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Cosa succede se uno dei comproprietari non vuole vendere l’immobile?

Marina di Ravenna
Ph. Ermes Galli / Marina di Ravenna

 

La comunione ereditaria: breve disamina dell’istituto

Se nel patrimonio ereditario subentrano più eredi, in virtù di legge o di testamento, si forma, sui beni ereditari, una comunione tra i coeredi. Essa deriva dalla circostanza che più soggetti succedono contemporaneamente in un’unica eredità. Siffatta comunione viene etichettata come incidentale, poiché si forma indipendentemente dalla volontà dei partecipanti.

Al fine di poter ravvisare una situazione di comunione ereditaria è necessario che il de cuius abbia istituito più eredi per quote ideali, e non per il bene singolarmente individuato.

Non diversamente da quanto accade nella comunione ordinaria prevista dagli articoli 1100 e seguenti del codice, in quella ereditaria non si ha l’appartenenza di beni singolarmente individuati, ma a ciascun coerede spetta, sull’intero, un diritto commisurato alla quota che rappresenta la misura di partecipazione al tutto.

Quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone, se il titolo o la legge non dispone diversamente, si applicano le norme seguenti. La comunione ereditaria è una comunione ordinaria dove vi è una contitolarità del patrimonio ereditato.

Mancando nel codice una disciplina capillare, se si conclude escludono le norme relative alla vicenda dello scioglimento della comunione gli articoli 713 e 736 del codice civile, alla comunione ereditaria si applicano, in quanto compatibili, le regole sulla comunione in generale, segnatamente previste dagli articoli 1100 e 116 del codice civile.

In questa sede basterà richiamare la disposizione dell’articolo 713, comma 1, del codice civile, in base alla quale i coeredi possono sempre domandare la divisione con ciò dovendosi escludere la possibilità di un coerede di opporsi allo scioglimento della comunione, stante il carattere eminentemente transitorio di quest’ultima.

La temporanea indivisibilità può tuttavia dipendere dalla volontà del testatore, volontà della legge di cui agli articoli 715 e seguenti del codice civile, dalla decisione del giudice ai sensi dell’articolo 717 del codice civile e dalla volontà degli eredi, ai sensi dell’articolo 101 del codice civile.

In materia di comunione ereditaria, è consentito ai comproprietari, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, pattuire lo scioglimento nei confronti di uno solo dei coeredi, ferma restando la situazione di comproprietà tra gli altri eredi del medesimo dante causa: tale contratto, con cui il coerede persegue uno scopo comune, è senza prestazioni corrispettive, non determinando direttamente lo scioglimento della comunione, non configura perciò una vera e propria divisione, per la cui validità soltanto è necessaria la sottoscrizione di tutti i coeredi, ma è necessario altresì un contratto plurilaterale, immediatamente vincolante ed efficace fra gli originari contraenti.

Immaginiamo un immobile in comproprietà tra più fratelli i quali si accordino con un’altra persona per venderle il bene. Le parti si danno appuntamento dal notaio per la stipula del rogito, dopo aver firmato prima il compromesso (ossia il cosiddetto contratto preliminare).

Ma quel giorno uno dei fratelli, in disaccordo con gli altri per questioni personali sopravvenute, non si presenta. Prima di stabilire che succede se il comproprietario di un immobile non vuol più vendere, è necessario fare una premessa.

Se un bene è di proprietà comune, ad esempio un immobile, esso può essere utilizzato da tutti i vari contitolari, ma a condizione che nessuno di essi alteri la destinazione originaria del bene o impedisca agli altri comproprietari di servirsene.

Qualora più persone vantino un diritto di comproprietà sullo stesso immobile, ciascuna di queste può decidere, in qualsiasi momento, di vendere la propria quota. Se però tali soggetti sono coeredi dello stesso bene, è necessario garantire ai comproprietari l’esercizio del diritto di prelazione: in buona sostanza, prima di vendere la quota a terzi è necessario proporre la stessa offerta, al medesimo prezzo, ai coeredi affinché dichiarino se intendono acquistarla o meno.

