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La delinquenza giovanile nei figli di coppie separate

delinquenza  giovanile
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La delinquenza giovanile nei figli di coppie separate

La crisi della famiglia

Come affermato da Segalen (1981)[1], “nella maggior parte dei Paesi occidentali, il tema della dissoluzione e della crisi della famiglia costituisce uno degli archetipi maggiori della paura delle élites di fronte all'evoluzione delle società moderne”. Del pari, nella Criminologia francofona, molti Autori, anche verso la fine dell'Ottocento, notavano i primi segnali di crisi della famiglia intesa nel senso tradizionale. P.e., Le Play (1878)[2] reputava che “la concentrazione urbana delle nuove popolazioni operaie” aveva contribuito al disfacimento della famiglia patriarcale, generando disagio e sofferenza. Meno pessimista è il parere di Collomp (1991)[3], secondo il quale “il modello della famiglia mono-nucleare si è fissato in Europa verso la fine del Medioevo; nel nordovest dell'Europa, [tale modello] costituiva il modello tradizionale, mentre la famiglia patriarcale e la famiglia-ceppo sono apparse più tardi e sotto l'effetto di contrazioni economiche e demografiche”. Anzi, con molto realismo, Burguière (1997)[4] segnala che “lungi dal costituire l'armonia felice postulata da Le Play, la famiglia-ceppo, indicando generalmente un solo figlio come erede di tutti i beni familiari, provocava una terribile rivalità tra i figli, fonte di una non indifferente criminalità familiare osservata, ad esempio, in Francia, negli Archivi giudiziari delle Corti meridionali durante il XVIII Secolo”.

Schneider (1990)[5] rimarca che, nella Francia della c.d. “terza Repubblica”, l'alcolismo, i flussi migratori e le guerre europee di quel periodo “recarono ad una crisi morale, alla crisi dei valori tradizionali, in una parola: alla crisi della civilizzazione. Ora, la famiglia era la prima valvola di sfogo di tutte queste angosce [sociali]”. P.e., Durkheim (1906)[6] si opponeva strenuamente, in quel periodo, al divorzio consensuale, che, secondo tale Autore, “mette in crisi l'istituzione del matrimonio e cagiona una grave malattia sociale, di cui il tasso di suicidio è il sintomo evidente”. E' proprio tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento che prende forma l'idea della “dissociazione familiare” quale spiegazione primaria della delinquenza. P.e., il medico penitenziario Raux (1890)[7] affermava che i giovani infrattori, di solito, giungono a delinquere per causa di nuclei familiari d'origine devastati e profondamente criminogeni. Le tesi di Raux (ibidem)[8]prolungarono il loro fascino culturale almeno sino agli Anni Settanta del Novecento. In effetti, Gassin (1994)[9] postula che “da molto tempo si è scoperto che esiste una correlazione significativa tra il divorzio e la criminalità, specialmente se si prende in considerazione non il numero di divorzi in valore assoluto, bensì la loro percentuale in rapporto ai nuovi matrimoni […]. Il divorzio può essere considerato come la più grave perturbazione familiare che possa abbattersi sulla formazione della personalità del bambino”.

Anche negli Anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, molti Dottrinari ponevano in stretta relazione la dissociazione familiare con le carenze affettive della prole. Pure negli Anni Settanta del Novecento, la crisi della famiglia tradizionale aveva riacceso il dibattito circa la necessità di una crescita armoniosa dell'infante, anche all'interno delle famiglie “monoparentali”, ossia costituite dalla sola madre/dal solo padre separato/a. Come osservato da Lefaucheur (1994)[10], “gli stravolgimenti della famiglia contemporanea, anche ai nostri giorni, formano l'oggetto di una mai sopita preoccupazione e di una forte inquietudine da parte di numerosi educatori e psicologi”.

 

