Amori, navigli e Corone
Amori, navigli e Corone
Una domanda banale
Siete mai stati innamorati? Non parlo di leggere infatuazioni né di quelle passionali attrazioni che come le stagioni consumano in una vampata di bellezza la loro esistenza, lasciandosi alle spalle solo ricordi ed attese. Ciò che vi chiedo è se avete mai provato il vero amore, quello per il quale anche i poeti faticano a trovare le parole pur reagendo con scandalo alla sola idea di tacere.
Potreste rispondermi che una simile domanda è in se stessa fallace, che la mente e le viscere si contorcono tanto per l’originale quanto per i numerosi imitatori; tuttavia so che, nel momento stesso in cui questa obiezione scivolasse dalla mente fino alle vostre labbra, il cuore si contrarrebbe per l’imbarazzo che sempre accompagna la menzogna. L’ineffabile che forse abbiamo condiviso nasce e s’accampa infatti in ciò che d’imperituro v’è nell’animo umano; ecco che quindi il tempo, che flagella ed umilia ogni simulacro, diviene invece il servo fedele ch’attesta la nobiltà dell’autentico amore.
Non voglio con questo dire che solo coloro i quali, per merito o per Grazia, hanno vissuto o vivono una relazione insensibile alle angherie del divenire possono rispondermi affermativamente; mi riferisco invece a quelli di voi che, benedetti da un tale sentimento, l’hanno visto crescere e mutare come qualcosa di vivo, passando di età in età pur senza perdere se stesso. Quei lettori che si riconoscono in quanto ho detto sanno bene che questo fertile e generoso fiume attraversa tre età nel suo scorrere, tre momenti che è utile e doveroso conoscere per poter serenamente navigare fino al mare sereno dell’Eternità che ci attende.
Il Grande Fiume
La sorgente dell’amore è la scoperta. Può trattarsi di un incontro dirompente o d’una lenta consapevolezza che sale dal profondo ma, qualunque sia il suo sviluppo, porta sempre ad una consapevolezza nuova: il cosmo, nel suo ordine imperituro, ha rivelato un nuovo pilastro. A quel punto il personale universo di cui l’Io d’ognuno si fa centro inizia a contrarsi, a rimodellarsi attorno al nuovo cuore appena scoperto, quasi chiedendosi con meraviglia come avesse fatto a vivere tanto a lungo senza mai guardare il sole. Solitamente i cambiamenti sono dolorosi poiché, per loro stessa natura, passano attraverso la sudicia morte del passato che ne fu seme; tuttavia nell’amore la sofferenza trascende, s’eleva fin quasi a farsi piacere, come se, da qualche parte nelle tenebre dell’anima, l’amante sapesse d’aver ucciso solo la propria stessa menzogna.
Le acque si fanno a questo punto violente e veloci e come rapide rotolano e s’azzuffano lungo i materni fianchi della loro erta madre. Esse bramano in verità la quiete d’un corso piano, la sicurezza d’un cammino grasso e sicuro che dia loro la caparra del blu infinito. Allo stesso modo l’amante, conformatosi all’idea dell’amato, inizia a desiderarlo con violenza, a sognarne quella perfetta comunione che le anime più misere confondono con il possesso. Il suo intero essere pare squarciarsi, scosso da irruenti scatti e dolorose attese, mentre la vista stessa dell’amato si fa contemplazione. Allora il cuore, a tal punto sensibile da esultare dei più minuti dettagli, eleva lodi sincere, prive d’ogni vergogna, omaggi capaci di sollevare il velo che agli occhi dei più cela il valore di chi s’ama. Non importa se il mondo intero rifiuta o deride tale visione: chi ama sa che l’amore non ottunde ma trascende i sensi giungendo alla verità.
