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Coppia o cappio?

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Coppia o cappio?

 

Sempre più coppie (di coniugi, di partner o di genitori) sono disfunzionali perché non si è colto o coltivato il vero senso di amore e quello di coppia. 

“L’amore non è fusione ma unione; le persone non vi si confondono ma si sublimano” (cit.): così dall’amore di coppia a quello genitoriale.

“Il contrario dell’amore è il possesso” (cit.). Voce del verbo amore è libertà: liberarsi e liberare. Amare è essere liberi di e liberi da e soprattutto liberi con e liberi per.

Kahlil Gibran scriveva: “Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà. Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia”. Così la vita di coppia, la vita in famiglia.

“A volte, certe storie d’amore non dovrebbero nemmeno cominciare perché portano sin dall’inizio i segni di una tragedia” (dalla trasmissione televisiva “Amore criminale”). L’amore non è né giustificazione né sopportazione ma “comunione” (dal latino “cum”, con, insieme, e “munus”, parola polisemica che significa da “regalo” a “impegno”). La vita di coppia non deve essere mai un ripiego, innanzitutto per rispetto di se stessi. Spesso ci si butta in storie sbagliate, oggettivamente sbagliate, viste chiaramente tali da tutti. E, poi, lo si riconosce solo dopo, quando ci si separa e si sente dire: “Me lo dicevano tutti che non era per me, però...”.

Bisogna fare attenzione a non confondere l’amore con altro, perché si rischia di compromettere il benessere della singola persona, della coppia e dell’eventuale famiglia. L’amore non è soccorso ma sostegno, non è assistenzialismo ma assistenza, non è convenienza dell’altro ma convivenza nell’altro, non è compatimento ma compassione. “Quante persone scambiano l’amore per il soccorso, quanti “infermieri” e quante “crocerossine” corrono in aiuto scambiando l’amore (che in sé porterebbe il farsi carico delle pene e delle offese altrui, ma in modo adulto) con un assistenzialismo che in realtà foraggia il proprio ego, l’eroe o l’eroina che con i loro atti salvano l’altro dal pericolo e dal dolore” (don Fabio Rosini). Non si tratta di sano egoismo ma di autostima e rispetto di sé. 

“Una coppia, ad esempio, sin dal fidanzamento, dovrebbe sempre avere il decalogo delle cose che fanno bene al loro rapporto e dalla cura e dall’assiduità a queste cose buone sorgeranno dei genitori saggi, sereni, rasserenanti” (don Fabio Rosini). Una coppia deve darsi e farsi decalogo d’amore e di vita insieme, quell’indirizzo della vita familiare di cui all’art. 144 cod. civ.. La coppia può essere sintonica o distonica: è frutto della scelta iniziale e, soprattutto, di quella quotidiana ricordando che comporta conseguenze anche nella vita degli altri, in primo luogo dei figli.

Lo studioso gesuita Giovanni Cucci afferma: “È proprio di chi è innamorato vedere le cose attorno a sé con occhi nuovi; esse rimangono le medesime di prima, ma è lo sguardo a essere differente, uno sguardo pacificante, agli antipodi dell’ansia e della paura”. L’amore di una coppia comincia con uno sguardo attento e finisce quando lo sguardo si distrae, si distoglie, si distorce verso altro. Quello sguardo da cui deriva etimologicamente il “rispetto” (dal verbo latino “respicere”, “guardare di nuovo, guardare indietro”) che è alla base di ogni relazione.

Un’immagine significativa di coppia è quella descritta dallo scrittore Erri De Luca: “Non sono al tuo fianco, io sono il tuo fianco. Sei la parte mancante che torna da lontano a combaciare” (in “Il giorno prima della felicità”): quello che ci si dovrebbe dire e soprattutto vivere in una coppia. Non è tanto importante esprimere il “ti amo” quanto vivere il “ci amiamo”: uno più uno non fa due, ma fa coppia che è una nuova entità fatta di due che restano due. Una lezione di educazione sentimentale, ancor prima di quella sessuale. Non ci si sposa (o, comunque, si fa una scelta di vita di coppia) solo per avere qualcuno accanto nel letto o a tavola, ma soprattutto per averlo accanto nella vita. L’educazione sentimentale e sessuale non è fatta di lezioni di scuola, ma di scuola di vita.

