Chiesa, guerra e pace: alcune riflessioni
Premessa
Le tragiche vicende di questi giorni in Ucraina hanno drammaticamente posto le generazioni attuali di italiani, nate per lo più dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, di fronte ad una realtà loro sconosciuta, quanto meno in una portata così catastrofica: la realtà, appunto, della guerra.
Tenteremo qui di sollevare per qualche momento il pensiero dai fatti di cronaca e di proporre sommessamente un breve excursus sulla pace e sulla guerra dal punto di vista cattolico, alla luce della Scrittura, della storia della Chiesa e del Catechismo. Nell’ovvia consapevolezza che il tema, non esauribile in questo breve spazio, rimanda, in ogni caso, a trattazioni ben più ampie, documentate e articolate.
La guerra come male: il peccato originale
Pare innanzitutto indubitabile che la coscienza cristiana abbia avvertito da sempre la guerra come un grave male. “A peste, fame et bello, libera nos Domine” si è pregato per secoli nelle chiese, individuando appunto nella guerra, unitamente alla fame e alle epidemie pestilenziali, i peggiori guai che potessero toccare all’uomo e da cui si pregava Dio di essere preservati.
Secondo la dottrina cattolica tradizionale, la guerra, come ogni altro male che colpisce l’umanità, viene fatto risalire al peccato originale, cioè alla caduta di Adamo ed Eva, tentati dal Maligno e cacciati dall’Eden.
L’Antico Testamento: una storia di guerre
Originatasi in tal modo la conflittualità tra gli uomini, si constata che la Sacra Scrittura, per quanto specificamente attiene all’Antico Testamento, è in buona parte una storia di guerre. Il rapporto del popolo eletto, Israele, con i popoli circostanti è un rapporto quasi sempre conflittuale e la Bibbia pullula di guerre. Personaggi (anche) guerrieri come Saul, Davide, Giosuè sono ben noti, così come altre figure immortalate dalle arti quali Giuditta ed Oloferne sono conosciuti e non serve che vi ci si soffermiamo oltre misura.
Del resto, “militia est vita hominis super terram” si legge in Giobbe e, in Isaia, Jahvè viene appellato “Signore degli eserciti” (il Deus Sabaoth della liturgia latino-gregoriana).
Il Nuovo Testamento: Gesù e il Vangelo delle Beatitudini
Cosa introduce di nuovo in questo contesto la venuta del Messia?
Gesù Cristo, ebreo e profondamente inserito nella religione degli avi, predica il suo Vangelo e introduce la stagione del Nuovo Testamento, ma sul tema specifico della “guerra guerreggiata”, a quanto ci è stato trasmesso dai quattro Evangelisti, non predica una sua dottrina. Non ne parla, insomma.
Occorre soffermarsi tuttavia, su un celeberrimo versetto contenuto nel Vangelo secondo Matteo, e solo in Matteo, nel noto Sermone della Montagna (detto anche “Vangelo delle Beatitudini”), ove Gesù cambia le prospettive: “Beati pacifici, quoniam filii Dei vocabuntur” (Mt, 5,9).
Nel vecchio Catechismo di San Pio X viene tradotto con: “Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio”. Una traduzione, questa, dell’aggettivo latino “pacificus, a, um” che pone l’accento sull’atteggiamento interiore (così infatti il dizionario Castiglione Mariotti: “che ama la pace, pacifico, tranquillo”). Ma altro possibile modo di tradurre il latino “pacifici” è “operatori di pace, facitori di pace”: un significato per così dire più attivo e dinamico, che nelle versioni attuali viene preferito.
Il Vangelo delle Beatitudini ha da sempre appassionato teologi, filosofi, predicatori e semplici cristiani e di esso sono state date le più varie interpretazioni. Talora, letto in chiave più storico-politica che spirituale, è stato preso a pretesto per posizioni ideologiche anche estreme.
Cristianesimo e vita militare
Tuttavia, non soltanto il Cristo non ha mai di per sé condannato il mestiere delle armi, ma addirittura in un episodio del Vangelo pronuncia parole di grande ammirazione nei confronti di un soldato romano, ovviamente pagano. Ci riferiamo a quel centurione che lo aveva pregato di guarire un suo servo malato, pronunciando la celebre frase “Domine, non sum dignus…” che ancor oggi riecheggia durante la Messa. Disse Gesù, nella circostanza, che nemmeno in Israele Egli aveva trovato una fede così grande (Luca 7, 9; ed anche in Matteo).
Negli Atti degli Apostoli, capitolo 10, si incontra la figura di Cornelio, un militare, centurione della coorte Italica, “uomo giusto e timorato di Dio”. Evangelizzato da Pietro, fu il primo pagano, a quanto conosciamo, ad essere battezzato: ed era, ripetiamo, un soldato.
Fin dagli esordi, la Chiesa ha canonizzato un gran numero di santi militari: l’elenco sarebbe davvero lungo e rinvio chi fosse interessato all’argomento alla lettura del volume I Santi militari di Rino Cammilleri, Trento 2003.
Va fatto qui almeno un cenno ai tantissimi militari cristiani che nei primi secoli, sotto l’impero romano, furono martirizzati per non aver voluto abiurare la loro fede.
Papa Francesco e i “santi militari”
Vorrei inoltre ricordare, a riprova della compatibilità etica tra cristianesimo e vita militare, tre figure di santi legati a vario titolo alla persona dell’attuale Pontefice.
