Conferimento del TFR ad un fondo di previdenza complementare: natura retributiva o previdenziale? Effetti sul diritto del coniuge divorziato all’indennità di fine rapporto

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Conferimento del TFR ad un fondo di previdenza complementare: natura retributiva o previdenziale? Effetti sul diritto del coniuge divorziato all’indennità di fine rapporto

 

ABSTRACT: Il conferimento del TFR ad un fondo di previdenza integrativa comporta la sostituzione del gestore del fondo al datore di lavoro nella qualità di “obbligato” alla prestazione (novazione soggettiva) ed anche la sostituzione dell’obbligazione originaria facente capo a quest’ultimo, consistente nell’erogazione del TFR in una misura predeterminata per legge, con una nuova obbligazione, la cui entità varia a seconda dei risultati della gestione (novazione oggettiva). Quest’ultima, ai sensi dell’art. 1230 c.c., determina l’estinzione dell’obbligazione originaria, e pertanto la sostanziale “uscita” del lavoratore dal rapporto con il datore di lavoro e quindi da ogni vicenda legata alla “retribuzione”.

Pertanto, al suddetto conferimento deve essere attribuita una natura prettamente previdenziale, e non retributiva, con la conseguenza che il coniuge divorziato non potrà rivendicare alcun diritto sulla quota di TFR conferita.

 

The transfer of TFR to a supplementary pension fund involves the replacement of the fund manager with the employer as the “obligor” to provide the service (subjective novation) and also the replacement of the original obligation of the latter, consisting in the payment of TFR in a measure predetermined by law, with a new obligation, the amount of which varies depending on the results of the management (objective novation). The latter, pursuant to art. 1230 of the Civil Code, determines the extinction of the original obligation, and therefore the substantial “exit” of the worker from the relationship with the employer and therefore from any matter related to “remuneration”. Therefore, the aforementioned transfer must be attributed a purely social security nature, and not remuneration, with the consequence that the divorced spouse will not be able to claim any right to the TFR portion transferred.

 

L’art. 12 bis della Legge n. 898/1970 – di seguito “Legge” – stabilisce quanto segue: il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.

La Sezione Prima civile, con ordinanza interlocutoria n. 8375 del 30.03.2025, ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza della seguente questione: “se - tenuto conto che per orientamento già affermato la destinazione del TFR non modifica i diritti e gli obblighi nascenti da rapporto di lavoro e non incide sulle modalità di erogazione delle indennità di fine rapporto - il titolare dell’assegno divorzile conservi il diritto ad ottenere la quota del TFR maturato in capo all’ex coniuge anche nel caso in cui quest’ultimo faccia confluire l’intero TFR in un Fondo di previdenza complementare, ovvero se tale scelta comporti l’esclusione del diritto previsto dall’art. 12 bis della l. n. 898 del 1970, non percependo in tal caso l’ex coniuge obbligato alcuna indennità di fine rapporto, ma un capitale o una rendita periodica che non ha, secondo quanto già stabilito in sede di legittimità, natura retributiva ma solo previdenziale”.

La questione pertanto è la seguente: se al conferimento del TFR in un fondo pensione si attribuisce una natura retributiva, l’ex coniuge divorziato può legittimamente rivendicare diritti sul relativo importo che verrà accreditato al lavoratore; se, invece, a tale conferimento si attribuisce una natura previdenziale, l’ex coniuge non potrà reclamare alcun diritto.

La Sezione Prima Civile, nell’ordinanza interlocutoria in commento, sostiene quanto segue: il lavoratore, aderendo al fondo di previdenza integrativa, conferisce al datore di lavoro il “mandato” a versare al fondo stesso il maturando TFR (rapporto di provvista); il gestore del fondo poi provvederà ad erogare, sulla base dei versamenti fatti dal datore, la pensione integrativa, in virtù del rapporto associativo (di natura contrattuale) tra il lavoratore ed il fondo stesso (rapporto di valuta). Da tale distinzione, la stessa Sezione deduce che, malgrado il conferimento del TFR al fondo abbia un vincolo di destinazione previdenziale, le relative quote resta comunque “accantonate” presso il datore, sulla base del mandato sopra citato.

Il ragionamento della Sezione Prima sembra essere questo: è vero che il conferimento del TFR al fondo ha uno scopo previdenziale, ma è anche vero che le relative quote vengono comunque versate dal datore sulla base di un rapporto di mandato, e quindi il mandante (in tal caso, il lavoratore) potrà ottenere, in futuro, la pensione integrativa solo tramite un atto (il versamento) compiuto dal mandatario (il datore). Ciò, pertanto, comporta che in realtà il lavoratore, anche nel caso di adesione al fondo, non esce mai dal rapporto con il datore, in quanto questo è essenziale al fine di consentirgli di fruire, in futuro, dei benefici di tale adesione. Di conseguenza, poiché non si verifica in realtà mai un’uscita da detto rapporto, il conferimento del TFR al fondo mantiene una natura sostanzialmente “retributiva”.