E una delle manifestazioni più rispettose di amore nella coppia, perché non co-stringe né opprime è la tenerezza, come scrivono Edoardo e Chiara Vian, esperti di famiglie in difficoltà: “La tenerezza è elemento fondante di un rapporto di coppia. E se la si trascura o dimentica, va riscoperta, pena l’inaridirsi del rapporto. In una coppia è importante ricavarsi ogni giorno un momento per una parola gentile, una carezza, uno sguardo d’amore per l’altro: tutto ciò nutre la tenerezza. Cominciare a coltivare uno sguardo di meravigliata tenerezza su ciò che l’altro è, nel mistero della sua persona, nella complessità del suo corpo, nel mistero profondo della quotidianità: tutto ciò porta a riconoscere la profonda bellezza abitata dall’altro”. La tenerezza dà contenuto agli obblighi coniugali di cui all’art. 143 comma 2 cod. civ., in particolare a quello dell’assistenza morale e materiale. Quella tenerezza la cui mancanza causa una sincope della comunicazione e della comunione tra coniugi e in molti casi la rottura definitiva della coppia. 

“Prendimi per mano e insegnami ad imparare di nuovo quello che ho disimparato [...] prendimi per mano e dimostrami che non è finita” (cit.). Quello che si dovrebbe comunicare una coppia nei momenti di crisi senza affrettare alcuna conclusione.

“Capire coloro che parlano piuttosto che le parole” (il filosofo gesuita Gaetano Piccolo): la vera comunicazione da stabilire nella coppia, in famiglia. Perché la comunicazione è il collante di ogni coppia, dalla coppia di amici a quella di colleghi di lavoro.

“Nulla può essere unico e completo se prima non è stato lacerato” (cit.). Ogni emozione è una lacerazione perché bisogna aprirsi agli altri per completare se stessi: così la vita di coppia e quella familiare passano di lacerazione in lacerazione, dal rapporto sessuale al parto, dalla crisi al lutto.

“Noi due piangiamo continuamente e poi mettiamo le nostre lacrime nel frigorifero in quei contenitori del ghiaccio” (dallo spettacolo teatrale “Chi ha paura di Virginia Woolf” su incomunicabilità e conflittualità di coppia). In molte coppie si piange tanto, ma non ci si compiange affatto. Eppure ci vorrebbe poco per comunicarsi la reciproca sofferenza e soffrire di meno e insieme.

La peggiore forma di sterilità di coppia non è quella procreativa, ma quella generativa d’amore, quell’amore diffusivo e pervasivo. Quelle coppie chiuse in loro stesse fino ad incistarsi rimanendo crisalidi che non spiccheranno mai il volo come farfalle, anche se e quando hanno figli. La mancanza della vera educazione sentimentale, relazionale e sessuale segna nel profondo e per sempre.

Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, consulenti familiari, precisano: “[…] il principio della vita: ogni coppia […] è chiamata a generare “figli divergenti” (termine tecnico per dire tutti i modi di uscire da sé stessi, di non stare centrati solo sui propri bisogni)”. Da tutto il Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, ed in particolare dal settimo enunciato, emerge che precipuamente i genitori devono far sì che i figli siano individui (etimologicamente “indivisibile” e, pertanto, tutto ciò che ha una personalità, una esistenza tutta sua speciale) ma non individualisti: “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali”. 

Il pedagogista Daniele Novara richiama: “Non deve esserci confusione: una mamma e un papà non devono atteggiarsi o comportarsi come fidanzati affettuosi o come amici. Un figlio ha bisogno di un genitore che faccia il genitore. Non chiede niente di meglio”. “I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare” (art. 6 comma 2 legge 4 maggio 1983 n. 184 “Diritto del minore ad una famiglia”). Ogni figlio può essere considerato adottivo perché è adottato, cioè “preso per sé, accettato, fatto proprio”, nella vita di una coppia e ogni figlio ha diritto a una coppia di genitori idonei.

I figli non appartengono ai genitori ma sono affidati ai genitori per cui non vanno né coinvolti né contesi nelle sempre più frequenti crisi o rotture delle coppie (come esplicitato nella Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori, ottobre 2018). Questioni che continuano anche sulla cosiddetta PAS, Sindrome d’alienazione parentale.