La de-istituzionalizzazione del matrimonio e l'assenza del padre

Nei Paesi occidentali contemporanei, esistono più tipi di famiglia: quella monoparentale (spesso con il padre ignoto), quella allargata dopo il divorzio, quella formata da conviventi o semi-conviventi e quella costituita da coppie omosessuali. Siffatta trasformazione ha inerito ormai tutti gli aspetti della vita familiare, in tanto in quanto, come evidenzia Fize (1990)[11], “l'evoluzione legislativa assicura l'eguaglianza giuridica tra i sessi; l'evoluzione economica consacra la crescita continua del tasso di attività professionale delle donne; l'evoluzione della mentalità, al pari dell'evoluzione giuridica, proteggono sempre meglio i diritti del bambino. Indipendenza, individualizzazione, privatizzazione, democraticizzazione, contrattualizzazione sono i concetti generalmente impiegati dai sociologi per razionalizzare queste evoluzioni”. Tuttavia, i cc.dd. “traguardi” di civiltà, presso le fasce sociali più emarginate, “hanno avuto un effetto contrario di precarietà sociale” (Commaille, 1996)[12]. Oppure ancora, Roussel (1989)[13] ha affermato che i cambiamenti sociali non sempre sono stati positivi, come dimostra la “de-istituzionalizzazione” del matrimonio, innestata, a sua volta, in una “società senza istituzioni”, dunque preda della più totale anarchia. Anzi, secondo Neyrand (2000)[14] è venuta meno pure la figura istituzionale del paterfamilias, tanto che “dopo gli Anni Ottanta [del Novecento], molti Autori di diverse discipline (medici, clinici, scrittori, giornalisti) si sono interrogati, non senza inquietudine, sulle conseguenze dei cambiamenti [sociali] che hanno minato le fondamenta della figura del padre”.

Assai pertinentemente, Neyrand (ibidem)[15] ha rilevato che “da un lato, si enfatizzano le gioie dell'essere padre, tanto che i ricercatori insistono sul ruolo del padre nelle interazioni precoci con il bambino. Dall'altro lato, non soltanto le nuove tecniche di procreazione medicalmente assistita, ma anche e soprattutto l'aumento del numero dei divorzi e delle famiglie monoparentali recano numerosi Autori ad interrogarsi sull'assenza del padre”. Dunque, la paternità non è limitata alle false allegrie dégagées presentate dai mass-media, in tanto in quanto il ruolo del paterfamilias impone pesanti oneri e responsabilità. Entro tale ottica, si colloca pure Lefaucheur (1997)[16], secondo cui “il tema [della mancata paternità] proviene, essenzialmente, dal campo psico-pedagogico e psicanalitico e concerne una sorta di morte del padre, della sua scomparsa, reale o simbolica, della sua dissoluzione all'interno dell'indifferenziazione sessuale”. In Europa e nel Nordamerica, a partire dagli Anni Ottanta e Novanta del Novecento, la latitanza della figura paterna è stata aggravata all'aumento dei divorzi, dall'affido pressoché esclusivo della prole alle madri, dall'istituzione della potestà bi-genitoriale e dalla evoluzione eccessivamente progressista del Diritto di famiglia. Anche Pitrou (1996)[17] amaramente asserisce che “nei mass-media, taluni non esitano a drammatizzare la questione. Si legge sui giornali che, in una trentina d'anni, avanguardie giuridiche e progresso scientifico si sono alleati per gettare via il ruolo dei padri. La figura del padre è stata eliminata in tre decenni a causa dell'alleanza tra il femminismo, la pillola e lo spirito del progresso. Pure i Magistrati si sono resi complici di questo fenomeno attribuendo quasi sempre la custodia dei figli alle madri [separate]”.

Lo psicanalista Théry (1993)[18] reputa che l'assenza della figura paterna è una ”rottura dei legami sociali [unita] a quattro fenomeni traumatici: il divorzio, il suicidio, i disturbi sessuali e le tossicodipendenze”. In definitiva, Théry (ibidem)[19] ribadisce, seppur implicitamente, che il bambino, per una crescita equilibrata, necessita tanto della figura materna-femminile, quanto di quella paterna-maschile. La psicanalisi, in particolar modo con Husterl (1996)[20] insiste molto sulla basilarità del paterfamilias, ovverosia “secondo la teoria psicanalitica, il padre ha una funzione psicologica universale e necessaria, quella di permettere al bambino di uscire dalla fusione con la madre, di recidere il cordone ombelicale, di entrare nel mondo del linguaggio e della cultura, di riconoscere che egli ha due genitori, dunque di identificare la differenza tra i due sessi, di fargli riconoscere il tabù dell'incesto”. L'uccisione socio-comportamentale della figura paterna è profondamente diseducativa, in tanto in quanto, come precisano Poussin & Sayn (1990)[21], “l'assenza del padre incide negativamente sull'auto-costruzione del bambino, sulla sua maturazione, sulla sua individualità e sul suo equilibrio affettivo e sessuale”. Per la verità, non mancano pedagoghi che teorizzano una vera e propria catastrofe educativa. P.e, profondamente pessimista è Dumas (1999)[22], a parere del quale “nel corso dell'ultima trentina d'anni, la figura paterna si è a poco a poco disfatta. Le conseguenze sono fetide. Un numero impressionante di bambini non vede mai i padri, la delinquenza si sviluppa nelle città e nelle periferie e le istituzioni prendono in carico la salute mentale di bambini distrutti […]. Le nostre società si dovranno sempre più confrontare con una massa di bambini senza padre, una sorta di nuovi anormali che diventeranno delinquenti, malati mentali, suicidi, devianti sessuali e tossicomani”. Chi redige non può non notare che Dumas (ibidem)[23] è troppo vicino ad un determinismo criminologico di stampo lombrosiano. La criminogenesi, anche nel caso dei figli/delle figlie di separati, non segue criteri fenomenologici algebricamente immutabili.

