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Sante guerriere: Santa Giovanna e Santa Teresa

Raffronto storico e fideistico cristiano di due sante guerriere
Jean-auguste-dominique ingres, giovanna d'arco alla consacrazione di re carlo VII nella cattedrale di reims, 1855
Jean-auguste-dominique ingres, giovanna d'arco alla consacrazione di re carlo VII nella cattedrale di reims, 1855

Sante guerriere: Santa Giovanna e Santa Teresa

 

Abstract

L’energia che attraversa la storia e il mondo è l’amore di Dio, che ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito. Questo amore ci rende vivi e capaci, a nostra volta di amare. Dio non s’offende se, quando cominciamo ad amare, non cominciamo con l’amare Lui. Egli è l’Amore ed è già felice se ci impegniamo ad amare gli altri, se li amiamo come Lui li ama, ossia donando. Scriveva sant’Agostino: «Nessuno dica: “non so che cosa amare”. Ami il fratello ed amerà l’amore stesso…». Chi ama davvero, chi ama donandosi e donando giungerà prima o poi a conoscere Dio perché Dio, proseguiva S. Agostino, «gli sarà più noto che il fratello; molto meglio noto, perché più presente; più noto perché più interiore; più noto perché più certo. Abbraccia il Dio amore e abbraccia Dio con l’amore» (De Trinitate, VIII, 8, 12: PL 42, 957).

Abstract

The energy that runs through history and the world is the love of God, who loved the world so much that he gave his only begotten Son. This love makes us alive and capable, in turn, of loving. God is not offended if, when we begin to love, we do not begin by loving Him. He is Love and is already happy if we commit to loving others, if we love them as He loves them, that is, by giving. Saint Augustine wrote: «Let no one say: “I don’t know what to love”. Love your brother and you will love love itself...". He who truly loves, he who loves by giving himself and by giving will sooner or later come to know God because God, continued St. Augustine, «will be better known to him than his brother; much better known, because more present; better known because more internal; better known because more certain. Embrace the God of love and embrace God with love" (De Trinitate, VIII, 8, 12: PL 42, 957).


Vergini, guerriere e Sante

Le donne continuavano ad essere condannate lungo tutto il medioevo dai teologi a causa del concetto del peccato originale. In epoca Post-Scolastica troviamo una reale e concreta “misoginia” ed una vera e propria persecuzione. Sarebbe stato assurdo che delle creature “peccaminose” potessero essere dei canali della Grazia Divina.

Sotto il profilo giuridico, Il Decretum Gratiani (1140) al quale si è ispirata la Legge Ecclesiastica in vigore fino al 1917, fece suo il giudizio dell’Ambrosiaster che giustificava lo stato di sottomissione delle donne con il loro ruolo nel peccato. “Ambrogio dice: ‘Le donne devono coprire le loro teste perché non sono ad immagine di Dio. Devono fare questo come segno della loro soggezione all’autorità e perché il peccato è venuto nel mondo attraverso loro. Le loro teste devono essere coperte in chiesa in onore del vescovo. Similmente non hanno l’autorità di parlare perché il vescovo è l’incarnazione di Cristo. Devono agire così davanti al vescovo come davanti a Cristo, il giudice, dal momento che il vescovo è il rappresentante di Dio. A causa del peccato originale devono mostrare la loro sottomissione.” (Decretum Gratiani Causa 33, qu. 5, c. 19).

In un classico esempio di contorto ragionamento teologico, il Decretum Gratiani afferma che nel Nuovo Testamento (che rappresenta uno stato di più perfetta grazia) le donne sono meno libere che nel Vecchio Testamento, perché ora devono portare la responsabilità del peccato originale! Questo ragionamento è direttamente collegato al divieto di ordinazione delle donne! Per comprendere il passo seguente, bisogna distinguere le domande (di un presunto novizio) dalle risposte dello stesso Graziano.

[Domanda] “Può una donna sostenere un’accusa contro un sacerdote ?
[Risposta] “Sembra di no perché secondo quanto dice Papa Fabiano nessuna accusa o testimonianza può essere portata contro un sacerdote di Dio da chi non ha, né può avere, il suo stesso stato. Le donne non possono essere elevate al sacerdozio né al diaconato e per questa ragione non possono portare nessuna accusa o testimonianza contro i sacerdoti in un tribunale. Ciò è previsto nei sacri canoni e nelle leggi civili.

[Domanda] “Ma sembrerebbe che a chiunque possa essere giudice non può essere impedito di essere anche un querelante e le donne sono divenute giudici nel Testamento Vecchio come è mostrato chiaramente nel libro di Giudici. Così non possono essere esclusi dal ruolo di querelanti coloro che spesso hanno adempiuto il ruolo di giudice e ciò non è impedito da nessuna parola delle sacre scritture . . . .”

[Risposta] “No, nel Testamento Vecchio sono stati consentite molte cose che oggi [nel Testamento Nuovo] sono abolite, attraverso la perfezione della grazia. Così se [nel Testamento Vecchio] alle donne è state permesso di giudicare la gente, oggi a causa del peccato, che la donna ha portato nel mondo, le donne sono state ammonite dall’Apostolo ad essere modeste, ad essere sottomesse agli uomini e a velarsi come un segno di soggezione.” Decretum Gratiani Causa 2, questione 7, princ.
La “maledizione delle donne”, a causa del loro peccato, è tranquillamente accettata da molti teologi del tempo. Ecco un brano del Francescano Sicardo da Cremona (1181).

“C’erano due comandamenti nella Legge (il vecchio Testamento), il primo relativo alla madre che dà la nascita, il secondo a colui che nasce. Riguardo alla madre, se dava alla luce un figlio maschio, essa doveva guardarsi dall’entrare nel Tempio per quaranta giorni come una persona impura: perché il feto, concepito nell’impurità, pare che rimanga informe per quaranta giorni. Ma se nasce una femmina, lo spazio di tempo veniva raddoppiato, per il sangue mestruale, che accompagna la nascita, considerato particolarmente impuro perché al suo contatto, come afferma Solinus, i frutti e le erbe appassiscono. Ma perché il tempo per una bambina femmina è stato raddoppiato? Questa è la soluzione: perché una duplice maledizione grava sulla donna. Perché su di lei grava la maledizione di Adamo e per la punizione ‘ tu partorirai con dolore’. O, forse, perché, come la scienza medica rivela, durante il concepimento le figlie femmine restano informi per un tempo doppio rispetto ai maschi.” Mitrale V, capitolo 11

Lo stesso giudizio è dato per scontato da Giovanni Teutonico (1215).

Guido de Baysio (1296) collega l’esclusione del sacerdozio femminile direttamente all’essere le donne la causa della dannazione.

Le donne non sono abilitate a ricevere l’ordinazione, perché l’ordinazione è riservata ai membri perfetti della Chiesa ...Ma le donne non sono membri perfetti della Chiesa, solo gli uomini lo sono”.

Aggiungi che la donna non è ad immagine di Dio, lo è solo l’uomo .”
Inoltre, la donna fu causa effettiva della dannazione da quando fu origine di trasgressione e Adamo fu ingannato attraverso di lei, e così essa non può essere causa effettiva di salvezza, perciò (non può ricevere) gli ordini sacri causa di grazia ed anche di salvezza per gli altri.” Rosarium C. 27, que. 1, cap. 23

Il medesimo collegamento tra il bando contro ordinazione delle donne ed il loro ruolo nel peccato originale è fatto Joannes Andreae (1338).