La giurisprudenza italiana di merito (ma non la Cassazione), in maniera frammentaria, riconosce la PAS, tra cui il decreto n. 778/2015 I sez. civile del Tribunale di Cosenza. La PAS non è menzionata espressamente nel DSM V (edizione 2013, traduzione italiana 2014) - Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali -, ma vi è delineata con vari riferimenti, tra cui “disturbi relazionali genitore-figlio”. Il riconoscimento della PAS non deve diventare, però, motivo di inasprimento dei rapporti già incrinati tra gli adulti ma motivo di percezione e riflessione casi dei bambini “triangolati” nelle crisi di coppia, perché non è una patologia dei bambini ma una condotta degli adulti che continuano a rivelarsi immaturi ed egoisti.

Quegli stessi adulti immaturi ed egoisti che non consentono ai figli di avere relazioni regolari e costruttive con i nonni. “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni” (art. 317-bis comma 1 cod. civ. “Rapporti con gli ascendenti”, articolo sostituito dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154). Il termine “ascendenti”, per quanto opinabile e tipicamente italiano, è significativo della pluridimensionalità delle relazioni familiari. La coppia genitoriale deve maturare nell’ottica trigenerazionale che è una di quelle dimensioni in cui covano i peggiori conflitti e su cui si basa altresì la terapia familiare trigenerazionale.

Occorre una consapevolizzazione sul senso di “coppia” che è diverso da “paio”: la coppia è formata da due esseri che, pur con e nelle loro differenze, si uniscono per il medesimo obiettivo. Si è membri di una coppia ma non ci si annienta nella coppia, non a caso nel codice civile non si parla di “coppia” ma si sottolinea “ambedue” o “entrambi”. Secondo l’argentino Salvador Minuchin, esperto di terapia familiare, per realizzare i compiti specifici che spettano loro, i coniugi necessitano di capacità di complementarità e reciproco accomodamento, cioè devono sostenere il modo d’agire dell’altro in molti campi, cedendo parte del loro individualismo per riguadagnarlo nel rapporto di coppia.

L’amore, qualsiasi amore, deve essere liberante e librante e non vincolante, costruttivo e creativo e non ostruttivo o distruttivo della singola persona.

Dott.ssa Margherita Marzario

Tag: Rapporti di famiglia

Sintesi: Una coppia deve darsi e farsi decalogo d’amore

Abstract: L’articolo ricerca il senso della coppia evidenziando storture e fraintendimenti che rischiano di minarne la capacità generativa di amore e dell’amore

 

Sempre più coppie (di coniugi, di partner o di genitori) sono disfunzionali perché non si è colto o coltivato il vero senso di amore e quello di coppia. 

“L’amore non è fusione ma unione; le persone non vi si confondono ma si sublimano” (cit.): così dall’amore di coppia a quello genitoriale.

“Il contrario dell’amore è il possesso” (cit.). Voce del verbo amore è libertà: liberarsi e liberare. Amare è essere liberi di e liberi da e soprattutto liberi con e liberi per.

Kahlil Gibran scriveva: “Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà. Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia”. Così la vita di coppia, la vita in famiglia.

“A volte, certe storie d’amore non dovrebbero nemmeno cominciare perché portano sin dall’inizio i segni di una tragedia” (dalla trasmissione televisiva “Amore criminale”). L’amore non è né giustificazione né sopportazione ma “comunione” (dal latino “cum”, con, insieme, e “munus”, parola polisemica che significa da “regalo” a “impegno”). La vita di coppia non deve essere mai un ripiego, innanzitutto per rispetto di se stessi. Spesso ci si butta in storie sbagliate, oggettivamente sbagliate, viste chiaramente tali da tutti. E, poi, lo si riconosce solo dopo, quando ci si separa e si sente dire: “Me lo dicevano tutti che non era per me, però...”.

Bisogna fare attenzione a non confondere l’amore con altro, perché si rischia di compromettere il benessere della singola persona, della coppia e dell’eventuale famiglia. L’amore non è soccorso ma sostegno, non è assistenzialismo ma assistenza, non è convenienza dell’altro ma convivenza nell’altro, non è compatimento ma compassione. “Quante persone scambiano l’amore per il soccorso, quanti “infermieri” e quante “crocerossine” corrono in aiuto scambiando l’amore (che in sé porterebbe il farsi carico delle pene e delle offese altrui, ma in modo adulto) con un assistenzialismo che in realtà foraggia il proprio ego, l’eroe o l’eroina che con i loro atti salvano l’altro dal pericolo e dal dolore” (don Fabio Rosini). Non si tratta di sano egoismo ma di autostima e rispetto di sé. 

