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Paolo Conte: ballerini, amanti e una macchina da scrivere

Parole d'amore scritte a macchina
Paolo Conte
Paolo Conte

Paolo Conte: ballerini, amanti e una macchina da scrivere


Una fotografia sbiadita che fa da segnalibro ad una vecchia edizione del Reader’s Digest, una linea di fumo che aleggia in uno scompartimento del treno, la moquette di un motel e un sassofono d’argento che miagola il tema di Lady be good. Un paio di scarpe da ballo consumate, il cristallo pendente del lampadario di un teatro, le luci intermittenti di un bar di periferia, una bicicletta da corsa sgonfia, una prostituta stanca e una coppia assonnata indecisa nel dirsi addio. Due ballerini, un gatto, un elettricista e uno chansonniere sonnolento.

Potremmo essere a Parigi? Potremmo essere a New York? Forse a Milano o a New Orleans? In qualche modo siamo in tutti questi posti contemporaneamente: siamo dentro ad un pezzo di Paolo Conte.

Sono le immagini a guidare i testi di Paolo Conte, dalla prima all’ultima strofa: ogni verso è una piccola fotografia che prende forma nella nostra testa giusto per l’attimo che serve a generare la successiva, come in un vecchio nastro di diapositive disordinate in riproduzione contro la parete del salotto. Fotografie, diapositive e suggestioni umorali declamate da una voce roca, fumosa e non allineata a nessun canone estetico. Proprio questa voce, un pianoforte arruffato e un’orchestra assetata hanno creato un suono inconfondibile.

Nei dischi di Conte la musica si intreccia con le parole in un diorama di riferimenti lontani, ma vivissimi; fanno capolino una lunga serie di tradizioni: il dixieland delle origini, la musica classica, la grande canzone napoletana, il tango della vecchia guardia, i valzer di Vienna, Cuba e un folklore italiano da romantiche fisarmoniche sdentate.

Il jazz degli anni venti ha però un ruolo preponderante; Conte lo considera una insuperabile espressione di modernità, infatti ne raccoglie l’approccio armonico-melodico, ammicca sornione alle orchestrazioni d’epoca e ruba sfacciatamente quell’atteggiamento di stupore proprio della modernità incosciente, che si tratti di uno swing scatenato, una mazurca polverosa o una vecchia rumba, questo non manca mai.

Paolo Conte si appropria trasversalmente di tutto quello che incontra e questo fa in modo che la sua musica sia del tutto inetichettabile, scevra da campanilismi e completamente internazionale al di là della lingua italiana in cui è cantata. Classe ed eleganza tingono ogni brano di colori personali e inusuali, mischiando la meccanica tangibile e quotidiana di una bicicletta con il gesto bruciante di un Picasso da museo, un bar di provincia con la raffinatezza un pò snob di un teatro di città. Tutto senza alcuna sovrastruttura. Una topolino amaranto, un tinello marron e un lampo giallo al parabreeze: quella che lui stesso definì “confusione mentale fine secolo”.

L’album Parole d’amore scritte a macchina del 1990 è un ottimo sunto di tanti di questi riferimenti e nel testo della canzone Ho ballato di tutto è racchiusa una immagine traslucida presente lungo l'intera produzione di Paolo Conte:

Vedi, il cuore e i piedi, proprio così,

sono i primi che si stancano, sì.

Il ballo e qualche nostalgica storia d’amore sono due linee narrative che Conte asseconda da sempre, dai tempi di Wanda e Blue tangos fino alle ultimissime produzioni come Ballerina e Tutti a casa.

In Parole d’amore scritte a macchina sul lato danzante, oltre alla sopracitata Ho ballato di tutto, spiccano anche Mister Jive, dove un ballerino quasi ubriaco sembra doversi districare da un ritardo inspiegabile, e Happy feet, la traccia che chiude l’album. Proprio su Happy feet il vecchio swing non si stanca di scatenare i nostri piedi e i nostri pensieri. La canzone è una rielaborazione dell’omonimo brano degli anni Trenta, qui rivestito degli incroci, dei lanci e delle mille evoluzioni senza tempo di un gioco romantico e, perché no, velatamente erotico.

Tra le storie d’amore insondabili la titletrack è un esempio perfetto di quanto il dire e il non dire siano parti fondamentali e complementari nella creazione di uno scenario e di quanto diagonale e visionario sia il cantautore. Conte, che prima e parallelamente alla musica ha esercitato come avvocato, parte da una causa di divorzio e ne sfilaccia i contorni nella lettera di un legale rappresentate attorno alla quale sembra ancora annidarsi qualche vecchio sentimento. Il rigore della legge contro il disordine della passione? Normali pratiche di divorzio? Serve forse nascondersi dietro ad un avvocato per dirsi che è finita? Ma sarà poi finita?

I versi “Lo stile del tuo legale, però sono parole tue, parole d’amore scritte a macchina baby” ci dicono e non ci dicono tutto quel che dobbiamo sapere di questa storia. D’amore?

A seguire qualche ascolto collegato a Paolo Conte, dentro e fuori dalla sua produzione.


Qualche ballerino tra le righe di Paolo Conte:

Boogie – Dall’album Paris milonga (1981)

Dancing – Da Appunti di viaggio (1982)

Danza della vanità – Da Psiche (2008)

Sud America – Da Un gelato al limon (1979)

Ballerina – Da Snob (2014)

Jimmy Ballando – Da Aguaplano (1987)

Los amantes del mambo – Da Nelson (2010)


Qualche strana storia d’amore:

Sandwich Man – Da Elegia (2004)

Architetture lontane – Da Una faccia in prestito (1995)

Hesitation – Da Aguaplano (1987)

Dal loggione – Da Un gelato al limon (1979)

Gioco d’azzardo – Da Appunti di viaggio (1982)

L’avance – Da Paolo Conte (1984)

La donna della tua vita – Da 900 (1992)


Qualche altro artista:

Vinicio Capossela – All’una e trentacinque circa (1990)

Tom Waits – Blue valentine (1978)

Juan Carlos Caceres – Murga argentina (2005)

Igor Macchia – L’amore non ha regole

Gianmaria Testa – Altre latitudini (2003)

Avion Travel – Danson Metropoli (2007)