Dopo 30 anni dalla loro istituzione, si giustificano ancora le casse previdenziali private?

alba a Sirolo
Ph. Luca Martini / alba a Sirolo

Dopo 30 anni dalla loro istituzione, si giustificano ancora le casse previdenziali private?

 

Il mainstream corrente così la racconta: «Cassese ripercorre la storia normativa che ha portato alla privatizzazione delle casse dei liberi professionisti. Le casse, spiega il giurista, sono l’esempio di quei corpi intermedi il cui ruolo istituzionale e sociale è consacrato nella nostra carta costituzionale. Come tali, avrebbero dovuto essere sostenute nella loro autonomia e non contrastate e ridimensionate come invece è avvenuto con gli interventi normativi dell’ultimo trentennio. Sostiene Cassese che un primo e grave errore è stato quello di ritenere le casse, cui la legge ha attribuito la natura del tutto privatistica di fondazioni e associazioni, “organismi di diritto pubblico”. Il secondo errore, quello di assimilarle alle pubbliche amministrazioni applicando loro norme come quelle sulla spending review e sulle procedure di evidenza pubblica. Questa contaminazione tra natura privata e vincoli pubblicistici ha prodotto il risultato di “legare” le mani degli amministratori delle casse, vincolati da troppi controlli e formalismi nella gestione dei loro enti che corrono anche il rischio di vedersi, in futuro nemmeno tanto lontano, applicare il regime della responsabilità degli amministratori pubblici. Cassese invita l’Adepp a fare sentire forte la propria voce per recuperare la piena autonomia che fu appositamente “disegnata” per loro dal legislatore e ricorda che il fatto che le casse gestiscano un settore di importanza primaria per lo Stato e di rilievo costituzionale quale è la previdenza dei liberi professionisti, non può comportare la conseguenza di renderle enti pubblici, così come non sono pubbliche le banche, che gestiscono il credito e il risparmio. Cassese, citando Tocqueville, sottolinea che le differenze e le distanze tra casse e enti pubblici devono essere mantenute ferme come quelle tra il diritto amministrativo e il diritto privato, che “formano due mondi separati che non vivono mai in pace, e che non sono né abbastanza nemici né abbastanza amici per conoscersi bene”». (Fonte: Autonomia delle Casse previdenziali privatizzate, La lectio magistralis di Sabino Cassese all’Adepp, 17/06/2022 di Debora Felici).

Ho già trattato il tema su questa Rivista, con il mio “1994 – 2024: 30 anni di autonomia per le Casse di previdenza dei professionisti” del 29 aprile 2024, che qui ripropongo https://www.filodiritto.com/1994-2024-30-anni-di-autonomia-le-casse-di-previdenza-dei-professionisti.

Come ha scritto la prof. Antonietta Mundo nel suo L’inganno generazionale, Università Bocconi 2017, “Il patto tra generazioni richiede che si smetta di guardare al passato per ragionare seriamente di soluzioni per il futuro”.

Nel quadro complessivo dei cambiamenti demografici in corso, è possibile distinguere due situazioni principali: la denatalità e l’invecchiamento della popolazione.

Fattori cruciali che minano la sostenibilità demografica sono l’invecchiamento e l’aumento delle aspettative di vita.

Tra 15 – 20 anni il rapporto tra professionisti attivi e pensionati sarà di 1 : 1, il che significa che la sostenibilità del sistema previdenziale delle Casse dei professionisti dipenderà dal rendimento del patrimonio nel frattempo accumulato e questo introduce il concetto dell’alea delle pensioni, il che non mi pare in linea con l’art. 38 della nostra Carta Costituzionale.

Ma vi è di più perché oggi le Casse di previdenza dei professionisti sono un bancomat per lo Stato.

Lo continua a dire, con ragione,  anche il Presidente dell’Adepp!

«Le Casse, infine, non solo non pesano sullo Stato ma sono usate dallo Stato indebitamente per fare cassa. Oltre 2.650.000.000 di euro nelle casse dell’erario: 1.853.467.570 Euro sono versati a titolo di IRPEF, 44.558.662 di Euro per le addizionali comunali e 115.766.030 per le addizionali regionali. Tutti importi che gravano su pensionati e beneficiari delle azioni di Welfare. A ciò, poi, si aggiungono, cosa davvero strana per degli enti preposti al pagamento di pensioni, 640.569.517 di euro di tassazione sui rendimenti. Questi oltre 600 milioni all’anno rappresentano un di più rispetto agli standard degli altri Paesi europei, dove è, invece, chiaro che se investi il patrimonio per pagare delle pensioni che saranno tassate, quel patrimonio non deve essere a sua volta decurtato. Le Casse di previdenza privata svolgono la loro attività con investimenti responsabili perché devono, sempre, pensare ai propri iscritti e alle prestazioni di cui sono artefici. Ultimamente è stato affermato il concetto che non ci può essere una buona previdenza se non c’è un buon lavoro sottostante». (Fonte: Il Sole 24Ore)

Non ha quindi più senso mantenere in vita 18 Casse di previdenza private, con ulteriore dispendio di risorse sottratte ai montanti individuali.

Il primo passaggio dovrebbe essere la costituzione di un’unica Cassa per tutti i professionisti (la previdenza è uguale per tutti al di là delle singole specificità) per poi, se a fronte del bancomat non si ottengono garanzie da parte dello Stato sulla sostenibilità, che non può dipendere dai mercati finanziari, confluire nell’INPS.

Vogliamo guardare indietro o guardare in avanti come deve fare il saggio regolatore previdenziale?