Riguardo all’ordinazione delle donne. . . è chiaro che il sacramento richiede entrambe: la sostanza (res) e la forma (signum) … Ma nel sesso femminile una preminenza di grado non può essere simboleggiata da quando esso è in stato di soggezione: (1a Timoteo 2)’ non permetto alla donna di insegnare, né ha dominare sopra un uomo’. Perché ha fatto un uso cattivo della sua uguaglianza, è stata messa in soggezione: (Gen 3) sarai sotto il potere di tuo marito.

Perciò non può ricevere il carattere di un sacramento che possiede una preminenza.” Novella V, fol. 125v.

In uno studio che, nonostante sia considerato vecchio, è ancora assai valido, Henri-Irenée Marrou ci offre, con tutte le sfumature che sempre ravvivano i suoi lavori, informazioni ampie e precise sulle ragioni che portarono un così grande numero di donne, nei primi secoli del cristianesimo, a intraprendere una vita di verginità. Queste motivazioni, consapevoli ed esplicite, sono state spesso formulate dagli scrittori ecclesiastici e vengono indicate come l’origine di una totale ed esclusiva unione con Cristo.

Ma l’amore per lo Sposo è anche considerato preferibile a un’altra forma di unione: quella del matrimonio, in una società influenzata da un passato non-cristiano, in un ambiente che in realtà non era ancora del tutto cristianizzato e nel quale lo stato di vita matrimoniale faceva sentire molto duramente i suoi effetti. Tutto ciò si manifestava nella vita concreta: le donne infatti erano giudicate una specie inferiore e, a causa del comportamento immorale di molti uomini la cui violenza sfociava in erotismo brutale, comprensibilmente esse vedevano nel rifiuto del matrimonio uno strumento di difesa, una libertà, una sorta di promozione. Come reazione a questa immoralità, si diffusero, sia all’interno sia al di fuori della Chiesa, dottrine sulla purezza - diverse forme di encratismo - che propagarono un disprezzo a oltranza per qualsiasi forma di attività sessuale.

È assai significativo che un aumento delle vocazioni femminili alla fine dell’XI secolo coincidesse con lo sviluppo di un nuovo genere di letteratura-cortese o popolare-in cui si cantava la lode di un certo tipo d’amore, definito «puro», che per alcuni serviva da copertura a forme di erotismo raffinato. Possiamo allora comprendere perché vi fossero certi cristiani che preferivano un’altra strada. C’era infatti anche il «rovescio della medaglia», poiché in alcuni luoghi abbiamo la testimonianza di amicizie puramente spirituali tra monaci e monache e tra altri religiosi e religiose.

Le eresie che più tardi sarebbero comparse sotto il nome generico di «catarismo», avevano alcuni punti in comune con le antiche «teorie dualistiche» che, secondo il Marrou, «spiegano il mondo e l’uomo mediante l’azione e la reazione di due opposti principi, il Principio del bene e quello del male». Se il catarismo proponeva, per sfuggire il male, una via verso una «purezza» che certamente non aveva nulla a che fare con gli ideali della Chiesa, il monachesimo permetteva di realizzare, nei confini dell’ortodossia, un’aspirazione che ugualmente veniva dalle profondità dell’animo e che esprimeva lo stesso fenomeno culturale.

Tutto il contesto culturale delle vocazioni monastiche medievali attende ancora di essere studiato in modo obiettivo, senza pregiudizio e senza il rischio di ridurne la portata. Un aspetto che non deve mai essere trascurato, quando si esamina il monachesimo femminile durante tutto il medioevo, è quello del costante afflusso nei monasteri da parte della nobiltà, che in alcuni periodi, a quanto sembra, fu particolarmente intenso. Finora gli storici hanno studiato i vari ambienti alla luce dei testi spirituali - agiografie, trattati dottrinali, lettere altri documenti - e dei testi storici - cronache e resoconti -. Queste ricerche hanno messo in evidenza alcune delle ragioni esplicite per cui le donne si facevano monache, insieme con quelle del loro seguito. Altre forti motivazioni si possono ritrovare nei testi giuridici, in particolare nelle risoluzioni riguardo ai problemi sollevati dagli statuti per le monache nell’ambito del diritto canonico o dai casi di coppie sposate che si separavano di comune accordo per poter entrare nei monasteri. Si deve poi tener conto dei vari tipi e gradi di parentela, dei diritti di proprietà e di ciò che da essi dipende, secondo i diversi luoghi e periodi, e dei diritti feudali; vi sono donne che non riuscivano a sposarsi o che venivano abbandonate dai loro mariti legalmente o per altri motivi, quando per esempio essi partivano per le guerre e per le crociate. Per alcune donne, infine, entrare in monastero significava avere un tetto materiale, oltre che un’opportunità per progredire spiritualmente.

Il pensiero di una morale antica: l’assunto che le grandi idee e i moti spirituali purtroppo camminano sulle gambe degli uomini (esseri imperfetti contrapposti alla perfezione di Dio), i troppi compromessi della Chiesa dei Papi e dei Cardinali con il potere temporale ed economico, l’inevitabilità dell’essere perseguitato, eliminato, emarginato, per chi contro quei poteri si pone a prescindere dalla causa, dalla motivazione, dalla ragione. Salvo poi magari, a morte avvenuta e a ‘quadro politico e di potere’ oramai superato, essere riabilitato e magari trasformato in un’icona del nuovo potere, sia esso conservatore o progressista (proprio come successo e succede alla pulzella D’Orlèans, riabilitata già nel 1456 e dunque prima strega e poi Santa, femminista ma protagonista di un clamoroso rifiuto dell’abito muliebre, fragile fanciulla e rude guerriera, maga con il potere di contattare un mondo ‘altro’ e giudicata  schizofrenica, disturbata da bipolarismo). 

Sottoposta a processo come strega davanti a un tribunale presieduto da Pierre Cauchon, vescovo di Beauvais e da quaranta tra inglesi e francesi anglofili, Giovanna d’Arco si trova sola, senza difensori. Dopo quattordici mesi di umilianti interrogatori la pulzella d’Orleans è accusata di eresia, per aver creduto di poter comunicare direttamente con Dio, senza la mediazione della Chiesa Cattolica e di atti illeciti, per aver indossato abiti maschili. Poco prima della conclusione del processo, i giudici propongono a Giovanna d’Arco di rinunciare a quella che considera la sua missione e di giurare di non indossare mai più armi o abiti maschili, pena la morte sul rogo. Giovanna, frastornata sotto forte costrizione psicologica, sigla con una croce il foglio con poche righe che le viene sottoposto, sembra quindi accettare e viene condannata alla prigione a vita. All’ultimo momento, però, la pulzella si rifiuta, lei francese, di sottomettersi al giudizio di una corte inglese, la quale immediatamente la giudica un’eretica impenitente.

Condannata a morte, viene bruciata sul rogo nella piazza del Mercato Vecchio di Roue il 30 maggio del 1431: aveva solo diciannove anni. Quando si parla di Giovanna d’Arco, ci viene subito in mente la sua storia leggendaria: una ragazza che si credeva, a buon diritto o meno, la messaggera di Dio riesce ad aiutare l’esercito francese a battere quello inglese, durante la guerra dei Cent’anni. Una guerriera che fu venduta agli inglesi dopo la cattura da parte di Giovanni II di Lussemburgo e che i suoi compatrioti decisero di non salvare, condannandola così a subire un processo per eresia e poi la condanna sul rogo. L’anno scorso abbiamo riassunto in una breve biografia la vita di Giovanna d’Arco mentre oggi, in occasione della settimana tematica che le abbiamo dedicato, analizzeremo uno degli elementi clou della sua storia: i processi.

