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T’insegno ad essere ricco

Povertà
Povertà

Un fastidioso rossore

Quando l’autunno inizia ad invecchiare il mondo, la Santa Chiesa c’invita a fare memoria di un santo che, nonostante i secoli, appare sempre giovane. Sto parlando di san Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia, fondatore dell’Ordine dei Frati Minori ed ispiratore di una vera e propria esplosione spirituale.

Ogni volta che qualcuno nomina questo celebre umbro, il primo concetto che balza alla nostra mente è quello della povertà. Quando accade, un moto volitivo c’invade il cuore, una luce verso cui tendiamo in modo misterioso e potente. Tuttavia, proprio come piante stanche, ben presto ci secchiamo, scivolando non verso un vero rifiuto, piuttosto in un silenzioso imbarazzo.

Pensare a Francesco ed alla sua vita ha da un lato il potere di mostrare la sublimità di uno stato, come la povertà, naturalmente spaventoso e ripugnante; dall’altro ci mette nella condizione di ammirare alla sua luce la nostra pochezza e di provare una vergogna che non comprendiamo fino in fondo. Difatti, se questa emozione applicata ad un peccato, ci riesce comprensibile, in questo caso la troviamo fastidiosamente fuori posto proprio perché associata a qualcosa di cui non riusciamo a vedere il male.

Come negare infatti che i beni di questa terra, e le bellezze loro associate, hanno una loro bontà che facilmente esperiamo quando ne godiamo. Si sarebbe quindi tentati, a fronte di questa impasse, di conservare il fulgido esempio di Francesco nel vasto alveo delle pratiche di pietà personale, di modo da poterlo da un lato ammirare, dall’altro ignorare con la massima serenità.

 

In una dozzina di denari

Può sorprendere, ma il buon domenicano, proprio in quanto “intellettuale”, sa quando è meglio lasciare che siano altri a parlare. Per questo io umilmente lascio la complessa questione della povertà di Francesco ai suoi numerosi  figli e figlie.

Proprio per lo stesso principio tuttavia mi sento in dovere di riprendere la medesima tematica in relazione al caro san Domenico. Il buon castigliano infatti praticava una povertà personale che poco aveva da invidiare a quella dell’Assisiate. Lungi da me volerne fare una competizione, vi dimostro tuttavia questa mia affermazione riportandovi un piccolo ma significativo episodio.

Negli Atti del processo di Canonizzazione del santo, venne interrogato un suo confratello, fra Giovanni di Spagna, il quale fu mandato nel 1216 a studiare a Parigi dallo stesso Domenico. Fra Giovanni raccontò ad un certo Stefano Salagnac che nel momento di partire, a piedi, verso la città francese esigette del denaro per il viaggio: Domenico, facendo leva sulla fiducia nella Provvidenza, si rifiutò e solo per l’insistenza di Giovanni, e dopo molte lacrime, il santo diede al confratello una piccola somma[1].

Questo episodio, edificante ma capace anche di far sorridere, mostra come anche per un uomo del XIII secolo alcune forme di santa povertà potevano apparire imbarazzanti. La ragionevolezza della richiesta del povero fra Giovanni sembra entrare in conflitto inesorabilmente con la posizione di Domenico, poiché si basano su due differenti concetti di necessità.

È proprio questo elemento infatti a determinare la nostra dimensione di povertà: ipotizzando la retta coscienza, ognuno si spoglierà materialmente fino a raggiungere ciò che personalmente ritiene necessario, alla sua vita ed al suo ufficio. Vediamo quindi che se la necessità possiede, nel servizio da svolgere, un carattere obiettivo, pur se non assoluto, ha tuttavia nell’ambito personale una dimensione puramente soggettiva.

 

Maestra Povertà

La natura variabile della concretizzazione della povertà rende evidente che l’elemento santificante ad essa connesso non è l’esercizio concreto. Con ciò voglio dire che, preso atto dell’importanza di tradurre in azione la semplice volizione di una vita povera, sia una concezione vicina a quella di san Domenico sia una invece più alla fra Giovanni sono lecite e sante.

Se ciò è vero, allora ogni insegnamento circa la povertà, finanche quello massimo di Francesco, deve generare non un’imitazione infantile, ma una sapienziale, che ne colga l’istanza da applicare a quello specifico che è l’individuo.

Proprio da qui nasce l’imbarazzo: dalla necessità implicita, per l’anima bramante Dio, di non gettare la propria vita per una nuova, bensì di ravvivare e riparare quella vecchia con il nuovo. Per comprendere non come vivere da povero, ma come rendere povera la nostra vita, forse può aiutarci san Tommaso d’Aquino il quale, trovando in Abramo il modello del santo ricco, scrisse: E in questo modo fu perfetto Abramo, possedendo bensì le ricchezze, ma non tenendoci legato l’animo che teneva unito a Dio; e questo viene significato dalla parola del Signore quando gli disse: «Cammina alla mia presenza e sii perfetto», come per mostrare che la sua perfezione consisteva in questo, che camminava alla presenza di Dio, amando Lui fino al disprezzo di sé e di tutte le cose sue; il che dimostrò specialmente nell’immolazione del figlio[2].

Ciò che gli esempi di santa povertà c’insegnano è un disprezzo verso le cose che non consiste in una svalutazione, ma in una razionale comprensione del loro posto nella nostra vita; questo ci permetterà di porle nella giusta relazione con Dio, gioendone solo nella misura in cui ci permettono di rendere a Lui gloria.

Ecco che quindi la rinunzia ai beni e le privazioni di cui questi santi ci mostrano la bellezza hanno senso non come costituenti la povertà in sé, ma come premesse a quella vera del cuore: chi la possiede può come san Paolo, dire […] ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco;[…][3].    

 

[1] Cfr Atti del processo di Bologna, nota 52, in Pietro Lippini, San Domenico visto dai suoi contemporanei, ESD, Bologna 1998, pp. 465-466.

[2] Cfr S. Tommaso d’Aquino,  De perfectione spiritualis vitae (trad. Tito Sante Centi), cap. 8, in La perfezione cristiana nella vita consacrata, ESD, Bologna 1995.

[3] Cfr Fil 4, 12.

Libri ESD consigliati

Pietro Lippini, San Domenico visto dai suoi contemporanei, ESD, Bologna 1998.

S. Tommaso d’Aquino,  La perfezione cristiana nella vita consacrata, ESD, Bologna 1995.