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Il Teleios o i sette pregiudizi della tecnologia

Il Teleios O i sette pregiudizi sulla tecnologia
Il Teleios O i sette pregiudizi sulla tecnologia

Il Teleios o i sette pregiudizi della tecnologia

 

Negli ultimi tempi i teologi si stanno molto occupando della questione tecnologica. Antonio Spadaro, già Direttore de La Civiltà Cattolica, cura un blog intitolato Cyberteologia; padre Paolo Benanti è l’unico italiano tra i 38 membri dell’Advisory Body, organo consultivo di alto livello sull’Intelligenza Artificiale istituito dall’Onu; le ultime due encicliche di papa Francesco, Laudato si’ e Fratelli tutti, sono ricchissime di richiami al fenomeno tecnico e cominciano a essere numerose anche le pubblicazioni dei teologi sul tema, a sottolinearne ora rischi e pericoli ora potenzialità e benefici. Tra coloro che adottano una prospettiva decisamente positiva sono senza dubbio Andrea Vaccaro e Marco Staffolani con il loro Il Teleios. O i sette pregiudizi sulla tecnologia (Le Lettere, Firenze 2023), che anzi rappresenta forse la posizione più spinta dell’ottimismo tecnologico dal versante teologico. Le loro ragioni sono argomentate con linguaggio diretto, lontano dai tecnicismi che ogni disciplina porta con sé, e talvolta anche con una certa ironia.  Prendono spunto da quelli che definiscono “pregiudizi sulla tecnologia”, quindi li criticano, tentano di confutarli per poi sostituirli con principi che molto spesso affermano proprio l’opposto.

Il pregiudizio di fondo intorno al quale l’intera riflessione si muove consiste nel credere che l’agire tecnologico sia contrario o in competizione con l’ordine naturale stabilito da Dio. Con riferimenti ai documenti magisteriali, gli autori sottolineano come, nella corretta visione della Chiesa, il cristiano “non si sogna nemmeno di contrapporre i prodotti del proprio coraggio e della propria azione alla potenza di Dio, quasi che la creatura razionale fosse rivale del Creatore; al contrario, è più che persuaso che le vittorie dell’umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno. Per il cristiano, molti sono i dubbi, ma un dato è certo: lo sforzo con cui gli esseri umani, supportati dalla tecnologia, cercano, sin dai primordi, di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in sé stesso, corrisponde alle intenzioni di Dio” (p. 11). Il principio di base è la cosiddetta “autonomia delle realtà terrene” per cui la società ha leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare. E questa autonomia non è solo una rivendicazione particolarmente sentita dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore, “nel rispetto delle esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o tecnica”. È una forte rivalutazione della dignità dell’impegno laico: “non è poi trascorso così tanto tempo da quando la Chiesa, dopo la recisa disposizione del Non expedit, ha rivalutato l’apporto dei laici cristiani impegnati in politica a realizzare il bene comune. Ebbene, il tempo sembra maturo per benedire, accanto all’impegno laico cristiano in politica, anche l’impegno laico cristiano in tecnologia, finalizzato a trasformare fisicamente questo mondo in un regno di pace, di giustizia e di beatitudine” (p. 17). Ciò che vale per la politica e la tecnologia è da estendere naturalmente a tutti i piani dell’agire umano.

Si tratta di un grande incoraggiamento all’iniziativa umana che trova sponda anche nella critica a un altro pregiudizio, secondo cui “la tecnologia ci rende schiavi”. Quasi deridendo coloro che si sentono schiavi di telefonino, mail e social (“Ma se tutti intorno a me fanno così, come posso comportarmi diversamente?, rispose lo schiavo vissuto sempre tra schiavi a cui venne offerta la possibilità di vivere da uomo libero”), Il Teleios evidenzia, al contrario, il profondo legame che sussiste tra Techne e libertà. La tecnologia ha allargato e promette sempre più di allargare lo spettro dell’agire umano: ciò che poteva fare Adamo a mani nudi impallidisce dinanzi alle potenzialità d’azione dell’uomo di oggi. Questo è innegabile, anche se molti nutrono dubbi che tale aumento spropositato di libertà sia effettivamente un bene per un essere umano forse non sufficientemente maturo e saggio per gestirlo. “Al che, è lineare ribattere: forse Adamo nell’Eden era abbastanza maturo per gestire saggiamente l’enorme libertà che Dio gli mise a disposizione? Eppure Dio reputò bene assegnargliela, perché ne andava della sua libertà e la libertà è la più autentica e originaria essenza della natura umana. La libertà è il Dono per eccellenza e il Bene supremo” (p. 28). E se la libertà è il bene, tutto ciò che l’accrescre e l’estende – la tecnologia, appunto – è conseguentemente a sua volta un bene.

Proseguendo la schermaglia contro i luoghi comuni, al pregiudizio del playing God, cioè del rischioso e prometeico giocare a fare Dio, a cui l’umanità si sta dedicando con particolare dedizione negli ultimi tempi con biogenetica e nanotecnologia, Il Teleios contrappone il concetto di creatio continua, secondo cui la creazione non è un atto circoscritto da collocare all’inizio del tempo e lì concluso, piuttosto un sistema aperto, guidato sì, ma non predeterminato, dalla volontà divina che chiama l’uomo a collaborare al suo compimento, se non addirittura a affrettarlo, come co-creatore.

Altri corollari completano il quadro, come ad esempio il concetto di “natura”, da intendere non tanto come “ciò in cui siamo nati, ma ciò per cui siamo nati” (“rappresenta maggiormente l’immagine e la somiglianza con Dio il troglodita che vive nelle caverne, sbrana carne cruda e soddisfa animalescamente i suoi istinti sessuali o l’essere umano del XXI secolo?”). Anche uno sguardo sull’Intelligenza artificiale non poteva mancare, dove agli immaginari cinematografici di robot super-intelligenti che ci mettono in gabbia, come abbiamo fatto noi con gli animali nello zoo o ci fanno diventare una specie in estinzione, come abbiamo fatto noi con le balene e i bisonti è contrapposta la constatazione che questi non sono segni d’intelligenza, ma esattamente del suo contrario (“Di super-intelligenza stiamo parlando, non di super-stupidità”). “Non abbiate paura dell’intelligenza” è l’invito degli autori che, nella prospettiva della comparsa di un’Intelligenza artificiale superiore, già pregustano, “belle chiacchierate con gli amici dell’Uaar (Unione atei e agnostici razionalisti) per verificare se una maggior intelligenza propende o rifugge da Dio” (p. 42).

Una sfida dialettica che si prospetterebbe assai interessante.