orchestra avvampa in una serie di piccole scene che si susseguono saltando da un angolo all’altro. Le sezioni si rincorrono e si incastrano in un gioco di spie e di specchi che sembrano piroettare nel labirinto di un castello. Poi un protagonista prende il centro della scena: la tromba vertiginosa di Cat Anderson incarna Amleto, si impone, volteggia, tuona, combatte, e si ritrova sola lassù per aria. Si disgrega come un fantasma, ma prima di scomparire fa il possibile per trascinarci nella sua follia. Così la coppia Ellington-Strayhorn veste Shakespeare di Ventesimo secolo; la musica è viva ed ancorata al suo presente: seguiamo tanto la follia di Amleto quanto il traffico delle strade di New York. Regno di Danimarca o beat generation? In ogni caso una cosa è evidente: “c’è del marcio...”

In coda all’articolo una breve lista di consigli per altri ascolti ellingtoniani provenienti dall’ambito delle suite e qualche video facilmente reperibile online:


Far East Suite (1966, ovvero l’occhio occidentale che viene inglobato dalla mistica orientale. Particolarmente evocativi i brani Bluebird of Delhi e Mount Harissa).

Afro Eurasian Eclipse (1971, sinestesie, incroci, reminiscenze e un tocco di blues).

New Orleans Suite (1970, ritratti dei personaggi della città, ma più che altro dell’idea che ne resta).

Queen’s Sweet (suite dedicata alla famiglia reale inglese, pubblicata nel disco The Ellignton’s Suites. Nel brano Sunset and the Mockingbird un uccellino volteggia attraverso le sfumature di un tramonto inglese).

Sweet Thursday (contenuta nel disco Three Suites, ispirata all’omonimo romanzo di John Steinbeck. Poco più di un quarto d’ora di insindacabile acume).

A Drum is a Woman (interessante elaborazione mistico-magica delle origini della musica jazz).

E per chiudere il brano Tina (contenuto nella Latin American Suite è un momento intimo in cui Ellington pianista ci racconta un’Argentina che sembra essere quella di un sogno).


Collegamenti video:

Video di repertorio Rai in cui Ellington al piano accompagna con estratti da Such Sweet Thunder la lettura del monologo di Amleto fatta da Vittorio Gassman.

Duke Ellington Piano solo Concert (registrazione per la ABC TV australiana in cui Ellington, solo al pianoforte, suona alcune composizioni e racconta interessanti aneddoti della sua carriera).

On the road with Duke Ellignton (dinamico documentario che segue l’orchestra e Duke in una tournée degli anni Sessanta).