 

Le famiglie dissociate e la delinquenza

L'interrogativo fondamentale consta nella domanda se la famiglia dissociata sia o non sia maggiormente criminogena rispetto ai nuclei familiari non divisi.

Sotto il profilo statistico, Wells & Rankin (1991)[24] precisano, da subito, che è erroneo limitare le statistiche criminologiche alla sola popolazione giovanile detenuta/ex detenuta. Parimenti, Choquet (1998)[25] ribadisce la necessità metodologica di sottoporre ad intervista anche gli infra-18enni ed i giovani adulti che non hanno mai riportato sentenze di condanna passate in giudicato.

Ciò premesso, Hirschi (1969)[26] nonché Voorhis & Cullen & Mathers & Garner (1988)[27] hanno rilevato che i figli di famiglie disgregate costituiscono una percentuale più elevata tra i ragazzi seguiti dall'AG e tra i minorenni condannati; invece, gli infra-18enni di famiglie non divise hanno, tendenzialmente, meno contatti problematici con la PG e l'AG. Dunque, Chamboredon (1971)[28] postula che “[la provenienza maggioritaria da famiglie disgregate, ndr] si traduce in un duplice effetto di stigmatizzazione. Da un lato, cresce il pregiudizio secondo cui un genitore solo sarebbe meno capace di allevare correttamente e di controllare un figlio [mentre] così non è nella famiglia stabile apparentemente unita. Dall'altro lato (anzi, soprattutto) [la maggior devianza dei figli di separati] sarebbe la conseguenza diretta di un fatto sociologico: le famiglie dissociate ed i giovani delinquenti si incontrano, principalmente, negli stessi luoghi emarginati [e criminogeni], da cui il legame apparente [della delinquenza giovanile] con i contesti socio-economici depravati”. Analoghe osservazioni provengono dall'analisi delle statistiche criminologiche allestite dai servizi sociali dei vari Ordinamenti europei (Johnson, 1986)[29]. Oppure ancora, si pensi alla problematicità scolastica dei figli di divorziati (Amato, 1991)[30].

In buona sostanza, come rimarcato da Trépanier (1995)[31], il mito della famiglia criminogena è stato, è e sarà perenne, giacché “la decisione di intervenire nella situazione di un minore delinquente non è proporzionata esclusivamente alla gravità delle infrazioni commesse. Essa dipende anche dal timore dell'operatore pedagogico che un giovane delinquente possa trasformarsi in un vero delinquente. Ogni operatore [pedagogico] ha un proprio metro valutativo, che gli permette di interpretare la realtà e di prendere le decisioni di cui egli sarà responsabile. E' sufficiente che un numero elevato di Operatori reputino che le famiglie de-istituzionalizzate rechino alla delinquenza perché nelle statistiche ufficiali cresca il numero dei giovani delinquenti oriundi da famiglie disgregate. Molto spesso, i risultati dei lavori di ricerca riflettono, più o meno, i pregiudizi che guidano gli educatori nei loro interventi”. Come si nota, Trépanier (ibidem)[32] mette in guardia dalle statistiche amatoriali o populistiche che creano falsi allarmi sociali. La famiglia divisa non è automaticamente criminogena. Nelle osservazioni di Trépanier (ibidem)[33] è interessante notare il rigetto delle formule precostituite per finalità demagogiche. E' necessario rimanere consapevoli che pure le statistiche criminologiche sulla devianza giovanile possono essere facilmente falsate a seconda delle antipatie o, viceversa, delle simpatie ideologiche nei confronti dell'istituzione familiare classicamente intesa.