Si tratta in primis di Sant’Ignazio di Loyola, un soldato, fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti): è l’ordine cui appartiene papa Bergoglio e che ha assunto dal fondatore alcuni tratti assimilabili alla disciplina militare, a cominciare dal nome stesso di “compagnia”.
Ancora, San Francesco, di cui Bergoglio ha assunto il nome una volta eletto Papa, che fu certamente uomo di pace ma che pure fece in gioventù l’esperienza del combattimento in armi nel conflitto occorso ai suoi tempi tra Assisi e Perugia.
Infine San Giorgio, santo onomastico di Jorge Mario Bergoglio: il cavaliere per antonomasia che con corazza e lancia combatte vittoriosamente il drago, immagine del Male.
La Chiesa e l’evoluzione moderna del giudizio sulla guerra
Sarebbe qui giusto anche scrivere del Medioevo, delle varie Crociate, dei vari Ordini monastico-militari quali i fin troppo noti Templari. Si potrebbe anche accennare alle teorie in voga a quell’epoca sulla guerra giusta (Sant’Agostino, San Tommaso d’Aquino), però si tratterebbe di nozioni che interessano oggi la storia e gli storici ma che, forse, poco dicono ai contemporanei.
Vale piuttosto la pena di evidenziare come il fatto stesso della guerra, nell’arco grosso modo degli ultimi due secoli e mezzo abbia subìto una mutazione che si potrebbe dire sostanziale.
A partire, possiamo dire, dalla rivoluzione giacobina e dalla stagione napoleonica, con il fenomeno della coscrizione obbligatoria, la guerra si è tramutata da fatto circoscritto a coloro che esercitano il mestiere delle armi in fenomeno totalizzante, che coinvolge l’intero organismo sociale.
La guerra sempre più diviene un fatto di massa che coinvolge le moltitudini. La tecnica degli armamenti subisce in relativamente breve tempo una vertiginosa accelerazione, che in un crescendo di distruzione e morte arriva fino alla seconda guerra mondiale e alle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
Conseguentemente anche la Chiesa, di fronte a un così profondo mutamento delle circostanze, ha progressivamente rimeditato le proprie posizioni sulla pace e sulla guerra, arrivando a esprimere in documenti ufficiali una rinnovata coscienza e una più acuta sensibilità a questi temi dal punto di vista catechetico e morale.
Momenti salienti di questo percorso, che ha preso forma in modo particolare dopo il secondo conflitto mondiale, sono stati
l’enciclica Pacem in terris di Papa San Giovanni XXIII e
il documento Gaudium et spes del Concilio Vaticano II.
Il nuovo Catechismo
A sua volta il pontificato di San Giovanni Paolo II ha prodotto un nuovo catechismo della Chiesa cattolica, ove, a commento del quinto comandamento “Non uccidere”, si espone un’ampia dottrina (paragrafi 2302-2330) circa la pace e la guerra, frutto dell’elaborazione antica e recente, in particolare dell’ultimo concilio. Ne riportiamo alcuni passaggi (il testo completo è facilmente reperibile).
Vi si afferma che “il rispetto e lo sviluppo della vita umana richiedono la pace. La pace non è la semplice assenza della guerra e non può ridursi ad assicurare l’equilibrio delle forze contrastanti. (…) È la tranquillità dell’ordine. È frutto della giustizia ed effetto della carità.”
Si passa poi a parlare direttamente della guerra e si afferma che “il quinto comandamento proibisce la distruzione volontaria della vita umana. A causa dei mali e delle ingiustizie che ogni guerra provoca, la Chiesa con insistenza esorta tutti a pregare e ad operare perché la Bontà divina ci liberi dall’antica schiavitù della guerra.”
Il diritto alla legittima difesa: quando
Richiamato il dovere morale per cittadini e governanti di evitare le guerre, si riconosce tuttavia agli stati il diritto ad una legittima difesa con la forza militare. Diritto tuttavia subordinato “a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente: che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare.”
Si può quindi così riassumere: no alla guerra di aggressione, sì alla guerra di legittima difesa, ma a precise condizioni.
Guerra e norme morali
Si afferma inoltre il permanere della legge morale durante i conflitti, per cui non ogni cosa è lecita tra le parti belligeranti per il solo fatto che c’è la guerra. Vi è obbligo morale di rispettare i civili e i prigionieri; si condannano le armi di distruzione di massa; si afferma che il principio di obbedienza ai superiori non vale a giustificare crimini orrendi come il genocidio.
Si condannano la corsa agli armamenti e le condizioni di squilibrio e di ingiustizia che sono le premesse della guerra e si conclude in questo modo: “tutto quanto si fa per eliminare questi disordini contribuisce a costruire la pace e ad evitare la guerra. Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma in quanto riescono, uniti nell’amore, a vincere il peccato, essi vincono anche la violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina: “Con le loro spade costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le armi contro un altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra (Is, 2,4)””.
Gli interventi dei Pontefici
Gli interventi dei vari ultimi Pontefici, dalla celebre allocuzione di Benedetto XV contro l’“inutile strage” della Prima Guerra Mondiale in avanti, in favore della pacificazione tra i contendenti nelle varie occasioni di conflitto sono, infine, da tempo materia di cronaca quotidiana.
In modo particolare sono noti a tutti gli appelli e le azioni umanitarie di Pio XII, al tempo della Seconda guerra mondiale, ma anche i suoi successori hanno sempre levato la loro voce nei vari momenti difficili della vicenda umana. Spesso, purtroppo, inascoltati.
Fino a Bergoglio e ai giorni nostri.