Sì, perché nel suo caso è più corretto parlare al plurale, considerando che ne subì due, uno in vita e uno in contumacia: se nel 1431 fu arsa sul rogo per eresiapoco più di vent’anni dopo si ebbe una revisione del processo su ordine di Carlo VII che dichiarò nulla la condanna.
 

Profilo evangelico

Gesù “dignifica la donna e la mette allo stesso livello dell’uomo, perché prende quella prima parola del Creatore: tutti e due; non prima l’uomo e poi, un pochino più in basso, la donna; no, tutti e due […] L’uomo solo senza la donna accanto -sia come mamma, come sorella, come sposa, come compagna di lavoro, come amica- non è immagine di Dio”.

Tale dictat ripreso dagli ultimi tre pontefici contemporanei ci aiutano ad introdurre un argomento vasto e delicatissimo, ovvero il rapporto di Gesù con le donne, il modo in cui Egli si relazionava con il mondo femminile in generale e con il ruolo delle donne che seguivano Gesù nei Suoi spostamenti, che ascoltavano le predicazioni e che si prendevano cura di Lui e degli apostoli. Più in generale, per quanto l’Antico e il Nuovo Testamento siano declinati al maschile, è pur vero che si trovano moltissime figure di donne coraggiose nella Bibbia, di donne complesse e fondamentali per il compimento del progetto divino, quanto e più degli uomini. Molte sono le figure di donne che hanno influenzato la storia della chiesa e del mondo, tra figure di donne nella Bibbia, sante, mistiche e donne illuminate dalla grazia.

La soccombenza delle donne nella religione cristiana, nella storia, nel sociale è un fatto tangibile ed innegabile. Se San Paolo affermava: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo (1 Corinzi 11,3) nello stesso tempo, ribadiva la necessità che le donne fossero tranquille, sottomesse, dedite alla cura della casa e dell’uomo. Anzi, per molti versi possiamo considerarlo uno dei maggiori ostruzionisti ai “metadiritti” oggi intenderemmo sotto il profilo sociale e religioso dell’epoca, e non fu il solo. Perché questo? L’obbligo al silenzio ed alla sottomissione delle donne nella religione e nella società storica che si esamina ma in primo tempo nel cristianesimo, risale alla Genesi. Se è vero che nel primo racconto della Creazione uomo e donna venivano creati insieme, entrambi a immagine e somiglianza di Dio, il secondo racconto, quello cui la donna viene creata da una costola di Adamo, ebbe maggior fortuna e determinò fin dall’inizio il ruolo secondario della donna. Poi il Peccato originale, perpetrato da Eva, fece il resto per giustificare l’assoggettamento totale e paralizzante, perfino la colpevolizzazione di tutto il genere femminile. E rimane il dubbio che nonostante tutto perfino in seno alla società ebraica, profondamente patriarcale e maschilista (basta riflettere che una tra le benedizioni ebraiche del mattino, che si recitano al risveglio, dice: “Benedetto tu o Signore Nostro D. Re del mondo che non mi hai fatto donna” non sono mancate figure di donne coraggiose e tenute in grande considerazione anche sul piano spirituale. Inoltre il Talmud (libro che raccoglie l’interpretazione dei rabbini) recita: “State molto attenti a far piangere una donna, che poi Dio conta le sue lacrime! La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai piedi perché dovesse essere pestata, non dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale. Un po’ più in basso per essere protetta, e dal lato del cuore per essere Amata”. Basti pensare che Gesù le scelse due per manifestarsi per prime dopo la Resurrezione.
 

Benedetto XVI: “La missione di santa Giovanna d’Arco

Donna del popolo, laica e consacrata nella verginità (vicinissima come esempio spirituale a santa Caterina da Siena ed a santa Teresa del bambin Gesù); mistica impegnata, non nel chiostro, ma in mezzo alle realtà più drammatiche della Chiesa e della realtà della sua epoca storica. Esempio di quella fortezza femminile presente alla fine del Medioevo che senza indugio e timore alcuno portava la grande luce del Vangelo nelle vicende sensibili e complicate della storia umana. Emblematico l’accostamento fatto dal Santo Padre di tali donne alle figure femminili che rimasero al Calvario, vicino a Gesù crocifisso ed a Maria sua Madre, mentre gli apostoli erano fuggiti e il discepolo Pietro per tre volte lo aveva rinnegato. Nel periodo di riferimento a Giovanna d’Arco, la Chiesa, viveva una crisi profonda dovuta al grande scisma d’Occidente che durò per 40 lunghi anni. Nel momento della nascita di Giovanna, 1412, sono presenti un Papa e due Antipapa, in concomitanza di questo “smembramentoclericale, si consumavano continue guerre fra popoli cristiani d’Europa dove fra le più angosciose e critiche fu senza dubbio la “guerra dei cent’anni” tra Francia e Inghilterra. (Vedi: in Corrispondenzaromana.it/benedetto-XVI-la-missione-di-santa-giovanna-darco/ 27 Gennaio 2011).

In fatti concreti la straordinarietà è riscontrabile nell’azione di riuscire ad allontanare le prostitute che seguivano i soldati, bandì ogni violenza o saccheggio, vietò che i militari bestemmiassero; impose loro di confessarsi e fece riunire intorno al suo stendardo l’esercito in preghiera due volte al giorno, al richiamo del suo confessore, Jean Pasquerel. Il primo effetto fu quello di instaurare un rapporto di reciproca fiducia tra la popolazione civile ed i suoi difensori i quali, invece, avevano la pessima abitudine di tramutarsi da soldati in briganti quando non erano impegnati in azioni di guerra. Soldati e capitani, contagiati dal carisma della giovane, sostenuti dalla popolazione di Orléans, si prepararono alla riscossa. Liberata Orleans dall’assedio (8 maggio 1429), vittoria che le valse il titolo di “Pulzella di Orleans”, dopo qualche giorno (18 maggio 1429) ottenne una nuova vittoria: a Patay inflisse una dura sconfitta alle armate inglesi. 

Queste due vittorie permisero la conquista del territorio francese fino a Reims e quindi l’incoronazione solenne del Delfino con il nome di Carlo VII. Reims era infatti la città dove da secoli avvenivano le consacrazioni dei re di Francia. Ma, una volta incoronato re, Carlo VII fu preso dal desiderio di arrivare a un compromesso e decise di trattare con gli Inglesi. Giovanna non ci stette e volle, invece, continuare a combattere da sola, senza l’appoggio della Corona. Il 24 maggio del 1430 fu catturata dai Borgognoni, i quali erano dalla parte degli Inglesi, e a questi fu venduta per una cifra molto alta (10.000 tornesi) per raccogliere la quale furono alzate le imposte in Normandia, all’epoca sotto il dominio di Londra. Venne imprigionata nel Castello di Rouen e qui processata per eresia e stregoneria. In realtà, racontano gli storici che se ne occuparono in seguito, si trattava di un tribunale dell’Inquisizione inquinato da interessi politci, a favore degli Inglesi. I giudici spesso non rispettarono le procedure, non tennero conto delle affermazioni che potevano portare a scagionare l’imputata, e comunque il collegio giudicante era sovrastato dalla figura del cardinale di Winchester, Henry Beaufort (1374-1447), prozio e cancelliere di Enrico VICondannata, Giovanna d’Arco venne arsa viva - neppure ventenne - sulla piazza del Mercato Vecchio a Rouen il 30 maggio 1431.