“Una coppia, ad esempio, sin dal fidanzamento, dovrebbe sempre avere il decalogo delle cose che fanno bene al loro rapporto e dalla cura e dall’assiduità a queste cose buone sorgeranno dei genitori saggi, sereni, rasserenanti” (don Fabio Rosini). Una coppia deve darsi e farsi decalogo d’amore e di vita insieme, quell’indirizzo della vita familiare di cui all’art. 144 cod. civ.. La coppia può essere sintonica o distonica: è frutto della scelta iniziale e, soprattutto, di quella quotidiana ricordando che comporta conseguenze anche nella vita degli altri, in primo luogo dei figli.

Lo studioso gesuita Giovanni Cucci afferma: “È proprio di chi è innamorato vedere le cose attorno a sé con occhi nuovi; esse rimangono le medesime di prima, ma è lo sguardo a essere differente, uno sguardo pacificante, agli antipodi dell’ansia e della paura”. L’amore di una coppia comincia con uno sguardo attento e finisce quando lo sguardo si distrae, si distoglie, si distorce verso altro. Quello sguardo da cui deriva etimologicamente il “rispetto” (dal verbo latino “respicere”, “guardare di nuovo, guardare indietro”) che è alla base di ogni relazione.

Un’immagine significativa di coppia è quella descritta dallo scrittore Erri De Luca: “Non sono al tuo fianco, io sono il tuo fianco. Sei la parte mancante che torna da lontano a combaciare” (in “Il giorno prima della felicità”): quello che ci si dovrebbe dire e soprattutto vivere in una coppia. Non è tanto importante esprimere il “ti amo” quanto vivere il “ci amiamo”: uno più uno non fa due, ma fa coppia che è una nuova entità fatta di due che restano due. Una lezione di educazione sentimentale, ancor prima di quella sessuale. Non ci si sposa (o, comunque, si fa una scelta di vita di coppia) solo per avere qualcuno accanto nel letto o a tavola, ma soprattutto per averlo accanto nella vita. L’educazione sentimentale e sessuale non è fatta di lezioni di scuola, ma di scuola di vita.

E una delle manifestazioni più rispettose di amore nella coppia, perché non co-stringe né opprime è la tenerezza, come scrivono Edoardo e Chiara Vian, esperti di famiglie in difficoltà: “La tenerezza è elemento fondante di un rapporto di coppia. E se la si trascura o dimentica, va riscoperta, pena l’inaridirsi del rapporto. In una coppia è importante ricavarsi ogni giorno un momento per una parola gentile, una carezza, uno sguardo d’amore per l’altro: tutto ciò nutre la tenerezza. Cominciare a coltivare uno sguardo di meravigliata tenerezza su ciò che l’altro è, nel mistero della sua persona, nella complessità del suo corpo, nel mistero profondo della quotidianità: tutto ciò porta a riconoscere la profonda bellezza abitata dall’altro”. La tenerezza dà contenuto agli obblighi coniugali di cui all’art. 143 comma 2 cod. civ., in particolare a quello dell’assistenza morale e materiale. Quella tenerezza la cui mancanza causa una sincope della comunicazione e della comunione tra coniugi e in molti casi la rottura definitiva della coppia. 

“Prendimi per mano e insegnami ad imparare di nuovo quello che ho disimparato [...] prendimi per mano e dimostrami che non è finita” (cit.). Quello che si dovrebbe comunicare una coppia nei momenti di crisi senza affrettare alcuna conclusione.

“Capire coloro che parlano piuttosto che le parole” (il filosofo gesuita Gaetano Piccolo): la vera comunicazione da stabilire nella coppia, in famiglia. Perché la comunicazione è il collante di ogni coppia, dalla coppia di amici a quella di colleghi di lavoro.

“Nulla può essere unico e completo se prima non è stato lacerato” (cit.). Ogni emozione è una lacerazione perché bisogna aprirsi agli altri per completare se stessi: così la vita di coppia e quella familiare passano di lacerazione in lacerazione, dal rapporto sessuale al parto, dalla crisi al lutto.