Anzi, molto spesso, i censimenti criminologici non possiedono nemmeno una definizione tecnica dei lemmi “famiglia dissociata”. P.e, nel linguaggio comune, è “dissociata” una famiglia ove il padre o, meno spesso, la madre, è assente, ma, come evidenziato da Wells & Rankin (1986)[34] “[questa] assenza può avere molteplici forme: decesso, divorzio o separazione, conflitto temporaneo, mutamento di professione, prestazione del servizio militare, ospedalizzazione, incarcerazione. Essa può, inoltre, essere parziale o totale, volontaria od involontaria, reversibile od irreversibile. Ora, è raro che gli studi [meramente] quantitativi tengano conto di queste sfumature dinamiche essenziali”. Dunque, anche Wells & Rankin (1986)[35] mettono in guardia da un approccio a-tecnico nei confronti della problematica dell'assenza della figura paterna.

 

Forme e relazioni familiari

Secondo Wilkinson (1980)[36] la dissociazione familiare ha un'importante influenza sulla precocità dell'assunzione di droghe leggere. Tuttavia, a prescindere da tale dettaglio, la Dottrina criminologica ha censito che i figli di coppie separate, in generale, pongono in essere solo devianze bagatellari o atti di auto-lesionismo. P.e., Flewelling & Bauman (1990)[37] notano che “in fondo, il legame tra famiglia dissociata e delinquenza è sciappo o nullo per i delitti gravi (furti e comportamenti violenti). [Tale legame] è un po' più forte per il consumo di droghe (soprattutto leggere) e soprattutto esso è significativo per i comportamenti problematici (fughe, assenteismo scolastico e problemi di disciplina nella classe scolastica)”. Analoghe sono le osservazioni di Junger-Tas & Ribeaud (1999)[38], a parere dei quali “[questo] dev' essere un punto fermo: i problemi familiari sono legati al consumo di droga ed allo scarso rendimento scolastico, non alla delinquenza ed alla criminalità”.

Interessante è pure lo Studio di Cernkovich & Giordano (1987)[39]. I due testé menzionati Autori, dal 1982 al 1987, hanno selezionato un campione-prova per sesso, nazionalità, età e, soprattutto, per struttura familiare. 462 intervistati vivevano con tutti e due i genitori, 265 solo con la madre, 103 con la madre ed un patrigno. In totale, sono stati censiti 800 ragazzi/e dai 12 ai 19 anni d'età. In particolar modo, sono state analizzate sette variabili quantitative, ovverosia:

  1. il controllo e la supervisione (uscite ed entrate, frequentazioni, ritorno a casa dopo la scuola)
  2. il riconoscimento e la valorizzazione identitaria (ascolto, domanda del parere, testimonianza di fierezza/autostima)
  3. l'affetto e la confidenza (i genitori seguono il bambino a scuola ? Gli danno affetto ? Non lo lasciano sbagliare ? Ricompensano lo sforzo ? Sono fieri del figlio ? Gli danno fiducia ? Gli stanno vicino ?)
  4. la comunicazione intima (parlano dei suoi amici ? Parlano di sessualità ? Gli fanno esprimere i suoi eventuali sensi di colpa ?)
  5. la comunicazione strumentale, vale a dire la comunicazione riguardante gli altri problemi importanti (la scuola, i progetti per l'avvenire, i problemi con gli amici, le relazioni con gli insegnanti)
  6. l'opinione dei genitori sugli amici/sulle amiche (cosa pensano i genitori degli amici e dei/delle fidanzati/e ?)
  7. il conflitto (frequenza delle liti, frequenza dell'evitare certe tematiche per non ingenerare liti, frequenza dei rimproveri)

Dopo un'attenta analisi delle summenzionate sette variabili qualitative, Cernkovich & Giordano (ibidem)[40] concludono che “nessuno dei sette fattori è direttamente correlato alla struttura familiare […] Anche il peso delle variabili non è esattamente lo stesso secondo le strutture: la mancanza di valorizzazione, la mancanza di comunicazione strumentale, il conflitto e la mancanza di controllo e supervisione sono diffusi [paradossalmente, ndr] anche nel caso delle famiglie complete, mentre la mancanza di controllo e supervisione tange soprattutto il caso delle madri sole […]. Dunque, in ultima analisi, la monoparentalità ha come principale inconveniente di ridurre potenzialmente le capacità di sorveglianza parentale […] [e] le famiglie monoparentali faticano ad evitare certi rischi, ma in nessun caso si ha un effetto di maggiore criminogenesi [nelle famiglie dissociate]”. Dunque, dal censimento criminologico di Cernkovich & Giordano (ibidem)[41] si evince che la monoparentalità non ha conseguenze pedagogiche gravi, in tanto in quanto essa favorisce devianze blandamente anti-sociali, ancorché non acutamente anti-giuridiche.