Proprio come il corso del fiume che, raggiunta la pianura, non si ferma ma certo perde d’entusiasmo, così l’ardore dell’amante prima o poi vien placato da quel contatto che dà corpo al desiderio. Finché è nutrito dalla brama, l’amore pare non avere limiti: s’agita invece e grida senza freni, forse convinto che il mero tocco dell’amato sia in se stesso il Paradiso. Nel momento invece in cui la levigata pelle viene finalmente sfiorata, la realtà lo travolge con il consueto carico di gioia e delusione. Difatti anche il semplice contatto è preferibile alla fantasia eppure, allo stesso tempo, esso lava via ogni illusione e rivela con crudezza la necessità dell’attesa. Ogni amore infatti, quantomeno su questa terra, deve adagiarsi su di un corso lento, immergersi in acque tranquille e quasi immote, custodendo nel suo vago tepore quella promessa di perfezione che solo in Dio trova risposta. È questa la banalità dell’amore, il tempo nel quale ogni frenesia si placa e la grandezza del sentimento quasi svanisce nella serenità della sua estensione. Non ch’essa si perda, è bene ricordarlo, ma sciogliendosi nella pace dei suoi confini perde consistenza, al punto che gli amanti si chiedono se non sia stato tutto un sogno. Quell’astro scoperto ed amato forse era sempre stato lì ed il ricordo, prima così vivido, delle tenebre che lo precedettero si muta nel cuore in una possibilità insidiata dal dubbio.
L’ho già detto: il vero amore non può morire; eppure in questa fase esso può venir dimenticato, può perdersi come lo scorrere d’un fiume in una vasta palude. Ciò che l’annega non è la morte, che non può pungerlo, bensì l’ingrigirsi delle sue sembianze. Difatti, cosa c’è di più difficile del riconoscere la grandezza, specie se assaporata, dietro ai tratti banali di ciò che è noto?
Così amano uomini e donne
Vi chiedo ancora: chi mai direbbe, osservando la magnificenza del Nilo o la giunonica grandezza del Rio delle Amazzoni, che il vero fiume finisce quando le ultime rapide si placano? Chi oserebbe affermare che i loro benefici e vitali corsi trasmettono il quieto lezzo della morte, rotto solo dell’inebriante profumo di qualche occasionale cascata?
Come l’uomo dei fiumi ha sempre amato e venerato il placido corso e non le burrascose origini, così dovrebbe imparare a fare con l’amore.
La bellezza della scoperta ed il passionale sconvolgimento del desiderio, che ci porta a gioire per ogni sfumatura dell’amato, sono certo momenti memorabili, carichi di doni e meraviglia; eppure anch’essi divengono vuoti e frivoli, quasi tinti di bestiale aroma, se privati del loro vero fine, ossia quella serena comunione nella quale l’altro diviene bello e familiare come il sorgere del sole. La passione per le violente contrazioni del cuore, per le dilanianti scoperte ed i brucianti moti, è propria dei giovani e degli infanti, di coloro cioè che, non per colpa ma per natura, sono ancora incapaci di godere d’un bene che non s’incarni subito nella brutalità dei sensi e che in essi non perseveri.
Coloro invece che per età ed esperienza possono dirsi uomini e donne non dovrebbero scorgere nel raffreddarsi delle passioni la morte dell’amore; al contrario, dovrebbero leggervi l’occasione di rendere ciò che provano familiare come la vista o l’udito. Chi mai infatti, a fronte della banale familiarità di queste due facoltà, si sognerebbe mai di svilirle o di affermare che scarso o nullo è il loro valore?
Quando l’amore diviene familiare, cessa di scuotere l’esistenza con lampi di sapere o brucianti piaceri ed inizia a tingere di gioia l’interezza della nostra vita. Diviene allora più simile al sole, che spandendo il suo calore scalda tutto il nostro corpo, piuttosto che al fuoco il quale, apparentemente più potente, in verità arroventa e ferisce solo quelle parti di noi che gli si avvicinano.
Quando ci troviamo a navigare questo placido corso non dobbiamo cercare e rimpiangere la violenza delle rapide ma, accogliendo serenamente il mutamento avvenuto, alzare lo sguardo ed ammirare il nuovo cosmo costruito su questo imperituro centro. Tutto allora ci apparirà diverso eppure uguale, come tinto d’altra luce, e quella gioiosa bellezza, che prima c’assaliva come pioggia dissetante, ora arricchirà senza negarla l’organica completezza della nostra esistenza.
