Abusi edilizi: demolizione o pena pecuniaria
Abusi edilizi: demolizione o pena pecuniaria
Di recente, qui su Filodiritto, chi scrive aveva esposto una rapida sintesi della disciplina sanzionatoria degli abusi edilizi, ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, c.d. Testo Unico Edilizia.
Pare interessante, mantenendo ferma l’attenzione su questa tematica, accennare a una recente pronuncia della Suprema Corte (Cassazione Penale sez. III, 2 novembre 2022 n. 43250), nella quale viene affrontato il particolare aspetto della disciplina della demolizione, in alternativa alla pena pecuniaria, in caso di interconnessione tra opere abusive ed opere assentite.
La norma rilevante nella fattispecie è quella di cui all’articolo 33 del citato Testo Unico, rubricato “Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità”.
Per chiarezza di esposizione, ne riportiamo il testo nella sua parte iniziale, vale a dire nel primo comma e nella parte iniziale del secondo comma, preliminarmente rispetto al commento alla sentenza citata.
Così recita il D.P.R. 380/2001:
- Gli interventi e le opere di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 10 comma 1, eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso, sono rimossi ovvero demoliti e gli edifici sono resi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il congruo termine stabilito dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l’ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell’abuso.
- Qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, etc.
Dunque, per il caso di opere edilizie definibili di ristrutturazione, abusive in quanto realizzate in assenza o totale difformità dal permesso di costruire, la norma prevede in prima battuta la demolizione e solo qualora la stessa, per motivi tecnici, non sia possibile, contempla in alternativa una cospicua sanzione pecuniaria.
Ciò premesso, la sentenza della Cassazione penale sez. III n. 43250 del 2022 affronta il caso di un immobile in cui erano compresenti e strutturalmente interconnesse opere abusive ai sensi della normativa edilizia e urbanistica e opere lecite. Quid iuris, ci si chiedeva, in merito alla disciplina sanzionatoria applicabile: demolizione o sanzione pecuniaria?
Il caso era stato portato alla cognizione del Tribunale di Salerno da una persona che si era vista condannata alla demolizione di opere abusive illecite ai sensi del T.U. Edilizia e precisamente per la “realizzazione di opere edili consistenti nella modifica di sagome, aumento di superficie e volume che costituiscono un intervento di ristrutturazione edilizia in totale difformità dal permesso di costruire etc.”.
Il ricorrente, dopo aver vanamente presentato al Comune di Salerno un’istanza per la commutazione dell’ordine di demolizione in sanzione pecuniaria, presentò incidente di esecuzione per la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione.
Il Tribunale, dopo aver valutato gli elaborati tecnici redatti dal consulente del pubblico ministero e dal consulente della difesa, che giungevano a conclusioni diametralmente opposte in ordine alla possibilità o meno di effettuare la demolizione delle opere abusive senza intaccare la stabilità dell’edificio, ordinò una perizia.
Il perito segnalò nella sua relazione una situazione problematica, concludendo per la possibilità di demolizione della parte abusiva, ma essendo questa strutturalmente interconnessa con la parte assentita, evidenziava che l’abbattimento comportava una demolizione estesa anche ad una zona della parte assentita, da ricostruire poi con nuove strutture (pilastri e travi) lungo il confine tra zona assentita e zona abusiva e quindi ripristinando pareti, infissi, impianti come da titolo assentito.
Il Tribunale respinse quindi l’istanza, escludendo l’impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi e ciò indusse la parte soccombente a ricorrere in Cassazione, ma anche in questo caso senza successo.
La Cassazione ha, in particolare, enunciato il seguente principio di diritto.
Nel caso in cui le opere abusive siano interconnesse con opere assentite, la demolizione dovrà riguardare solo le prime, con salvezza di quella lecitamente realizzata, sempre che entrambe siano univocamente identificabili come tali e che, dunque, il manufatto non sia stato sottoposto a modifica radicale e definitiva; in tal caso, infatti, non potrà che addivenirsi ad una demolizione integrale del manufatto, atteso che il bene risultante dall’intervento abusivo viene ad assumere una definitiva ed irrevocabile connotazione illecita, che impone la sua radicale eliminazione, a meno che l’abuso sia stato sanato sotto il profilo urbanistico o che il consiglio comunale abbia deliberato nel senso della conservazione delle opere.
L’impossibilità della demolizione, che autorizza la disciplina di cui all’art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, deve essere oggettiva e assoluta; a tal proposito, laddove le opere abusive siano strutturalmente connesse con quelle assentite, occorre valutare se il ripristino comprometta la stabilità dell’intero edificio: evenienza, quest’ultima, che si rappresenta l’unico limite a detto ripristino.
Nel caso in esame, non vennero dunque ravvisate le condizioni per procedere all’applicazione della sanzione pecuniaria di cui al secondo comma dell’art. 33 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e pertanto l’ordine di demolizione venne confermato e il ricorso dichiarato inammissibile.