Utile è pure la Ricerca scientifica di Voorhis & Cullen & Mathers & Garner (ibidem)[42]. Tali quattro Autori hanno valutato, tanto nelle famiglie ordinarie quanto in quelle separate o monoparentali, le seguenti sei variabili: il maltrattamento dei bambini, l'affetto tra genitori e figli, la frequenza dei litigi nella famiglia, la supervisione genitoriale, il piacere di stare a casa e la qualità globale delle relazioni in famiglia. Sempre in tale Opera del 1988, con il lemma “criminalità” si è inteso indicare: i delitti contro la proprietà, i comportamenti violenti, il consumo di droghe e le scorrettezze in ambito scolastico/domestico, come fughe, assenteismo scolare e problemi di disciplina in casa o a scuola. Il campione statistico era formato da 152 adolescenti di pelle bianca, maschi e femmine di età compresa tra i 14 ed i 19 anni e residenti in piccoli paesi di non più di 15.000 abitanti. Ora, anche nel caso di Voorhis & Cullen & Mathers & Garner (ibidem)[43], la conclusione è stata che “gli effetti della dissociazione familiare sulla delinquenza dei figli sono scarsi. Solo la disciplina scolastica è peggiore nelle famiglie di separati […]. La dissoluzione della famiglia non reca a conseguenze criminogene, tranne per la variabile del controllo della prole”.

 

L'impatto del divorzio sulla devianza della prole

Bourguignon & Rallu & Théry (1985)[44] ha evidenziato che “non è il divorzio, ma il fatto che esso sia o meno accompagnato e seguito da un conflitto che è causa di turbe nel bambino. Senza conflitto, il divorzio è un momento d'angoscia che non lascia per nulla strascichi di medio e lungo periodo”. Tutta la Dottrina anglofona conferma che la dissociazione familiare non è o, quantomeno, non è necessariamente ed automaticamente criminogena.

Evidentemente, il figlio di una coppia divorziata non sarà sempre un delinquente, ma patirà, senza dubbio, sofferenze morali. D'altra parte, Amato & Keith (1991)[45] chiariscono anch'essi che “il divorzio ha degli impatti parziali, eppur reali sulla salute fisica e mentale della figliolanza”. Il panorama non è idilliaco nemmeno in Kot & Shoemaker (1999)[46], i quali negano il ruolo criminogenetico delle separazioni, ma sottolineano che “bisogna distinguere gli effetti del divorzio a seconda dell'età della figliolanza. Allo stato attuale delle Ricerche, per quanto riguarda l'infanzia, gli Studi sono tra di loro contraddittori. Mentre, per l'adolescenza, è assodato che l'esistenza di un conflitto genitoriale provoca disturbi psicofisici. Analogamente, è accertato che il disturbo maggiore che provoca il divorzio, presso gli adolescenti, è la depressione. E questa depressione, a sua volta, ha ripercussioni sui risultati scolastici, che saranno poi ripercussioni sulla vita professionale e sulla vita amorosa dell'adolescente, che poi avrà problemi anche da adulto”. Tuttavia, come si può notare, anche Kot & Shoemaker (ibidem)[47] negano la potenzialità criminogenetica del divorzio sulla prole. Ottimisti sono pure Demo & Acock (1988)[48], a parere dei quali “la separazione o il divorzio generano tensioni e angoscia e certamente essi hanno degli effetti sui comportamenti dei bambini, ma si tratta di effetti esclusivamente temporanei. Il divorzio, in fondo, è una crisi di transizione tra un equilibrio di relazioni familiari ed un altro”. Ecco altri Dottrinari che confermano la sofferenza etica dei figli, ma negano la nascita automatica di devianze illecite nella prole di genitori divisi.