Carlo VII non fece nulla per aiutarla; però, dopo la conquista di Rouen (1450), volle aprire un’inchiesta sul processo che portò alla completa riabilitazione di Giovanna d’Arco. Sancita al livello più alto, da papa Callisto III, nel 1456. Giovanna d’Arco fu beatificata il 1909 da papa san Pio X e canonizzata nel 1920 da papa Benedetto XV. Una sua statua è stata posta nella cattedrale di Winchester, dinnanzi alla tomba del Cardinale Beaufort, colui che ebbe un ruolo decisivo nel tragico e infausto processo. Giovanna d’Arco è stata dichiarata patrona di Francia, della telegrafia e della radiofonia. È venerata anche come protettrice dei martiri e dei perseguitati religiosi, delle forze armate e di polizia. La sua memoria liturgica è celebrata il 30 maggio. Viene richiamata esplicitamente nel catechismo della Chiesa cattolica quale una delle più belle dimostrazioni d’un animo aperto alla Grazia salvatrice. Oggi è la santa francese più venerata.
 

Confronto tra donne di fede

Giovanna d’Arco non sapeva né leggere né tantomeno scrivere, ma può essere riconosciuta per la profondità della sua anima grazie all’intervento di due fonti di indiscusso valore storico: I due Processi che la pongono al centro di ogni attenzione. Il primo, il Processo di Condanna (PCon) contiene, la trascrizione dei lunghi e numerosi interrogatori di Giovanna durante gli ultimi mesi della sua vita (febbraio-maggio 1431) e riporta, le medesime parole della Santa. Il secondo, il Processo di Nullità della Condanna, o di riabilitazione” (PNul) contiene, le deposizioni di circa 120 testimoni oculari di tutti i periodi della sua vita (cfr. Procès de Condamnation de Jeanne d’Arc, 3 vol.; Procès en Nullité de la Condamnation de jeanne d’Arc, 5 vol., ed. Klincksieck, Paris 1960-1989).

Il nome di Gesù, invocato dalla suddetta Santa fin negli ultimissimi istanti della sua vita terrena, era come il continuo respiro della sua anima, similare al battito del suo cuore, il fulcro della sua vita. Il “Mistero della carità di Giovanna d’Arco”, che aveva tanto attratto il poeta Charles Pèguy, è codesto totale amore per Gesù e verso il prossimo; in Gesù e orientato verso Gesù. Giovanna aveva ben chiaro che l’Amore si stringe tutto in un abbraccio con la realtà di Dio e dell’uomo, del cielo e della terra, della Chiesa e del mondo intero. Gesù, è posto sempre primariamente nel suo percorso terreno, secondo la sua dolce esternazione: “Nostro Signore servito per primo” (PCon, I, p. 288, cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 223). Proiettare l’amore verso Gesù, significa obbedire sempre alla sua volontà. Giovanna afferma fortemente con piena fiducia e totale abbandono: “Mi affido a dio mio Creatore, lo amo con tutto il cuore” (ibid., p. 337).

Tendere l’Amore verso l’“Altissimo” vuol dire obbedire sempre alla sua volontà. Afferma ancora con certezza e pienezza fiduciaria: “Mi affido a Dio mio Creatore, lo amo con tutto il mio cuore” (ibid., p. 337). Con il voto di verginità, Giovanna consacra in modo assoluto ed esclusivo tutta la sua persona all’unico Amore di Gesù: è “la sua promessa fatta a Nostro Signore di custodire bene la sua verginità di corpo e di anima” (ibid., p. 149-150). Per verginità dell’anima si intende lo stato di grazia, valore supremo -per Giovanna il più prezioso della vita- è un valore assoluto e superiore poiché è un dono di Dio che va ricevuto, e custodito con umiltà e fiducia. Uno dei testi più studiati del primo Processo riguarda proprio tale tematica: “Interrogata se sappia d’essere nella grazia di Dio, risponde: Se non vi sono, Dio mi voglia mettere; se vi sono, Dio mivoglia custodire in essa” (ibid., p. 62; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2005).

La preghiera di Giovanna d’Arco, viene vissuta in forma di dialogo continuo con il Signore che illumina anche il suo dialogo con i giudici e dà pace e sicurezza. Ella chiede con fiducia: “Dolcissimo Dio, in onore della vostra santa Passione, vi chiedo, se voi mi amate, di rivelarmi come devo rispondere a questi uomini di Chiesa” (ibid., p. 252). Gesù è contemplato come il “Re del Cielo e della Terra”. Da ciò, nel suo stendardo, Giovanna fa dipingere l’immagine di “Nostro Signore che tiene il mondo” (ibid., p.172): emblema della sua missione politica. La liberazione del suo popolo è un’opera di giustizia umana, che Giovanna compie nella carità, per amore di Gesù.

Prosegue Sua Santità che la santità di Giovanna deve essere un esempio per qui laici impegnati nella vita politica, soprattutto chi è coinvolto da situazioni difficili. La fede è “la luce che guida ogni scelta, come testimonierà, un secolo più tardi il grande santo Thomas More”. In Gesù, Giovanna esamina tutta la realtà della Chiesa, la “Chiesa trionfante” del Cielo, come la “Chiesa militante” della terra. Nelle sue umili parole: “è un tutt’uno Nostro Signore e la Chiesa” (ibid., p. 166). Tale affermazione, ripresa nel Catechismo della Chiesa cattolica (n. 795) ha, un carattere decisamente eroico evidenziabile nel Processo di Condanna, di fronte ai sui giudici, persone di Chiesa, che non si fecero scrupoli nel perseguitarla e nel condannarla. Nella totalità dell’Amore per Gesù, giovanna trova il coraggio e sempre più il piglio di amare tutta la Chiesa sino alla sua fine anche nell’accettazione della sua condanna. Benedetto XVI ricorda santa Giovanna d’Arco ed il suo grande influsso su una santa di epoca moderna, ossia: Teresa di Gesù Bambino. Avendo una vita completamente differente, trascorsa ed assorbita nella e dalla clausura, la carmelitana di Lisieux si sentiva similare o meglio attigua a Giovanna, vivendo in nuce, dentro la Chiesa compartecipando, alle sofferenze di Cristo in espiazione del peccato umano. La Chiesa le ha congiunte come Patrone di Francia, dopo la Vergine Maria. Santa Teresa aveva espresso il suo desiderio di morire allo stesso modo della sua sorella di fede Giovanna, con il pronunciamento ultimo del Nome di Gesù (Manoscritto B, 3r) ed era spinta, da quello stesso agape cristologico ed amore per il prossimo realmente vissuto nella virginità consacrata. Conclude il Santo Padre Benedetto XVI: (… con la sua luminosa tastimonianza, santa Giovanna d’Arco ci invita ad una misura alta della vita cristiana: fare della preghiera il filo conduttore delle nostre giornate; avere piena fiducia nel compiere la volontà di Dio, qualunque essa sia; vivere la carità senza favoritismi, senza limiti e attingendo, come lei, nell’Amore di Gesù un profondo amore per la Chiesa).

