Mediazione immobiliare: diritto alla provvigione e limiti al patto contrario
In una recentissima pronuncia (Cass. Civ. sez. II ord. 30 settembre 2022 n.28477) la Corte di Cassazione si è espressa in materia di diritto del mediatore immobiliare alla provvigione e di limitazioni al medesimo; limitazioni desumibili in via di interpretazione da pattuizioni asseritamente intercorse tra le parti.
La norma di riferimento è quella contenuta all’articolo 1755 del codice civile; norma oggetto nel corso degli anni, come noto, dell’intervento interpretativo di copiosa giurisprudenza, anche di legittimità.
L’articolo 1755, ricordiamo, afferma quanto segue: “il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento” (1° comma). “La misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi sono determinate dal giudice secondo equità.” (2° comma).
Vi è quindi una regola di base secondo la quale l’onere del pagamento della provvigione al mediatore incombe in pari misura su compratore e venditore e vi è parimenti la possibilità di derogare a tale regola con un’apposita pattuizione contraria, intercorsa tra le parti.
Il successivo articolo 1765 del codice civile fa salve in materia le disposizioni delle leggi speciali e appunto una legge speciale, la legge 3 febbraio 1989 n.39, ribadisce il concetto anzi detto, affermando a proposito dei mediatori immobiliari che (articolo 6) “hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli. La misura delle provvigioni e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, sono determinate dalle giunte camerali, sentito il parere della commissione provinciale di cui all’art. 7 e tenendo conto degli usi locali.”.
Premesse queste brevi nozioni, ripercorriamo la vicenda che ha dato origine alla pronuncia della Cassazione.
Davanti al Tribunale di Latina sorse controversia in quanto, in occasione di una compravendita immobiliare, i venditori sostenevano che, essendo stata da loro prodotta una scrittura di incarico professionale al mediatore ove la percentuale provvigionale risultava barrata, costoro non sarebbero stati tenuti al pagamento della loro quota di provvigione, che sarebbe rimasta a carico unicamente dell’acquirente.
L’agenzia immobiliare agì per il recupero del proprio credito nei confronti dei venditori, sostenendo di non avere apposto la propria sottoscrizione al documento e tanto valeva, a suo dire, ad escludere in relazione al documento medesimo ogni valenza probatoria quanto alla rinunzia al proprio compenso asserita dalla controparte.
In Cassazione, la società di mediazione immobiliare, sconfitta in sede d’appello, si è vista accogliere il proprio ricorso nel quale, in sintesi, lamentava:
- violazione dell’articolo 1755 codice civile, secondo cui il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento, per avere la Corte d’Appello escluso il diritto alla provvigione pur in assenza di un valido patto contrario;
- violazione degli articoli 1362 e 1366 codice civile, in materia di interpretazione del contratto, atteso che la volontà delle parti era stata ricavata di una clausola contrattuale non pertinente, in quanto disciplinante la diversa ipotesi della proposta accettata e non revocata e la conseguente perdita della cauzione; e desunta altresì da altra clausola interpretata oltre il suo proprio significato, in quanto si trattava di clausola inserita in un atto unilaterale (proposta irrevocabile), quindi con obblighi del solo proponente;
- violazione dell’articolo 2702 codice civile, per avere ritenuto la Corte d’Appello atto di rinuncia vincolante per il mediatore copia del mandato prodotta dal promissario venditore, pur se non sottoscritta e disconosciuta;
- violazione dell’articolo 1755 secondo comma codice civile per avere la Corte ritenuto la sussistenza di un patto sulla misura della provvigione pari a zero unicamente da un segno grafico in sé neutro perché consistente in due barre.
La seconda sezione della Cassazione civile ha dunque cassato la sentenza impugnata, osservando che la regola codicistica stabilita nell’articolo 1755 codice civile impone l’obbligo di pagamento del compenso dell’attività di mediazione ad entrambe le parti contraenti che se ne sono avvalse e che una pattuizione contraria tra mediatore e proprietari venditori non poteva essere ricavata dal testo di due clausole (di cui peraltro una disciplinava non il compenso al mediatore ma la cauzione) inserite in una dichiarazione unilaterale (quale è la proposta irrevocabile di acquisto) a cui i venditori sono rimasti estranei.
In altri termini, osserva la Suprema Corte, è stata rinvenuta una “comune intenzione dei contraenti”, il mediatore e i promittenti venditori, in un testo che non era identificabile come un loro accordo.
A giudizio della Cassazione, viola inoltre le disposizioni degli articoli 2702 e 1755 del codice civile l’affermazione della sentenza d’appello secondo cui una rinuncia alla provvigione è ravvisabile nella copia del mandato prodotta da parte venditrice, perché vi risulta barrato lo spazio destinato all’indicazione della misura in percentuale del compenso.
La scrittura prodotta infatti era priva di sottoscrizione e non era stata prodotta in giudizio da colui che non l’aveva sottoscritta, cioè il mediatore: conseguentemente non operava nella fattispecie neppure il principio di fonte giurisprudenziale secondo cui “la produzione in giudizio di una scrittura privata ad opera della parte che non l’abbia sottoscritta costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale e pertanto perfeziona sul piano sostanziale o su quello probatorio il contratto in essa contenuto” (Cass. Sez. III, 2006/13548).
Infine, non è significativa, secondo la Suprema Corte, la mancata pattuizione della misura della provvigione, perché ai sensi dell’art. 1755 comma 2 codice civile non pregiudica il diritto al compenso di mediazione, che in tal caso sarà determinato in riferimento alle tariffe professionali, agli usi o, in mancanza di questi criteri, dal giudice secondo equità.