Similmente, Devrillon (1996)[49] minimizza l'impatto psicologico del divorzio nel lungo periodo, in tanto in quanto “nel corso del primo anno post-divorzio, le madri si mostreranno più autoritarie, più direttive, meno flessibili nel regolare la vita domestica […]. I padri, fuggiti altrove o esclusi, con contatti episodici, fanno marcia indietro e si impegnano meno nell'applicazione di regole di condotta, si rivelano più oblativi. Quanto ai bambini, essi debbono gestire lo stress e le relative conseguenze […] devono superare o nascondere un notevole senso di colpa. Ma ciò che è vero per il primo anno, poi non lo sarà più. Verso la fine del secondo anno, si assiste spesso ad un relativo riequilibrio delle relazioni. Le madri si rivelano più pazienti e reattive […] I padri diventano più premurosi ed i bambini si mostrano più collaboranti […] Lo stress della coppia diminuisce e la funzione genitoriale si ristabilisce”. Pertanto, nemmeno Devrillon (ibidem)[50] predica un nesso eziologico diretto e deterministico tra la separazione/divorzio dei genitori e l'eventuale carriera delinquenziale dei figli. Rimangono soltanto ripercussioni morali e una maggiore propensione ad esperimentare sostanze d'abuso, ma in maniera episodica e senza gravi conseguenze anti-normative.

Non diversa è l'opinione di Furstenberg & Teitler (1994)[51], ovverosia “gli effetti del divorzio non si manifestano in maniera diretta ed univoca sulla psiche e gli affetti degli individui. Tutto dipende, in realtà, dall'insieme della dinamica familiare in cui questi effetti prendono forma e impatto. Bisogna anzitutto sapere se il funzionamento familiare è radicalmente cambiato o meno a causa della separazione […]. Bisogna sapere, inoltre, se la famiglia monoparentale è sola e chiusa in se stessa, oppure se altri familiari (come i nonni) sono presenti nel contesto affettivo del bambino […]. Diversamente detto, non è la separazione in sé che ha degli effetti, ma il fatto che essa sia accompagnata o meno da un conflitto tra i genitori e/o se essa disgreghi o meno le relazioni che il bambino intrattiene personalmente con uno o entrambi i genitori”. Per analogia, il figlio di una famiglia dissociata delinquerà o meno non per causa della dissociazione genitoriale, bensì a motivo di tutto l'insieme dei fattori familiari ed affettivi che hanno accompagnato l'eventuale separazione/divorzio. Del pari, McCord (1982)[52] evidenzia che le fughe da casa, la mancanza di attenzione a scuola, i problemi di disciplina e la tossicodipendenza/alcoldipendenza non sono problematiche che affliggono soltanto la prole di divorziati. Si tratta di comportamenti devianti,tra l'altro meramente auto-lesivi, che vanno contestualizzati, anche quando essi fanno la loro comparsa in famiglie della media o alta borghesia. La dissoluzione della famiglia non è una chiave ermeneutica universale; né, tantomeno, le condotte borderline si protraggono sempre e comunque per tutta la vita dell'adolescente in fase evolutiva. E' molto raro che un giovane infrattore inizi una vera e propria carriera criminale.

Illuminante è pure Martin (1997)[53], il quale evidenzia che “non v'è dubbio che il divorzio non è mai un avvenimento insignificante nella vita di un bambino o di un adolescente, ma appare chiaramente che esso, in sé e per sé, non è un fattore di turbe psicologiche durature. Tutto dipende dal modo in cui questo avvenimento incide sul sistema globale delle relazioni familiari, vale a dire sulle relazioni tra i genitori e sulle relazioni tra i genitori ed i figli […]. Quando questo sistema di relazioni familiari è profondamente scosso dal divorzio, gli effetti maggiori sui bambini sono la depressione e l'ansia. Ciò può avere delle conseguenze comportamentali dirette in termini di agitazione e di cattivo rendimento scolastico. Inoltre, durante l'adolescenza, aumenta il rischio di consumo di droghe. Tuttavia, nessuna Ricerca ha stabilito che il divorzio abbia un impatto significativo sulla delinquenza ordinaria (aggressioni a beni, lesioni a persone)”.