Per quanto riguarda l’intensa riflessione di Sua Santità sulla figura altrettanto cangiante nella fede Teresa di Lisieaux o Teresa di Gesù, preme evidenziare alcuni aspetti evidenziati nell’ Udienza Generale del 6 aprile 2011 in p.zza San Pietro. Teresa condusse la vita terrena solamente per ventiquattro anni, alla fine del XIX sec., conducendo una vita estremamente semplice, nel nascondimento ma che, post mortem e pubblicazione scritti privati, è divenuta una tra le sante più all’avanscoperta e più amata del secolo moderno. La “piccola Teresa” si è sempre prodigata nell’aiuto delle anime più fragili, i piccoli, i poveri e i sofferenti che le chiedono aiuto, ma ha anche portato luce alla Chiesa illuminandola con la sua profonda dottrina spirituale, sino al punto che il papa Giovanni Paolo II, nel 1997, ha voluto conferirle il titolo di Dottore della Chiesa, in aggiunta a quello di Patrona delle Missioni, antecedentemente attribuitole da Pio XI nel 1927. L’amato e stimato predecessore Giovanni Paolo II, la definì: “esperta della scientia amoris” (Nuovo Millennio ineunte, 27). Questa scienza, che vede riflettere nell’amore tutta la verità della fede, Teresa la esprime soprattutto nel racconto della sua vita, pubblicato un anno dopo la sua morte ed intitolato: “Storia di un’anima” (ed. Ancora, 1997; Traduttore: A. Palezzoni, ed S. Torelli, Manoscritto autobiografico, prima ed. 1989). Il libro racchiude contenutisticamente una superba ed insieme  sublime “Storia d’Amore” descritta con autenticità, semplicità e freschezza, purezza ed orgoglio  che tocca le corde sensibili di ogni lettore. Questo immenso Amore che ha colmato l’intera vita di Teresa, dall’infanzia sino al trapasso terreno, ha, un volto un nome soave, Gesù! La Santa dialoga costantemente con Gesù.

In giovane età la sua vita non è stata esente da prove, infatti si ammala di grave malattia nervosa dopo la perdita della cara mamma, guarita per grazia divina ricevuta, che lei medesima definisce il “Sorriso della Madonna” (vedi pp.gg. 29-30 testo cit.). Ricevette il sacramento della Prima Comunione, intesnamente vissuta, mettendo Gesù Eucarestia al centro di tutta la sua esistenza. La “Grazia di Natale” del 1886, segna la pesante svolta da lei nominata la sua “completa conversione” (pp.gg. 44-45 cit.) Guarisce definitivamente dalla sua ipersensibilità infantile ed intraprende la sua “corsa da gigante”. Giunta all’ età di 14 anni, si avvicina ancor di più nel vigore a Gesù Crocifisso, e si prende a cuore il caso, apparentemente disperato e senza rimedio di un criminale condannato a morte ed impenitente (ibid, 45-46). Le sue parole: “Volli ad ogni costo impedirgli di cadere nell’inferno” con la certezza, che la sua preghiera lo avrebbe messo a contatto con il Sangue redentore di Gesù.

È la sua prima ed importantissima esperienza di “maternità spirituale”: “Tanta fiducia avevo nella Misericordia infinita di Gesù” scrive. Con Maria Santissima, la giovanissima Teresa ama, crede e spera con un vero “cuore di madre”. Il momento evocativo e vocativo è l’Udienza di Papa Leone XIII, al quale esprime il desiderio profondo di entrare con il suo permesso nel Carmelo, di Lisieaux, ed un anno dopo al compimento di quindici anni il suo desiderio trova esaudimento. Diviene Carmelitana, “per salvare le anime e pregare per i sacerdoti” (ibid, p. 69). Contemporaneamente, si origina la dolorosa ed umiliante malattia mentale del padre.

È una dura prova che indirizza Teresa alla contemplazione del Volto di Gesù nella sua Passione; il suo nome da Religiosa - suor Teresa di Gesù Bambino e de Volto Santo - esprime il programma della sua vita con i Misteri del dolore, della Incarnazione e della Redenzione.

Di grande importanza è la sua offerta all’Amore Misericordioso” fatta in occasione della festa della Santissima Trinità del 1895, un’offerta che Teresa condivide con le sue consorelle ricoprendo già la carica di vice maestra delle novizie. Dopo la “Grazia di Natale” in successione, nel 1896, viene la “Grazia di Pasqua”, che apre il periodo terminale della vita terrena di Teresa, con l’inizio della sua passione in profonda unione alla Passione di Cristo; si tratta della passione delle membra, per mezzo della malattia che la condurrà alla morte con grandi sofferenze, ma soprattutto si tratta della passione dell’anima, con una atroce e dolorosa prova della fede. Insieme a Maria Santissima di fianco alla Croce di Gesù, Teresa vive la fede più eroica come luce nell’oscurità delle tenebre che le invadono l’anima. La Carmelitana Teresa, ha piena consapevolezza di questa grande prova a cui è chiamata per salvare atei del mondo moderno, chiamati da ella “fratelli”. Vive perciò ancora con più intensità l’amore fraterno: verso le consorelle carmelitane, verso i fratelli missionari, verso i sacerdoti in generale e verso tutti gli uomini anche i più lontani.

Diviene vera sorella “universale”, la sua carità sorridente, dolce, è l’espressione della gioia intima di cui ce ne rivela il segreto ovvero: “Gesù, la mia gioia è amare Te” (ibid, p. 45 cit.). In tale contesto di sofferenza, vivendo il più grande amore nelle minime cose del quotidiano, la Santa porta a compimento la sua vocazione di essere l’Amore nel cuore della Chiesa. Muore la sera del 30 settembre 1897, pronunciando le umili parole: “Mio Dio, vi amo!” rivolgendo lo sguardo al Crocifisso che teneva stretto nelle sue mani; queste parole sono il grimaldello di tutta la sua dottrina e della sua interpretazione del Vangelo. L’atto d’amore espresso nell’ultimo alito, era come il prolungamento dell’ossigeno alla sua anima, come il battito del suo cuore. Le uniche parole: “Gesù Ti amo” sono al centro di tutti i suoi scritti. L’atto di amore a Gesù la fonde inoltre alla e con il mistero della Santissima Trinità; ancora scrive: “Ah tu lo sai, Divin Gesù Ti amo, Lo Spirito d’Amore m’infiamma col suo fuoco, è amando Te che io attiro il Padre”. (P. 17-2). Ciò ci impara ad amare in modo autentico e totale. Sostiene il Santo Padre che Teresa è uno di quei “piccoli” di cui dice il Vangelo che si lasciano condurre da Dio nelle profondità del suo Mistero (Mc 10, 13-16).

Attraverso l’umiltà e la carità, la fede e la speranza, Teresa entra con costanza nel nucleo della Sacra Scrittura che racchiude il Mistero di Cristo. E le letture sacre alimentate dalla scienza dell’amore, di certo non fa da barriera alla scienza accademica. La scienza dei santi, di cui lei stessa tratta nell’ultima pagina della “Storia di un’anima” è la scienza più elevata. “Tutti i santi l’hanno capito e in modo più particolare forse quelli che riempiono l’universo con l’irradiazione della dottrina evangelica. Non è forse dall’orazione che i Santi Paolo, Agostino, Giovanni della Croce, Tommaso d’Aquino, Francesco, Domenico e tanti altri illustri amici di Dio hanno attinto questa scienza divina che affascina i geni più grandi?” (Manoscritto C, 36r). Il suo compagno inseparabile è il Vangelo; L’Eucarestia è per Teresa il Sacramento dell’Amore Divino che si abbassa all’estremo per innalzarci fino a Lui. Nella sua ultima Lettera, su di una immagine di Gesù Bambino nell’Ostia consacrata ella scrive: “Non posso temere un Dio che per me si è fatto così piccolo! (…) Io lo amo! Infatti, Egli non è che Amore e Misericordia!” (LT 266).

