La riforma della previdenza forense e le sue contraddizioni

Previdenza forense
Previdenza forense

La riforma della previdenza forense e le sue contraddizioni

 

Dopo le osservazioni dei Ministeri Vigilanti, il Comitato dei Delegati ha rielaborato la proposta riformatrice che ora ritorna all’attenzione, non degli iscritti come avrebbe dovuto essere, ma dei Ministeri Vigilanti.

La riforma abbandona l’ipotesi velleitaria dell’opzione al contributivo per anzianità, per esercitare l’opzione al contributivo per tutti, in pro rata temporis, a far tempo dal 01.01.2025.

La conseguenza immediata è che chi si iscriverà in Cassa Forense dal 01.01.2025 inizierà un percorso che lo porterà, una volta maturati i requisiti di legge, a percepire la pensione contributiva, liquidata ai sensi della Legge 335/1995, senza integrazione al trattamento minimo.

Pare che un vantaggio in termini di “integrazione” sia previsto solo per il nuovo iscritto con 35 anni di integrale contribuzione, ma si dovrà leggere l’articolato, oggi sconosciuto agli iscritti.

Sarà quindi indispensabile offrire, sin da subito, al nuovo iscritto una tabella con la simulazione di quanto percepirà se verserà il solo contributo minimo, un contributo calcolato su un reddito medio o un contributo calcolato sul tetto pensionabile.

In tal modo l’iscritto avrà contezza del tasso di sostituzione che lo aspetta e che sarà, inevitabilmente, inferiore a quello garantito dalla pensione calcolata con il criterio retributivo e potrà così valutare il suo futuro previdenziale.

La cosa è ancora più urgente perché Cassa Forense, a mio giudizio in contrasto con le osservazioni ministeriali, avvalorate anche dal TAR Lazio, ha abbassato il contributo minimo per venire incontro ai molti Colleghi dai redditi inferiori ad € 30.000,00 annui.

Meglio sarebbe stato, con l’opzione al sistema di calcolo contributivo, introdurre la contribuzione soggettiva proporzionale e progressiva secondo scaglioni di reddito e questo per “universalizzare” l’intervento riformatore che oggi a me appare “elitario” anche perché prevede l’aumento di un punto del contributo soggettivo per gli anni 2025, 2026, 2027 senza alcuna parametrazione a scaglioni di reddito.

La visione elitaria della riforma a me appare ancora più evidente attraverso due interventi che sono stati proposti e cioè la reintroduzione dei supplementi di pensione in favore dei pensionati attivi e l’aumento del contributo modulare dal 10 al 20%.

La reintroduzione dei supplementi di pensione triennali, che erano stati giustamente aboliti dalle riforme precedenti, avevano consentito l’introduzione di un contributo, in gran parte di solidarietà, a carico dei pensionati attivi, inteso come un rafforzamento del patto di solidarietà intergenerazionale.

L’aumento del contributo modulare, a mio giudizio, va nella stessa direzione.

La legge di bilancio 2023, infatti, ha elevato il limite massimo di reddito per accedere al regime forfettario da 65 mila euro a 85 mila euro al contempo introducendo una clausola per cui al superamento dei 100 mila euro di fatturato, l’avvocato deve trasmigrare al regime ordinario, con obbligo di fattura con IVA e la tenuta della contabilità in regime ordinario.

Secondo i dati offerti da Il Sole 24Ore il 22 novembre 2022 (articolo di Francesco Machina Grifeo) con l’estensione della flax tax di cui sopra “cresce di qualche migliaio la platea di avvocati che può optare per il regime della tassa piatta. In particolare, ai circa 198 mila legali con un reddito professionale fino a € 65.000,00, si aggiungo altri 8 mila professionisti che potrebbero optare per il regime forfettario. Sono infatti 206.000 - su un totale di 241.000 iscritti alla Cassa – gli avvocati con un reddito professionale entro gli € 85.000,00 secondo le stime, dunque, rimarrebbero fuori 35.000 professionisti pari al 14,5% degli iscritti”.

Chi lavora nel regime forfettario non ha quindi interesse, fiscale, né alla modulare né ai fondi pensione.

La misura a me appare elitaria ma, probabilmente, più interessante per questa élite dal punto di vista fiscale perché con redditi alti diventa molto più conveniente abbattere l’imponibile IRPEF attraverso spese deducibili, come è appunto il contributo modulare che è interamente deducibile con la conseguenza di recuperare l’importo cosi versato dallo Stato.

Ma, per completezza di informazione, va detto che  la deduzione fiscale potrebbe non essere il criterio più importante nella scelta dello strumento da utilizzare per la previdenza complementare, dato che la contribuzione modulare non consente la personalizzazione dell’investimento.

Per una valutazione “funditus” dei problemi relativi alla contribuzione modulare vi suggerisco il libro di Marina Piovera “Previdenza forense e scelte finanziarie”, Cedam, 2022.