Il primo amore
So che molti di voi avranno pensato, leggendo queste mie parole, all’amore romantico e non a torto sarà ad esso applicato quanto detto. Tuttavia non è dal rapporto fra l’uomo e la donna che è nata questa mia riflessione, bensì da un altro amore che, pur usandone il linguaggio, ne è vera origine. Sto parlando della Carità con la quale Dio s’è legato all’uomo ed alla quale ogni cristiano è chiamato a rispondere con tutto ciò che la Grazia gli fornisce.
Non possiamo ovviamente dire che l’amore che Dio prova per noi segua le fasi ed i mutamenti che ho descritto: infatti Perfetta ed Immutabile è la Sua Carità ed il solo cambiamento che accetta sta nella risposta di chi la riceve. Per questo è invece possibile riconoscere i tre momenti dell’amore in ciò che noi, uomini in via, proviamo per il Signore. La scoperta ed il desiderio, nella vita spirituale, sono due aspetti del medesimo e perpetuo moto della conversione. Il cristiano sperimenta continuamente l’espandersi della Grazia, dell’Impronta di Dio nella sua esistenza, e la conseguente tensione a rispondere ad Essa. L’anima del credente, come un microcosmo, è in costante espansione, mossa da un Padre che, rivelatosi perfettamente nel Figlio, solo gradualmente viene accolto ed amato.
Tuttavia, proprio come il nostro universo, pur continuando a crescere, ha rallentato e reso meno brutali le sue espansioni, così il credente sperimenta presto il diradarsi di questi moti di conversione. Non necessariamente questo indica un raffreddarsi della sua Carità, un allentarsi della tensione verso Dio; al contrario, in molti casi si tratta semplicemente dell’espandersi di quel placido scorrere che è, così potremmo dire, lo stato naturale dell’amore. Il cristiano quindi vive i medesimi dubbi e le stesse difficoltà che, forse in modo più evidente, si possono riscontrare in ogni amante. Da un lato teme di confondere questo quieto corso con la mortifera stagnazione della freddezza spirituale; dall’altro rischia quasi di rimpiangere le più convulse contrazioni dei primi istanti, quando il solo nome del Signore era tanto nuovo e sublime da richiamarlo al pianto.
L’ascesi del Santo Rosario
La Santa Chiesa, mossa e guidata dallo Spirito Santo e sostenuta dall’intercessione della Vergine Maria e dei santi, è sempre stata ben consapevole delle insidie che soggiacciono alla maturità dell’amore e per questo ha sempre elaborato e valorizzato strumenti idonei per rimanere al sicuro. Riprendendo l’immagine del fiume, possiamo dire che proprio come diverse sono le imbarcazioni utilizzate per affrontare le rapide e per seguire il lungo e pacifico corso delle acque, così le diverse età dell’amore cristiano trovano maggiore o minore conforto in differenti pratiche ascetiche e di preghiera.
Ferma restando l’imperitura utilità della vita sacramentale, possiamo affermare che l’aspetto più personale della vita spirituale trae maggiore o minore giovamento dalle diverse forme di relazione con Dio a seconda della condizione in cui ci troviamo.
Io non sono un maestro di vita spirituale, per cui non tenterò neppure di proporvi una schematizzazione delle diverse pratiche di devozione basata su quanto detto. Approfittando del tradizionale legame fra il mese di ottobre e la preghiera del Santo Rosario, vorrei invece presentarvi la celebre Corona come la migliore imbarcazione per navigare senza rischi nelle fasi più quiete ed apparentemente banali della nostra vita spirituale.
