Addio a Chick Corea, un gigante del pianoforte jazz
Sono le sette e venticinque di un venerdì un po' più triste degli altri, e sto scrivendo questo articolo ascoltando “My spanish heart” dopo anni che non lo sentivo. Ho appena avuto la tragica notizia. Dopo una breve malattia che lo aveva costretto ad abbandonare le scene se n'è andato tre giorni fa (ma la notizia è stata data soltanto stanotte) uno dei pianisti jazz e non solo più importante della storia della musica. Non solo jazz nelle sue dita, ma anche fusion e musica classica, in particolare Scarlatti e Maurice Ravel, che ne hanno chiaramente influenzato il gusto e il fraseggio.
È impossibile in poche righe ripercorrere la carriera di un gigante della musica come Chick Corea nato nel 1941 a Chelsea e cresciuto a pane e musica. Importantissimi i suoi incontri, primo tra tutti quello con il trombettista Woody Shaw col quale, nel 1966, firma il primo disco da leader, “Tones For Joan's Bones”.
La collaborazione che gli cambia la vita è quella iniziata verso la fine degli anni sessanta con Miles Davis, col quale firma dischi importanti e due pietre miliari come “In a silent way” del 1969 e “Bitches brew” dell’anno successivo.
Nel 1971 fonda il gruppo sperimentale di jazz-fusion "Return to forever" (indimenticabile l’omonimo disco di esordio del 1972 con il flauto e la voce suadente della grande Flora Purim e la copertina, magnifica, che ritrae un uccello che plana sull’acqua del mare). Con il gruppo nel corso di cinque anni inciderà sette indimenticabili album.
Con John Patitucci e Dave Weckl forma la "Chick Corea Akoustic Band" e costituisce parte integrante della "Elektric Band", formazioni con le quali suonerà per molti anni in tutto il mondo, vincendo premi e vedendo milioni di dischi.
Spesso annoverato tra i più grandi maestri del pianoforte moderno insieme a Keith Jarrett, Chick Corea a mio parere vantava una tecnica di base forse più solida anche se meno improvvisativa del collega Jarrett, più vocato alle esibizioni in solitaria senza programmi precostituiti. Senz'altro un pianista meno narcisista e più incline al confronto musicale insieme agli altri colleghi musicisti, tra i quali ricordiamo Pat Metheny, Dave Holland, Miroslav Vitous, John McLaughlin e Al di Meola. Lo ricordiamo anche in un recente sodalizio insieme al nostro Stefano Bollani. (ancora nella mente e nelle orecchie il loro concerto in duo a "Umbria Jazz" del 2009).
Autore di oltre cento incisioni come solista, leader e componente di band, ha lasciato un marchio indelebile nella musica Jazz con dischi e concerti indimenticabili. Tra tutti, ho scelto i miei sei dischi del cuore, non certo i più “importanti” ma quelli che mi hanno cambiato la vita in qualche modo:
“Return to forever” del 1972, con Stanley Clarke, Joe Farrell, Airto Moreira e Flora Purim;
“Inner space” del 1973, con vari musicisti tra cui Woody Shaw, Joe Farrell, Ron Carter e Joe Chambers;
“The Leprechaun” del 1976, con vari musicisti tra cui Anthony Jackson, Joe Farrell, Eddie Gomez e Steve Gadd;
“My spanish heart” del 1976, con vari musicisti tra cui Stanley Clarke, Jean-Luc Ponty, Don Alias e Steve Gadd;
“Fiends” del 1978, con Eddie Gomez, Joe Farrell e Steve Gadd (e la celebre e magnifica copertina con i puffi che suonano in quartetto musica jazz);
“Live in Zurich” del 1979, in duo col vibrafonista e amico Gary Burton (il mio primo concerto live che ho sentito nel 1980 a Bologna, in piazza San Martino).
Scelta difficile, perché ne avrei avuti almeno altri dieci da inserire, ma sono questi i dischi che hanno contribuito alla mia formazione, al mio crescere nella musica e con la musica di un autore che ha saputo vibrare perfettamente per simpatia insieme all’animo mio e a quello di almeno due generazioni di appassionati.
Insomma c'è poco altro da aggiungere: se n'è andata una stella splendente del firmamento del jazz e della musica contemporanea in generale. Ma, come amo dire in queste occasioni, le persone se ne vanno, i grandi restano e i giganti ti cambiano la vita.
Grazie Chick per le tue note, per i sorrisi, per la tua musica e per averci fatto sentire tutti un po' meno piccoli.