“Noi due piangiamo continuamente e poi mettiamo le nostre lacrime nel frigorifero in quei contenitori del ghiaccio” (dallo spettacolo teatrale “Chi ha paura di Virginia Woolf” su incomunicabilità e conflittualità di coppia). In molte coppie si piange tanto, ma non ci si compiange affatto. Eppure ci vorrebbe poco per comunicarsi la reciproca sofferenza e soffrire di meno e insieme.

La peggiore forma di sterilità di coppia non è quella procreativa, ma quella generativa d’amore, quell’amore diffusivo e pervasivo. Quelle coppie chiuse in loro stesse fino ad incistarsi rimanendo crisalidi che non spiccheranno mai il volo come farfalle, anche se e quando hanno figli. La mancanza della vera educazione sentimentale, relazionale e sessuale segna nel profondo e per sempre.

Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, consulenti familiari, precisano: “[…] il principio della vita: ogni coppia […] è chiamata a generare “figli divergenti” (termine tecnico per dire tutti i modi di uscire da sé stessi, di non stare centrati solo sui propri bisogni)”. Da tutto il Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, ed in particolare dal settimo enunciato, emerge che precipuamente i genitori devono far sì che i figli siano individui (etimologicamente “indivisibile” e, pertanto, tutto ciò che ha una personalità, una esistenza tutta sua speciale) ma non individualisti: “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali”. 

Il pedagogista Daniele Novara richiama: “Non deve esserci confusione: una mamma e un papà non devono atteggiarsi o comportarsi come fidanzati affettuosi o come amici. Un figlio ha bisogno di un genitore che faccia il genitore. Non chiede niente di meglio”. “I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare” (art. 6 comma 2 legge 4 maggio 1983 n. 184 “Diritto del minore ad una famiglia”). Ogni figlio può essere considerato adottivo perché è adottato, cioè “preso per sé, accettato, fatto proprio”, nella vita di una coppia e ogni figlio ha diritto a una coppia di genitori idonei.

I figli non appartengono ai genitori ma sono affidati ai genitori per cui non vanno né coinvolti né contesi nelle sempre più frequenti crisi o rotture delle coppie (come esplicitato nella Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori, ottobre 2018). Questioni che continuano anche sulla cosiddetta PAS, Sindrome d’alienazione parentale.

La giurisprudenza italiana di merito (ma non la Cassazione), in maniera frammentaria, riconosce la PAS, tra cui il decreto n. 778/2015 I sez. civile del Tribunale di Cosenza. La PAS non è menzionata espressamente nel DSM V (edizione 2013, traduzione italiana 2014) - Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali -, ma vi è delineata con vari riferimenti, tra cui “disturbi relazionali genitore-figlio”. Il riconoscimento della PAS non deve diventare, però, motivo di inasprimento dei rapporti già incrinati tra gli adulti ma motivo di percezione e riflessione casi dei bambini “triangolati” nelle crisi di coppia, perché non è una patologia dei bambini ma una condotta degli adulti che continuano a rivelarsi immaturi ed egoisti.

Quegli stessi adulti immaturi ed egoisti che non consentono ai figli di avere relazioni regolari e costruttive con i nonni. “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni” (art. 317-bis comma 1 cod. civ. “Rapporti con gli ascendenti”, articolo sostituito dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154). Il termine “ascendenti”, per quanto opinabile e tipicamente italiano, è significativo della pluridimensionalità delle relazioni familiari. La coppia genitoriale deve maturare nell’ottica trigenerazionale che è una di quelle dimensioni in cui covano i peggiori conflitti e su cui si basa altresì la terapia familiare trigenerazionale.

Occorre una consapevolizzazione sul senso di “coppia” che è diverso da “paio”: la coppia è formata da due esseri che, pur con e nelle loro differenze, si uniscono per il medesimo obiettivo. Si è membri di una coppia ma non ci si annienta nella coppia, non a caso nel codice civile non si parla di “coppia” ma si sottolinea “ambedue” o “entrambi”. Secondo l’argentino Salvador Minuchin, esperto di terapia familiare, per realizzare i compiti specifici che spettano loro, i coniugi necessitano di capacità di complementarità e reciproco accomodamento, cioè devono sostenere il modo d’agire dell’altro in molti campi, cedendo parte del loro individualismo per riguadagnarlo nel rapporto di coppia.

L’amore, qualsiasi amore, deve essere liberante e librante e non vincolante, costruttivo e creativo e non ostruttivo o distruttivo della singola persona.