Non è invece possibile vendere l’intero bene se non c’è il consenso di tutti i comproprietari, trattandosi di una proprietà indivisa.

Questo però non significa che il capriccio del singolo comproprietario possa impedire agli altri di disfarsi del bene. Se c’è infatti disaccordo sulla vendita dell’immobile, ciascun comproprietario può rivolgersi al tribunale per far sciogliere la comunione e procedere alla divisione del bene. Tuttavia, l’articolo 1102 del Codice Civile precisa che il godimento del bene dell’uno non può arrecare danno agli altri partecipanti, ovvero impedire loro di parimenti utilizzarlo.

Nel caso in cui alcuni eredi intendano vendere una casa di famiglia e altri no, è possibile risolvere la situazione in quattro modi.

Le quattro soluzioni sono: un accordo fra gli eredi; il retratto successorio; la divisione per testamento; la divisione giudiziale.

 

La divisione ereditaria

La comunione ereditaria cessa normalmente con la divisione, giudiziale o convenzionale.

Ciascuno dei soggetti che partecipavano alla comunione ottiene, in sede di divisione, la titolarità in esclusiva su una parte determinata del bene o dei beni che erano comuni, corrispondente per valore alla quota spettante nello stato di indivisione. La legge 20 maggio 2016 n 76, istituendo l’unione civile tra persone dello stesso sesso, ha previsto l’applicabilità alle parti di tale unione delle disposizioni dettate in tema di divisione. La divisione ha efficacia dichiarativa, essendo già in astratto fissato quanto spetta a ciascun coerede, ed efficacia retroattiva.

L’assegnazione delle varie porzioni concrete, conseguentemente, non realizza una vicenda traslativa, poiché questa si è già compiuta al momento dell’apertura della successione, in seguito alla delazione e alla successiva accettazione. Ciò emerge inequivocabilmente dal tenore letterale dell’articolo 757 del codice civile, ai sensi del quale ogni coerede e reputato solo è immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota lo sa lui pervenuti dalla successione anche per acquisto all’incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari.

L’effetto retroattivo desumibile dall’articolo 757 del codice civile ha carattere assoluto, nel senso che opera non solo nei confronti dei coeredi ma anche dei terzi, con conseguente inefficacia anche nei confronti di questi ultimi degli atti di disposizione di singoli beni ereditari, ai quali questi beni non siano successivamente assegnati in sede divisione. Se tutti i coeredi sono d’accordo, si procede alla divisione contrattuale che si perfeziona con l’unanimità dei consensi su l’insieme delle varie operazioni necessarie, peraltro analiticamente disciplinate dalla legge agli articoli 718 e seguenti del codice civile.

La divisione contrattuale altro non è che un accordo stragiudiziale con cui coeredi convertono i diritti di ciascuno, espresso in quote ideali del patrimonio ereditario, in diritti e su singoli beni, in modo che il valore dei beni individualmente assegnati corrisponde al valore delle quote in comunione. La divisione, infine, può anche essere effettuata ai sensi dell’articolo 734 del codice civile o indirizzata dal testatore ai sensi degli articoli 633 del codice civile, il quale precludendo il sorgere della comunione, può stabilire quali beni assegnare singoli eredi, ivi compresi i legittimari. In tale ultimo caso, l’effetto divisorio si produce al momento dell’apertura della successione la divisione disposta dal testatore esclude, naturalmente, le altre forme di divisioni.

La divisione del bene, se non è possibile in natura (così come potrebbe succedere con un terreno frazionabile o con una villetta scindibile in più appartamenti), deve avvenire in altre forme: ad esempio, tramite l’assegnazione dell’immobile a uno dei comproprietari, con liquidazione agli altri delle rispettive quote in denaro, oppure con la vendita giudiziale del bene e spartizione del ricavato.

Nell’articolo 732 del codice civile viene stabilito che gli eredi abbiano il diritto di prelazione sulla quota dell’altro erede.

Un erede può decidere di voler vendere ad un altro soggetto, ma deve notificare agli altri eredi il prezzo a cui intende venderla per permettergli di esercitare il diritto di prelazione. Gli eredi hanno 60 giorni di tempo per esercitare la prelazione sull’altra quota.