Teresa inoltre nello scoprire ci aiuta a capire di cosa trattiamo quando citiamo il concetto di “Misericordia”. Ella dice che per mezzo della Misericordia, si contempla e si adora le altre perfezioni divine! (…) E tutte si leggono in chiave di raggio d’Amore, la Giustizia stessa e ancor più essa di qualsiasi altra è rivestita d’Amore (Ms. 84) e così si esprime anche nelle ultime Lettere di “Storia di un’anima”; dal Vangelo ci insegna la Santa non solo si respira la presenza di Gesù, ma ci si immerge nella sua vita e si intuisce da quale parte andare e non si deve essere al primo posto o fare i primi della classe ma ci si slancia all’ultimo, anche pieni dei peccati più gravi contriti di dolore e pentimento bisognerebbe gettarsi tra le braccia di Gesù, perché Lui ci ha già insegnato quanto ama il figliol prodigo che ritorna a Lui. La “Fiducia e l’Amore” sono il punto ultimo del racconto della sua vita, due parole che come enormi fari hanno illuminato tutto il suo tragitto di santità, per poter guidare gli altri sulla stessa sua “piccola via di fiducia e amore” dell’infanzia spirituale (Manoscritto 266).

E contemplando Maria Santissima si capisce che: “Amare è dare tutto, e dare se stesso”. Ci insegna a vivere in grazia del Battesimo nel dono totale di sé all’Amore del Padre, per vivere come Cristo, nel fuoco dello Spirito Santo.

Un percorso sulla vita della Santa denso di misticismo e dolcezza di insegnamento e di chiamata al coraggio, questo si può dedurre dalla descrizione fatta da Benedetto XVI, che non si limita ad un richiamo storico della santità ma a percorrere la vita in maniera santa pensando che tutto si muove per un immenso dono d’amore gratuito ed unico.

Capire la santità delle figure femminili è impresa ardua ma non impossibile. Un valido aiuto può derivare dalla lettura della lettera apostolica “Mulieris dignitatem” dove San Giovanni Paolo II spiega l’elevata personalità di alcune paladine donne vocate ad un percorso spirituale unico come unica è la sensibilità femminile a tendere meglio l’orecchio verso le parole di Cristo; proprio sulla donna e della sua vocazione sino financo al martirio si sofferma “Mulieris dignitatem”. In ogni epoca ed in ogni Paese troviamo numerose donne “perfette” che, nonostante persecuzioni e discriminazioni, hanno partecipato alla missione della Chiesa ed evangelica come Brigida di Svezia, Giovanna d’Arco Teresa d’Avila. Anche in presenza di gravi discriminazioni sociali, le donne sante hanno agito in modo “libero” fortificante, della loro unione in Cristo.  La visione intera wojtyliana dell’universo femminile sta nelle parole: “Credo nel genio delle donne”. Ed ancora: “Occorre promuovere l’autentica emancipazione femminile” frase poi ripetuta nel ricordo di uno dei nomi di punta della sinistra femminile post-68 ricordando Paolo VI che attribuiva il titolo di Dottore della Chiesa a Santa Teresa di Gesù e istituiva, su richiesta dell’assemblea del Sinodo dei vescovi, un’apposita Commissione, con lo scopo di studiare i problemi contemporanei sulla promozione effettiva della dignità e responsabilità delle donne. Nel cristianesimo, più che in ogni altra religione, la donna ha fin dalle origini uno speciale statuto di dignità, di cui il Nuovo Testamento ci attesta numerosi aspetti. La donna ribadisce il magistero, è posta a far parte della struttura vivente e operante del cristianesimo. Il principio antropologico e biblico fondamento della dignità dell’essere umano è che: “Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio o femmina li creò” Entrambi sono essere umani, “in egual grado l’uomo e la donna” entrambi ad immagine di Dio. Le sante qui messe a confronto si inseriscono a tutto tondo nel processo di dogmatizzazione della morale, e mostrano anche come la cronologia storica nella santità di seguire l’esempio di Cristo abbia poca importanza di fronte alla notevole esigenza di attualizzare i modelli agiografici, di proteggere la fede e superare la povertà delle passioni umane.

La vita è come un castello, un castello di nostra proprietà, al cui interno è la camera da letto dove il Signore, padrone del castello e nostro amante, ci attende. Perché quella camera è anche la nostra camera, la camera d’amore che ci appartiene. Ma noi siamo fuori del castello, alle sue porte, a chiedere l’elemosina, senza comprendere che quel castello è nostro e vi possiamo entrare come e quando vogliamo. Viviamo di carrube fuori del castello eppure ne siamo i proprietari. Questa è la potente metafora del Castello interiore di santa Teresa. Quante volte ci sentiamo come fuori dalla stessa nostra vita, spettatori di un film che scorre e che non è nostro. Quante volte ci sembra di essere fuori dal cuore della nostra stessa vita, persi dietro desideri secondari, poiché non sappiamo ancora dove mettere radici, poiché non sappiamo cosa realmente desideriamo. Al cuore della nostra vita, così come essa è, c’è una stanza dove abita Dio. Questo rende la nostra vita la più alta delle realtà create. Vivere non è un assurdo: “Il nostro intelletto, per acuto che sia, non arriverà mai a comprenderla, come non potrà mai comprendere Iddio, alla cui immagine e somiglianza noi siamo stati creati. Se ciò è vero –e non se ne può dubitare- è inutile che ci stanchiamo nel voler comprendere la bellezza del castello. Tuttavia, per avere un’idea della sua eccellenza e dignità, basta pensare che Dio dice di averlo fatto a sua immagine, benché tra il castello e Dio vi sia sempre la differenza di Creatore e creatura, essendo anche l’anima una creatura (testo di Teresa d’Avila il castello interiore I,I,1). Terza donna proclamata Dottore della Chiesa dopo la suindicasta e definita da Pio X: “La più grande santa dei tempi moderni” la Patrona di Francia, dei missionari e che ha introdotto nei suoi scritti un concetto di spiritualità del tutto nuovo: la teologia della “piccola via” è Santa Teresa di Lisieaux. Una longa manu di quanto detto supra per capire ancor meglio il confronto proposto.
 

Conclusioni sotto più sguardi

Coloro che sostengono che Dio non agisce nella storia troveranno una clamorosa smentita nella vita di santa Giovanna d’Arco. Il beato Vladimir Ghika ha scritto di lei: « È la santa della suprema fiducia nelle realtà soprannaturali, nella presenza di Dio, nelle verità divine, nelle persone vive dell’aldilà, negli angeli e nei santi… Giovanna ci insegna non solo a tener conto di queste realtà, ma a prendere il nostro appoggio principale su di esse per meglio adempiere ai compiti che abbiamo da svolgere in questo mondo. »
 

L’Ardore d’Amore di Giovanna d’Arco

Sono prigioniera del vostro amore, ho liberamente ribadito la catena che mi lega a Voi e mi separa per sempre dal mondo che Voi avete maledetto. La mia spada non è altro che l’amore con il quale caccerò lo straniero dal regno e Vi farò proclamare Re nelle anime che rifiutano di sottomettersi al vostro divino potere.