Negli Anni Novanta del Novecento e nei primi Anni Duemila, solitamente la Criminologia, in Europa ed in Nordamerica, ha negato che sussista un legame diretto tra la delinquenza e la crisi dei matrimoni/delle convivenze. P.e., Le Blanc & McDuff & Tremblay (1991)[54] hanno concluso che “in Québec, come nella maggior parte dei Paesi occidentali, la delinquenza degli adolescenti tende a diminuire nel corso dell'ultimo decennio [gli Anni Ottanta del Novecento]. Sicché, la trasformazione dell'istituzione familiare e la traiettoria della delinquenza dei giovani evolvono su direzioni opposte”. Di diverso parere è Rutter (1980)[55], secondo cui esistono, in effetti, “cambiamenti familiari suscettibili di generare le delinquenza: l'evoluzione dei ruoli maschili e femminili (nei fatti, evidentemente, l'ingresso massivo delle donne nel mondo del lavoro), l'evoluzione (in un certo senso il miglioramento) delle condizioni di vita dei giovani e dei bambini, nonché l'evoluzione del modo di approcciarsi all'infanzia, l'evoluzione delle abitudini delle famiglie e del loro modo di formazione, l'evoluzione dei rapporti coniugali (in particolare, l'aumento dei divorzi) e il maggiore permissivismo nei confronti degli adolescenti”. In tema di “permissivismo” criminogeno nei confronti degli adolescenti, memorabili sono le pagine di Junger-Tas (1993)[56] e di Hirschi (1983)[57]. Chi scrive concorda appieno con Rutter (ibidem)[58], in tanto in quanto la dissociazione familiare/genitoriale non è mai un evento pedagogicamente neutro. La criminogenesi della separazione/del divorzio non è un evento raro o di breve periodo; il che non toglie la potenziale natura patogena anche delle famiglie non disgregate.

È molto prezioso il censimento criminologico di Le Blanc (1988)[59], il quale ha monitorato numerosi nuclei familiari del Québec dal 1970 al 1980, ovverosia durante un decennio ricco di trasformazioni sociali. Infatti, durante tale periodo, i genitori hanno innalzato il loro curriculum scolastico, è aumentata la disoccupazione genitoriale, si è evoluto il sistema dell'assistenzialismo degli Stati democratico-sociali, la percentuale delle madri lavoratrici è passata dal 40 al 67 %, quella delle famiglie monoparentali dal 18 al 26 % e le famiglie numerose sono diminuite di circa il 50 %. Dal 1970 al 1980, dunque, si sono verificati cambiamenti epocali nella struttura di quella cellula sociale primaria denominata “famiglia”.

Ora, Le Blanc (ibidem)[60] si dimostra ottimista con afferenza a tale mutamento dei costumi, in tanto in quanto, a parer suo, “si è globalmente ridotta la comunicazione tra genitori e figli e lo stesso vale per il tempo passato insieme. Tuttavia, si osserva un rafforzamento del controllo parentale indiretto [nelle scuole, ndr] ed un miglioramento nell'atmosfera delle famiglie (con la diminuzione del numero dei conflitti) […]. Gli adolescenti non si sentono più incompresi ed i loro genitori hanno modelli di identificazione altrettanto positivi. […]. La qualità della vita familiare non si è deteriorata nel corso dell'ultima decina d'anni [1970-1980], malgrado i cambiamenti importanti nella composizione della famiglia”. Chi commenta si dissocia dalla visione irrealistica di Le Blanc (ibidem)[61]. La disgregazione dei nuclei familiari forse non è “la” causa della criminalità giovanile, ma, certamente, essa è “una delle” cause della criminalità giovanile. Non è accettabile negare, in misura totale, l'impatto negativo della separazione coniugale sulla prole. D'altronde, anche Wells & Rankin (1991)[62] sottolineano che una famiglia patologica non è in grado di garantire una regolare educazione dei figli, né può mettere in atto sistemi di controllo a carico di bambini ed adolescenti. La famiglia non tradizionale non reca deterministicamente alla devianza infrattiva, ma il pericolo sussiste comunque. P.e., Glueck & Glueck (1950)[63], pur non scadendo nel catastrofismo, realisticamente notano che, seppur non in maniera algebrica, “la famiglia dissociata può interagire con altre variabili determinanti, come i conflitti genitoriali gravi e la povertà socio-economica”. Certamente, vanno evitate le esagerazioni di Lombroso e Ferri. P.e., Cassan & Toulemon & Kensey (2000)[64] evidenziano che “gli individui cresciuti in famiglie numerose sono sovra-rappresentati nella popolazione carceraria […] Bisogna guardare alle famiglie numerose per rinvenire dei fattori della delinquenza giovanile. Forse, il rilassamento del controllo genitoriale [nelle famiglie numerose] è il principale meccanismo esplicativo [della criminogenesi]”. Tuttavia, rimane il grave problema del consumo precoce di bevande alcoliche e stupefacenti. Secondo Choquet & Ledoux (1994)[65] “il consumo di droga varia, anzitutto, con l'età ed è più forte presso i maschi e presso i figli di famiglie dissociate per divorzio, separazione o decesso di uno dei coniugi. Sono egualmente legati alla tossicomania il modo di vita (la frequenza delle uscite fuori dal domicilio), l'insoddisfazione scolastica, il pessimo clima familiare e la vittimizzazione, soprattutto quella sessuale.