Difatti, qualora sia stato promesso in vendita un immobile indiviso, ciascuno dei promittenti si impegna non soltanto a prestare il consenso relativo al trasferimento della quota di comproprietà di cui è rispettivamente titolare, ma si obbliga anche a promettere il fatto altrui, cioè la prestazione del consenso da parte degli altri comproprietari.

Tale aspetto è definito retratto successorio, ovvero la situazione che si presenta è quella di un erede che vuole vendere la propria quota di eredità.

Nel caso in cui non ricevano la notifica, i prelazionari avranno la possibilità di riscattare la propria quota dall’acquirente o da ogni successivo avente causa, fino a quando è attiva la comunione ereditaria sui beni oggetto dell’eredità.

Tra gli usi che possono essere fatti di un bene immobile, c’è sicuramente quello della locazione. In tal caso, infatti, i comproprietari decidono di affittare la cosa comune allo scopo di ricavarne una rendita e di dividerla tra di essi, in base alle proprie quote: si tratta del cosiddetto uso indiretto del bene, ritenuto pienamente legittimo.

L’erede che occupa tutto l’immobile non è l’unico proprietario. Il pagamento di un affitto risulterebbe un giusto accordo. Altra soluzione è quella in cui l’erede che occupa, sulla scorta di una soddisfacente valutazione, acquisti le quote degli altri eredi aventi diritto diventando unico proprietario. È previsto dalla norma che in caso di vendita di immobili in comunione tra eredi, si possa esercitare il diritto di prelazione.

Quando ogni tentativo di arrivare ad un accordo si rivela inefficace, l’unica soluzione resta quella di rivolgersi ad un giudice per chiedere lo scioglimento della comunione. Prima di arrivare a questa soluzione e ricorrere alla procedura giudiziaria, è obbligatorio procedere con un tentativo di mediazione tramite un ufficio legale. Se l’erede che occupa la casa non accetta, o comunque non è possibile trovare un accordo, la soluzione sarà quella di rivolgersi al giudice per procedere con lo scioglimento dell’eredità in comunione ed eventualmente anche con la vendita dell’immobile tramite asta.

 

La giurisprudenza recente

Con l’ordinanza 8 ottobre 2021, n. 27377, la Corte di Cassazione, sezione II civile, Presidente dott.ssa Di Virgilio, Giudice Relatore dott. Tedesco, con l’ordinanza in esame si indica che, nel caso di disposizioni testamentarie impartite dal testatore ex art. 733 codice civile (e quindi laddove i beni indicati cadano in comunione ereditaria), in sede di formazione delle porzioni divisorie, gli eredi o il giudice devono altresì tenere conto della disciplina di cui all’art. 686 codice civile e dunque presumere la revoca delle indicazioni divisionali del testatore in caso di successiva alienazione o trasformazione da parte del medesimo testatore dei beni ereditari oggetto delle predette indicazioni divisionali.

Secondo la giurisprudenza, l’acquirente del bene può agire contro tutti i titolari dell’immobile, anche quelli favorevoli alla vendita del bene, chiedendo a ciascuno di essi, anche singolarmente, il risarcimento del danno.

Di qui il principio fornito dalla Cassazione: quando l’immobile promesso in vendita e mai trasferito non è stato ancora diviso, ogni comproprietario può essere chiamato a risarcire l’intero danno, non avendo alcun rilievo la circostanza che siano stati gli altri contitolari ad aver commesso l’inadempimento.

 

Conclusioni

Dunque, in conclusione, le conseguenze sfavorevoli derivanti dall’inadempimento di uno solo dei comproprietari non ricadono solo su quest’ultimo, ma anche sugli altri obbligati, tenuti a garantire la prestazione del comproprietario.

Insomma, ciascun contitolare del bene è responsabile anche per l’inadempimento degli altri. Si ha quella che si definisce responsabilità solidale. Con la conseguenza che l’acquirente può agire per ottenere il risarcimento del danno nei confronti dell’inadempiente così come verso uno degli altri comproprietari, benché adempiente.