La storia del termine “amore” è illuminante. Nelle lingue moderne esso è unico e si presta perciò a diverse ambiguità, ma nel greco biblico troviamo sin dall’inizio due termini ben distinti: eros e agape.

Troviamo tre diverse angolature dal punto di vista filosofico e teologico:

–       il primo principio, che Aristotele considera come evidente, suona in modo pessimistico al nostro orecchio: Dio non può amare gli uomini, il mondo perché non rientra nel suo sé divino. Siccome amiamo ciò di cui abbiamo bisogno, siccome Dio non ha bisogno di nulla allora non può amarci.

–       Il secondo principio, esplicitato da Platone nel suo “Simposio” si presenta più accettabile: l’uomo non può vivere senza amare Dio. Abbiamo bisogno delle cose materiali, ma molto più, con tutto il nostro cuore, desideriamo la bellezza, la verità, il bene. La pienezza di questi valori è soltanto in Dio e perciò amiamo Dio.

–       Il terzo principio ne è la conseguenza: la felicità dell’uomo non è nell’amore, ma nella autosufficienza (autarcheia). Chi desidera qualche cosa confessa che non la possiede. Non possiamo quindi essere felici con ciò che non abbiamo. L’amore dunque testimonia una certa povertà. Nella mitologia il dio Eros nacque dalla madre Penia (indigenza).

Contro queste tre tesi della filosofia greca si collocano tre affermazioni della rivelazione cristiana:

–       Dio è agape (amore gratuito: cfr 1Gv 4,16)

–       Ogni amore viene da Dio e non dal solo desiderio dell’uomo

–       La perfezione consiste nella carità, da cui deriva la felicità.

Come mai questa divergenza di posizioni?

In greco il termine eros significa amore di desiderio motivato da una mancanza. È evidente che Dio non può avere questo tipo di amore. Perciò i testi biblici usano un’altra parola: agape. Il verbo agapao significa avere la mente tranquilla, contenta. E contento è chi non desidera altro. Anzi diventa capace di rendere contenti altri. Così è Dio: egli è gratuità d’amore talmente sovrabbondante da essere donato alle creature. S. Agostino afferma che Dio ha creato il mondo non perché ne avesse il bisogno, ma poter spargere su di esso il suo amore. È lui perciò per primo che ci ha amati, il nostro amore per lui è sempre in seconda (1Gv 4,10).

Un testo di A. Nygren ci può illuminare: Eros è desiderio, aspirazione e tensione verso l’altro. Agape è sacrificio, abbassamento e donazione per l’altro. Eros è la via dell’uomo a Dio, Agape è la via di Dio verso l’uomo. Eros è conquista dell’uomo. Agape è grazia. Eros è auto-affermazione egocentrica, gloriosa, nobile. Agape è amore disinteressato e dono di sé. Eros è determinato dalla bellezza dell’oggetto amato. Agape amare e cerca il valore dell’oggetto amato. (Anders Nygren: “EROS E AGAPE, il mulino 1971).

Noi in genere amiamo di un amore-eros, ovvero di desiderio. Siamo irrequieti, desideriamo, cercando di appagare la nostra inquietudine irrequietezza, brama di sentimento anche ricambiato. Ma essa si appaga solo in Dio! Quando si scopre l’amore di Dio lo si vorrebbe ricambiare. Ma come? Siamo così deboli e poveri! Caterina da Siena ad esempio, era afflitta da questo fatto. Ella ammirava il fatto che Dio la amasse senza chiedere nulla. Però non lo poteva amare senza sdebitarsi. Perciò un giorno nel parlò con Gesù stesso. Egli sorrise e le disse: “A ma non puoi dare niente, ma puoi servire il tuo prossimo. Ti è impossibile amarmi senza ricambiare? Ti ho messo accanto il tuo prossimo e ciò che tu farai a lui, lo prenderò come se fosse fatto a me”. Questo è il frutto dell’agape di Dio per noi (cfr Gv 13,35)!

Amore di Dio e del prossimo non sono due amori contraddittori. Nell’uomo veramente spirituale crescono entrambi contemporaneamente.

Quanto più uno desidera Dio, tanto più riceve da lui e, di conseguenza, tanto più può donare al prossimo. E la pratica della carità fraterna aumenta di nuovo il desiderio di Dio. Si uniscono, quindi, il più prezioso dono di Dio che è la carità, insieme alla nostra collaborazione.

Il teologo riformato D. Bonhoeffer scriveva: («Lettera a Renata ed Eberhard Bethge): “Il rischio implicito in ogni grande amore è quello di smarrire la polifonia dell’esistenza. Voglio dire che Dio e la sua eternità pretendono di essere amati dal profondo del cuore, senza però che l’amore terrestre ne venga danneggiato o indebolito; qualcosa come un cantus firmus, attorno al quale le altre voci della vita cantino in contrappunto […] Dove il cantus firmus è chiaro e distinto, il contrappunto può dispiegarsi col massimo vigore […] Vorrei pregarti di far risuonare con chiarezza nella vostra vita il cantus firmus e solo allora ci sarà un suono pieno e completo, e il contrappunto si sentirà sempre sostenuto, non potrà deviare né distaccarsene”.
 

Significato di profondo Amore per Dio Padre 

L’amore di Dio e del prossimo sono irrinunciabili e inseparabili tra di loro. La scrittura ci dà tuttavia una modalità diversa: amare Diosopra ogni cosa”, e il prossimocome se stessi”.

Per Dio vi è un amore “abituale”. “Abitualmenteama Dio colui che, anche se non pensandoci espressamente, non fa nulla che sia essenzialmente contro l’amore di Dio, non commettendo peccati gravi. E’ ciò che fa la maggioranza dei battezzati. In modo “attualeama Dio colui che serve Dio consapevolmente: uno stato che sarà perfetto in paradiso. L’obiettivo qui in terra sta nel desiderare e operare perché tutto si facciaa maggior gloria di Dio(Abbreviazione del lat. Ad Maiorem Dei Gloriam («a maggior gloria di Dio»), motto dei gesuiti, che risale allo stesso s. Ignazio e distingue gli edifici, i libri ecc. dei membri della Compagnia).

Significa dare “la precedenza” sempre a Dio. La regolazione del traffico stradale esige che si dia la precedenza a chi viene da destra. Nel senso metaforico, possiamo dire che Dio entra nella nostra vita sempre “da destra” e che le sue leggi seguono sempre la strada principale. Hanno quindi la precedenza davanti a tutti gli altri interessi anche se avessimo fretta di andare altrove. Nella vita spirituale il pegno per la sicurezza è il rispetto assoluto degli interessi di Dio.

I santi null’altro desiderio portavano nel cuore. Il santo curato d’Ars pregava: “Ti amo, mio Dio! Mio solo desiderio è amarti fino all’ultimo respiro. Ti amo, Signore! La sola grazia che ti chiedo è amarti in eterno. Mio Dio se la lingua non può dirti in ogni momento
che ti amo te lo ripeta il cuore ad ogni mio respiro. Ti amo, divin Salvatore, perché sei stato crocifisso per me;ti amo, Dio perché mi tieni crocifisso per te. Mio Dio, appressandomi alla fine, fammi una grazia: aumenta il mio amore
” (St. Jean Marie Vianney 1786-1859).