Tuttavia, nel ragionamento della Sezione Prima appare esservi una contraddizione di fondo. Essa, infatti, afferma che “qualora invece, come nel caso in esame, il datore di lavoro insolvente non provveda al versamento, per inadempimento all’obbligazione assunta verso il lavoratore con il mandato ricevuto, il vincolo di destinazione impresso alle risorse (parte della retribuzione attuale o attesa con la maturazione delle quote di T.f.r.) non si attua, ma si ripristina la disponibilità piena del lavoratore di tali risorse, di natura retributiva”. La contraddizione è nel fatto che essa, da un lato, rivendica la natura sostanzialmente retributiva del conferimento del TFR al fondo, sulla base del rapporto di mandato tra lavoratore e datore, ma, dall’altro, afferma che tale natura emerge solo nel caso in cui il datore non adempia all’obbligo di versamento presso il fondo stesso. Il mandato, se ha un’efficacia tale da conferire al conferimento siffatta natura, dovrebbe produrre questo effetto “sempre”, ossia a priori, e non solo nel caso in cui il mandatario (datore) non adempia. Se si dice che il conferimento del TFR al fondo pensione acquista una natura retributiva solo nel caso di inadempimento del mandatario, ciò lascia intendere che invece, nella normalità dei casi, esso assume un’altra natura, ossia quella previdenziale.

Ma, al di là di questo, va rilevato quanto segue.

L’art. 38 della Costituzione così dispone: “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato”. L’obbligo statale è quello di assicurare al lavoratore – anche tramite la previdenza integrativa -  “mezzi adeguati alle esigenze di vita” che si manifesteranno nel momento in cui si verificheranno eventi i quali comporteranno la cessazione del rapporto di lavoro, e, di conseguenza, anche del diritto alla retribuzione. Pertanto, non appare “sensato” attribuire al relativo trattamento economico una natura “retributiva” quando il medesimo è stato concepito proprio per i casi di perdita del suddetto diritto. Il fatto che, ai sensi dell’art. 2120 c.c., il TFR si calcoli dividendo la “retribuzione” annua lorda (RAL) per 13,5, attiene soltanto al procedimento con cui si arriva alla quantificazione del medesimo, un aspetto, quest’ultimo, che tuttavia nulla a che fare con la finalità – squisitamente previdenziale – del relativo trattamento economico e quindi anche della scelta, del tutto personale del lavoratore, di trasferirlo ad un fondo pensionistico.

Di conseguenza, siccome il fine del sistema pensionistico – in base alla norma costituzionale, anche di quello “integrativo”, qual è quello rappresentato dalla previdenza complementare – non può che essere di tipo “previdenziale”, anche il conferimento del TFR a tale sistema non può, a sua volta, che assumere una natura ed una finalità previdenziali, e non retributive. Ciò in quanto – lo si ripete – non ha senso che si assegni una matrice “retributiva” ad un trattamento economico che viene erogato proprio perché il lavoratore non verrà più retribuito. 

Qui il tema è la previdenza “integrativa, ossia i contributi versati periodicamente dal datore di lavoro ai fini pensionistici vengono ad essere, per l’appunto, “integrati” dal conferimento, da parte del lavoratore, del TFR al fondo pensione.

In realtà, però, la prestazione che sarà erogata al lavoratore a seguito di tale forma “integrativa”, si configura come “sostitutiva” rispetto a quella che dovrebbe essere eseguita dal datore.

Infatti, se non ci fosse questo conferimento, il TFR verrebbe corrisposto direttamente dallo stesso datore all’atto della cessazione del rapporto (in ordine ai tempi di pagamento, ancora non c’è un chiaro riferimento normativo). Il conferimento, quindi, determina sostanzialmente una “novazione soggettiva” del rapporto, ossia una modifica del soggetto debitore: il TFR, anziché essere erogato direttamente dal datore, verrà ad essere corrisposto da un terzo (il gestore del fondo pensione).

Ebbene, parlare di “rapporto di mandato” quando la prestazione del terzo (ossia il gestore del fondo) è “sostitutiva” di quella che avrebbe dovuto essere resa dal “mandatario”, appare contraddittorio, per le seguenti ragioni.

Nella ricostruzione operata dalla Sezione Prima, il datore viene ad essere il tramite (mandatario) per consentire al lavoratore (mandante) di ottenere da un terzo (il gestore del fondo pensione) quei vantaggi (rendimento del fondo pensione) che il lavoratore stesso avrebbe potuto ottenere in altro modo (ossia corresponsione del TFR da parte del datore nella misura stabilita dalla legge) dal datore.

In sostanza, il datore, che inizialmente era “obbligato” verso il lavoratore e che quindi rivestiva la qualità di soggetto “tenuto alla prestazione nei confronti di quest’ultimo” (vedi obbligo di corresponsione del TFR all’atto della cessazione del rapporto di lavoro), adesso, con l’adesione del lavoratore al fondo pensione, viene ad essere “degradato” al ruolo di “mandatario”.