 

[1]Segalen, Sociologie de la famille, Armand Colin, Paris, 1981

[2]Le Play, La réforme sociale en France, Mame, Tours, 1878

[3]Collomp. Les formes de la famille. Approche historique, in Singly, La famille: L'état des savoirs, La découverte, Paris, 1991

[4]Burguière, Les fondements historiques des structures familiales, in Commaille & Singky, La question familiale en Europe, L'Harmattan, Paris, 1997

[5]Schneider, Quality and Quantity. The Quest for Biological Regeneration in Twentieth-Century France, Cambridge University Press, New York, 1990

[6]Durkheim, Le divorce par consentement mutuel, Revue bleue, 44, 5, 1906

[7]Raux, Nos jeunes détenus. Etude sur l'enfance coupable avant, pendant et après son séjour au quartier correctionnel, Masson & Storck, Paris & Lyon, 1890

[8]Raux, op. cit.

[9]Gassin, Criminologie, Dalloz, 3ème édition, Paris, 1994

[10]Lefaucheur, Psychiatrie infantile et délinquance juvénile. Georges Heuyer et la question de la genèse familiale de la délinquance, in Mucchielli, Histoire de la criminologie francaise, L'Harmattan, Paris, 1994

[11]Fize, La démocratie familiale. Evolution des relations parents-adolescents, Les Presses Renaissance, Paris, 1990

[12]Commaille, Misère de la famille, question d'Etat, Presses de Fondation Nationale des Sciences Politiques, Paris, 1996

[13]Roussel, La famille incertaine, Odile Jacob, Paris, 1989

[14]Neyrand, L'enfant, la mère et la question du père. Un bilan critique de l'évolution des savoirs sur la petite enfance, Presses Universitaires de France, Paris, 2000

[15]Neyrand, op. cit.

[16]Lefaucheur, Péres absents et droit au père: la scène francaise, Lien social et politique, Printemps, 1997

[17]Pitrou, Le mythe de la famille et du familial, in Kaufmann, Faire ou faire-faire ? Familles et services, Presses Universitaires de Rennes, Rennes, 1996

[18]Théry, Le démariage. Justice et vie privée, Odile Jacob, Paris, 1993

[19]Théry, op. cit.

[20]Husterl, La déchirure paternelle, Presses Universitaires de France, Paris, 1996

[21]Poussin & Sayn, un seul parent dans la famille. Approche psychologique et juridique de la famille monoparentale, Centurion, Paris, 1990

[22]Dumas, Sans père et sans parole. La place du père dans l'équilibre de l'enfant, Hachette, Paris, 1999

[23]Dumas, op. cit.

[24]Wells & Rankin, Families and delinquency: a meta-analysis of the impact of broken homes, Social Problems, 38, 1, 1991

[25]Choquet, Adolescents (14-21 ans) de la protection Judiciaire de jeunesse et santé, INSERM, Paris, 1998

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[30]Amato, The child of divorce as a person prototyp, Journal of Marriage and the Family, 53, 1991

[31]Trépanier, Les délinquants et leurs familles, Revue de droit pénal et de criminologie, 75, 2, 1995

[32]Trépanier, op. cit.

[33]Trépanier, op. cit.

[34]Wells & Rankin, The broken homes model of delinquency: analytic issues, Journal of Research in Crime and Delinquency, 23, 1, 1986

[35]Wells & Rankin, op. cit.

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[40]Cernkovich & Giordano, op. cit.

[41]Cernkovich & Giordano, op. cit.

[42]Voorhis & Cullen & Mathers & Garner, op. cit.

[43]Voorhis & Cullen & Mathers & Garner, op. cit.

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[47]Kot & Shoemaker, op. cit.

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[50]Devrillon, op. cit.

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[58]Rutter, op. cit.

[59]Le Blanc, Des années 1970 aux années 1980: changements sociaux et role de la famille dans l'explication de la conduite délinquante des adolescents, Annales de Vaucresson, 28, 1, 1988

[60]Le Blanc, op. cit.

[61]Le Blanc, op. cit.

[62]Wells & Rankin, op. cit.

[63]Glueck & Glueck, Unraveling Juvenile Delinquency, Harvard University Press, Cambridge, 1950

[64]Cassan & Toulemon & Kensey, L'histiore familiale des hommes détenus, INSEE Première, n° 706, 2000

[65]Choquet & Ledoux, Adolescents. Enquete nationale, Les Editions INSERM, Paris, 1994