Segue L’amore di Dio come eros e agape

Quindi “erosè cercare il proprio bene, “agapeè desiderare il bene dell’altro. San Basilio tratta dell’amore di Dio all’inizio delle sueregole maggiori”. (La regola basiliana fu dettata da san Basilio in due tempi successivi: la prima (Regulae fusius tractatae) comprende 55 articoli sui doveri generali del monaco, anche se Basilio parla genericamente di "fratello"; la seconda (Regulae brevius tractatae) è una specie di casistica sulla vita monastica. In esse San Basilio presenta la vita monastica come lo stato ideale per raggiungere la perfezione cristiana, o meglio invita tutti, anche chi oggi definiremmo laico, a condurre, indipendentemente dalla propria condizione di vita, uno specifico stile di vita).

Il precetto dell’amore di Dio (cfr Mt 22,37), sembra di fatto difficile da ottemperare. Eppure esso è il più naturale di tutti gli altri. La scrittura esprime con le parole la voce del nostro cuore. Infatti non abbiamo bisogno di una legge che ci ordini di amare la bellezza della natura, le stelle, la luce, i colori. Dio è più bello di tutto ciò che esiste. Basta rendersene conto, per amarlo più delle altre cose. In modo analogo alla bellezza ci attira anche il bene. Amiamo gli uomini buoni.

Dio è più buono di tutti. Naturalmente ci sentiamo obbligati da sentimenti di gratitudine. San Basilio enumera tre motivi per amare Dio: il desiderio della bellezza, quello del bene e la gratitudine. Aggiunge però un altro motivo. Immaginiamo – dice – di essere presenti al giudizio finale e che fra i dannati mi trovi io stesso.

In quel momento il diavolo, davanti a Gesù, mostrando me con il dito, ride: Ecco quel Basilio!”. Si vanterà del fatto che, pur non avendomi creato e redento, io ho seguito lui anziché Cristo. Basilio ci assicura che si sarebbe pentito meno della sua dannazione eterna che dell’offesa fatta a Cristo: non avrebbe potuto sopportarla. Il pensiero appare chiaro: “è possibile amare Cristo come tale, non soltanto perché egli si mostra buono ai miei occhi! “È possibile che l’uomo dimentichi se stesso, come a dire: “Non m’importa della mia persona; la cosa principale è che Dio e la sua gloria non soffrano alcun male”.

Nel catechismo si insegna che l’amore perfetto ama Dio per Dio stesso. È possibile? La risposta è: soltanto a chi è dato. Un tale amore è dono della grazia, dello Spirito Santo. È Dio che ama se stesso per mezzo del nostro cuore. Un uomo così è riconciliato con Dio. Un tale amore che è “agape” equivale: da Dio è uscito e a Dio ritorna (cfr Rm 5,5).

Il cuore è il centro della nostra vita e della nostra attività. L’uomo è quale è il suo cuore. E’ nel cuore che ha sede l’amore. (Paul Claudel (Villeneuve-sur-Fère, 6 agosto 1868 – Parigi, 23 febbraio 1955; è stato un poeta, drammaturgo e diplomatico francese) scrive: “Il Maestro dice: Dammi il tuo cuore! (pr 23,26). Ciò significa: Figlio, dammi ciò che rappresenta il tuo centro, la tua origine, il principio regnante della tua vita, il tuo ritmo sensitivo, emozionale, ragionevole, la sorgente della tua vita”. Il profeta dichiara: “Ho trovato il mio cuore. Che scoperta! Il proprio cuore, niente di meno che il cuore! Il nodo della personalità.. Qualche cosa che si può paragonare al roveto ardente, al roveto che brucia e non si consuma!”.

Il termine “cuore” nella teologia spirituale assume diverse connotazioni, e viene espresso attraverso molteplici altre accezioni: mente, coscienza… In ogni caso con il termine cuore vogliamo certamente una realtà estremamente profonda che è molto più del solo intelletto, volontà e emozionalitàIl cuore esprime l’uomo intero, indiviso.

Il mistico tedesco Mastro Eckhart  (E. von Hochheim, meglio conosciuto come Meister Eckhart, è stato un teologo e religioso tedesco. È stato uno dei più importanti teologifilosofi e mistici renani del Medioevo cristiano e ha segnato profondamente la storia del pensiero tedesco. Con la bolla In Agro Dominico del 27 marzo 1329 papa Giovanni XXII condannò gran parte dei suoi scritti come eretici). dice: “Dio è verità, perciò è conoscibile per mezzo dell’intelletto. Dio è attività e lo conosciamo se lo imitiamo con le nostre azioni. Ma Dio è, in primo luogo “quello che è” (Es 3,14), perciò bisogna unirsi a lui con tutto l’essere, con tutte le forze e facoltà: questo significa amarlo con tutta l’anima, con tutto il cuore, con tutta la mente!”.

Nella spiritualità orientale si predilige sottolineare del cuore l’aspetto emozionale, il sentimento per cui si afferma che “la religione è affare non dell’intelletto, ma del sentimento”, la vera preghiera non è “nella testa ma nel cuore”. Per Teofane il recluso il cuore diventa il “barometro della vita spirituale”. Ma questo sentimento non è da confondere con il sentimentalismo la da identificare con quello che i padri definiscono come “senso spirituale”: si tratta della voce della coscienza, dell’intuizione della verità e della realtà, del fine e del senso dell’esistenza.

D’altra parte anche la filosofia scolastica distingue la doppia coscienza: discorsiva e intuitiva. La prima riflette, elabora i concetti, cerca le argomentazioni. L’intuizione al contrario è una conoscenza immediata, chiara come una visione. La nostra coscienza intuisce subito ad esempio ciò che è bene o male. Si tratta di una conoscenza che talvolta non riusciamo a giustificare.

Blaise Pascal lo afferma chiaramente: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”.  Generalmente gli spirituali acquisiscono un tipo di coscienza intuitiva delle cose divine, del bene, del senso della vita. D’altra parte san Tommaso afferma che “quale è l’uomo, così egli conosce”. Questa sensibilità per i valori spirituali costituisce, secondo Teofane il recluso “il primo segno della rivivificazione dell’anima dopo il torpore del peccato”. Non per nulla allora il mistico Eckhart scrive: “Dio sta davanti alla porta del cuore, e resta lì e aspetta ansiosamente… aspetta con più impazienza di te. Egli aspira a te mille volte più ardentemente di quanto tu aspiri a lui”.

Senza dubbio, Signore, non Vi è necessario uno strumento debole come me, ma Giovanna, la vostra sposa verginale e valorosa, ha detto: «Bisogna dare battaglia perché Dio doni la vittoria». Ancora dalle parole della Santa che conducono alla salvezza: “Combatterò, dunque, per il vostro amore fino alla sera della mia vita, o mio Gesù. E poiché non avete voluto gustare riposo sulla terra, voglio seguire il vostro esempio e spero che si realizzi in me questa promessa uscita dalle vostre labbra divine: «Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà» (cfr. Gv 12, 26).

Tutto questo per dire e definire queste due donne prima che sante, carne e sentimento umano che costituisce un solo cuore ed una sola anima che si eleva in un grido d’amore autentico verso Dio che è Verbo dell’Anima.