Ai sensi dell’art. 1703 c.c., mandatario è colui chesi obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto” del mandante. Il conferimento di tale incarico da parte del mandante si giustifica in quanto quest’ultimo intende avere come controparte non il mandatario bensì un terzo: in caso contrario, il mandante avrebbe concluso il contratto direttamente con lo stesso mandatario, ossia avrebbe desiderato che fosse proprio quest’ultimo (e non un terzo) a rivestire la qualità di soggetto “obbligato” nei suoi confronti.

Pertanto, il rapporto di mandato presuppone l’inesistenza, in capo al mandatario, della qualità di “controparte contrattuale del mandante”. Nel caso di specie, invece, il “mandatario” – ossia il datore – inizialmente era “obbligato” verso il “mandante” (lavoratore), essendo egli tenuto per legge ad erogare il TFR all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. A seguito del conferimento del TFR al fondo pensione, la sua qualità di “obbligato” è venuta meno, poiché in questa posizione è subentrato il gestore del fondo (novazione soggettiva).

Peraltro, alla tesi secondo cui il conferimento del TFR al fondo pensione configura una “novazione soggettiva”, ossia una sostituzione del soggetto debitore (il gestore del fondo, e non più il datore), si potrebbe replicare che, ai sensi dell’art. 8 comma 1 del D.lgs. 252 del 05.12.2005 (di seguito “D.lgs.”), il fondo di previdenza integrativa può essere finanziato non soltanto mediante “il conferimento del TFR maturando”, ma anche tramite “il versamento di contributi a carico … del datore di lavoro o del committente. Lo stesso principio è previsto anche dal comma 10 dello stesso art. 8 del D.lgs.: tale norma – dopo aver stabilito che “l'adesione a una forma pensionistica realizzata tramite il solo conferimento esplicito o tacito del TFR non comporta l'obbligo della contribuzione a carico del datore di lavoro” – precisa che “il datore può a sua volta decidere, pur in assenza di accordi collettivi, anche aziendali, di contribuire alla forma pensionistica alla quale il lavoratore ha già aderito”. Quindi, il fondo di previdenza integrativa può essere alimentato non soltanto dal TFR – il cui conferimento, come abbiamo visto, determina una modifica del debitore originario – ma anche dal versamento di contributi da parte del datore, ossia dello stesso debitore. Tali contributi sono rapportati ad una percentuale della retribuzione (lorda), e quindi il risultato è che il suddetto fondo viene ad essere costituito non solo dall’obbligazione assunta dal nuovo debitore (ossia il gestore del fondo), ma anche da prestazioni (i contributi) rese dal debitore originario (il datore), ragion per cui in realtà il fondo stesso “vive” anche di elementi correlati alla “retribuzione”, mentre il TFR conferito (novazione soggettiva) rappresenta soltanto “una parte” del medesimo.

Tale obiezione, tuttavia, appare superabile, anzitutto tenendo presente che il versamento di contributi da parte del datore rappresenta una mera eventualità, che si verifica solo nel caso in cui il datore decida, per l’appunto, di operare tale scelta (e quest’ultima, tra l’altro, comporterebbe a suo carico, in base all’art. 16 comma 1 del D.lgs., l’applicazione del contributo di solidarietà di cui all’art. 9-bis del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, contributo che invece, per espressa previsione della stessa norma, non si applica alle somme costituite dalle quote di accantonamento al TFR), e comunque considerando che, mentre, ai sensi dell’art. 2120 c.c., il TFR corrisposto dal datore “si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5”, invece quello conferito nel fondo pensione si rivaluta in base ai risultati della gestione finanziaria del settore in cui si è scelto di investire l’importo ad esso corrispondente. Di conseguenza, si verifica, oltre ad una modifica del soggetto debitore, anche un mutamento di quello che è l’ “oggetto” della prestazione. Ai sensi dell’art. 1230 c.c., la modifica dell’oggetto della prestazione comporta che una nuova obbligazione si sostituisca a quella originaria, la quale “si estingue”.

La domanda è: in questo caso, l’obbligazione originaria – e cioè quella del versamento del TFR da parte del datore di lavoro all’atto della cessazione del rapporto – si estingue?

Nel D.lgs., al lavoratore viene riconosciuto il diritto di revocare soltanto la scelta iniziale di mantenere il TFR presso il datore (art. 8 comma 7), e non anche quella, inversa, di aver aderito al fondo pensione. Di conseguenza, a seguito di tale irrevocabilità, si può fondatamente ritenere che l’obbligazione (originaria) del datore di lavoro si estingua.

Ebbene, tale estinzione, unitamente alla modifica del soggetto passivo del rapporto, sta a significare che il lavoratore, avendo optato per il conferimento del TFR al fondo pensione, “esce”, per quanto attiene a tale aspetto, dal rapporto con il datore di lavoro. La prestazione principale cui quest’ultimo è tenuto, risiede

nel pagamento della retribuzione, e comunque anche l’obbligazione contributiva ad egli facente carico è commisurata ad una percentuale “della retribuzione” lorda. Quindi la suddetta “uscita” comporta che al conferimento del TFR al fondo debba essere assegnata una funzione “previdenziale”, e non “retributiva”.

Di conseguenza, si deve ritenere che il coniuge divorziato non possa vantare alcun diritto sulla quota di TFR conferita ad un fondo di previdenza integrativa.