Il Rosario, ammettiamolo, finisce spesso per essere noioso. Non solo la ripetizione costante delle Ave Maria e dei Padre Nostro c’inserisce in una sorta di monotono brusio, ma la stessa meditazione dei misteri, quand’anche compiuta con impegno, finisce per lasciarci senza parole, sgomenti nel constatare come perfino la vita di Cristo possa apparire banale e scontata. Che questa sia una realtà lo conferma, secondo me, la strisciante necessità, avvertita soprattutto dai pastori, di vivacizzare la recita con letture, canti, meditazioni o altro. Ovviamente ognuno ha i suoi gusti e tutte le versioni del Santo Rosario proposte hanno sostenitori e detrattori molto accaniti; il punto tuttavia è che, prima o poi, questa necessità viene universalmente avvertita.
Si potrebbe considerare quanto ho appena detto come uno spietato disvelamento dei limiti di questa forma di preghiera; ciò che invece sostengo è che la monotonia del Rosario è il suo più importante punto di forza. Se infatti ci soffermassimo con più attenzione a considerare il punto di vista sulla Salvezza che propone, ci troveremmo di fronte all’invito a guardare alla storia ed agli atti di Cristo dalla prospettiva di Sua madre, la Vergine Maria. Ella deve essere per noi non solo guida ed esempio al perfetto discepolato di Gesù, ma anche via ideale per comprendere quali saranno le evoluzioni del nostro legame con Lui. Per venire al sodo, Maria è il modello perfetto di chi sa vivere con costanza ed intensità l’amore verso il Signore sia quando è avvinto dalla passione sia nei lunghi decenni di monotona quotidianità.
Anche se i Vangeli non sono generosi di dettagli circa la vita della Santa Vergine, sappiamo che ella visse momenti molto intensi emotivamente e spiritualmente, tanto in seguito alla sua vocazione quanto agli avvenimenti legati alla nascita di Cristo (cfr. Vangelo Secondo Luca 1-2). Culmine di questa prima fase è, a mio parere, il Magnificat, sublime grido d’esultanza nel quale rintracciamo tanto l’emozione della scoperta del suo ruolo nella storia della Salvezza quanto la gioia del contatto fisico con il suo Signore (cfr. Vangelo Secondo Luca 1, 46-56).
Superate le difficili prove legate alla nascita di Gesù (cfr. Vangelo Secondo Luca 2), la vita di Maria entra in un lunghissimo letto di pace e serenità, circa un trentennio, all’interno del quale solo sporadicamente un qualche evento la interroga proponendole una nuova questione (cfr. Vangelo Secondo Luca 2, 46-52). Non è difficile immaginare come la quotidianità abbia portato la Santa Vergine a configurare il suo amore per Gesù all’interno di una continuità sempre minacciata dal sapore della banalità. Ella tuttavia seppe conservare un’attutita meraviglia, uno sguardo capace di rileggere quegli anni così uguali e prevedibili alla nuova Luce che le era stata consegnata.
Che ciò sia vero lo sappiamo di per certo tanto dalla sua presenza ai piedi della croce (cfr. Vangelo Secondo Giovanni 19, 25-26) quanto dalla preghiera costante con cui accompagnò la Chiesa nascente nel suo travaglio prima della Pentecoste (cfr. Atti degli Apostoli 1, 14). In entrambi i casi Maria, a fronte di una situazione difficile all’interno del suo ininterrotto rapporto d’amore con Gesù, seppe trarre dai lunghi anni di quiete non freddezza e fragilità bensì quell’abitudine ad amare Dio che le permise di divenire pilastro e sostegno per gli altri.
La preghiera del Santo Rosario ha il potere d’inserirci nella maturità con cui la Vergine amò il Signore Gesù. La monotonia che lo caratterizza e il silenzio interiore con cui placa anche le più benevole fra le passioni sono armi, strumenti con i quali la Santa Corona ci spoglia degli aspetti e delle aspettative più infantili del nostro amore per il Signore suggerendoci, al tempo stesso, la via che fu di Maria e che sola consente all’uomo di rimanere sempre ai piedi della croce. Si potrebbe affermare che il santo Rosario possiede una dimensione ascetica da riscoprire e valorizzare: nel condurci al mutismo della mente e del cuore attraverso la monotona aridità del suo placido corso, ci dà l’occasione di mutare tutto questo in un silenzio orante che arricchisce i suoni del mondo dell’armonia di Dio.