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Registrazione al lavoro: condizioni di utilizzabilità

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Registrazione al lavoro: condizioni di utilizzabilità

Abstract

La Cassazione 29 settembre 2022, n. 28398 nell’accogliere il ricorso incidentale di una lavoratrice, evidenziava come, per giurisprudenza costante, la registrazione di una conversazione sul luogo di lavoro, effettuata all’insaputa dei presenti dal dipendente per ragioni di difesa, anche in giudizio, costituiva una legittima fonte di prova nel processo del lavoro, a condizione che colui contro il quale la registrazione è stata prodotta non contesti che la conversazione sia davvero avvenuta e che almeno uno dei soggetti tra cui la conversazione si svolgeva, sia parte in causa. Da qui la cassazione della sentenza, con rinvio al giudice di merito per valutare se tali condizioni ricorressero nel caso concreto.

 

Abstract

The Court of Cassation 29 of September 2022, n. 28398, in accepting the cross-appeal of a female worker, highlighted how, according to constant jurisprudence, the recording of a conversation in the workplace, made without the knowledge of those present by the employee for defense reasons, even in court, constituted a legitimate source of evidence in the work process, provided that the person against whom the recording was produced does not dispute that the conversation actually took place and that at least one of the persons among whom the conversation took place is a party to the dispute. Hence the cassation of the sentence, with referral to the trial judge to assess whether these conditions were met in the concrete case.

 

Indice:

  1. I fatti di causa
  2. I motivi a fondamento del ricorso sostenuto dalla lavoratrice
  3. Le ragioni della decisione
  4. Osservazioni conclusive della Corte
  5. Profili civili e penali più rilevanti della pronuncia
     

1. I fatti di causa

La Corte d’appello di Salerno ha respinto il reclamo principale della società datrice di lavoro e il reclamo incidentale proposto dalla dipendente, confermando la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato l’8.2.2016 e aveva condannato la società datoriale alla reintegra nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità risarcitoria.

La Corte territoriale, mediante ampi rinvii all’ordinanza e alla sentenza emesse nel giudizio di primo grado, ha rilevato come gli addebiti contestati alla dipendente fossero privi di riscontro e, comunque, relativi a condotte di inefficienza o negligenza, conosciute e tollerate da parte datoriale ed anzi conformi alla prassi aziendale praticata fin da epoca anteriore all’inizio del rapporto di lavoro con la dipendente; che tali addebiti non avessero carattere di gravità e non giustificassero l’irrogazione della sanzione espulsiva, essendo al più sanzionabili con una misura conservativa, secondo le previsioni del contratto collettivo. La Corte territoriale ha ritenuto che il carattere ritorsivo del licenziamento non potesse considerarsi provato in base alle deposizioni testimoniali raccolte, né attraverso le “abusive, illegittimamente captate e registrate conversazioni” tra la lavoratrice e M. M., considerate dai giudici di appello non idonee a costituire fonte di prova.

Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. La dipendente ha resistito con controricorso e ricorso incidentale articolato in due motivi.
 

2. I motivi a fondamento del ricorso sostenuto dalla lavoratrice

Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 1, comma 60, della legge n. 92 del 2012, per avere la Corte d’appello letto il dispositivo all’udienza del 16.7.2018 e depositato la sentenza completa di motivazione in un momento successivo, esattamente in data 3.9.2018.

Con il secondo motivo si addebita alla sentenza impugnata di aver rigettato il reclamo senza esaminare specificamente i motivi addotti, usando frasi non pertinenti al caso concreto.

Con il terzo motivo, si critica inoltre la sentenza d’appello per aver omesso di motivare su un punto decisivo della controversia concernente il carattere ritorsivo o meno del licenziamento; per avere genericamente affermato l’infondatezza degli addebiti contestati alla lavoratrice senza esaminare specificamente i motivi di reclamo, in tal modo omettendo l’esame di fatti decisivi e valutando erroneamente le prove dedotte nel giudizio.

Con il quarto motivo di ricorso si addebita alla sentenza la violazione e falsa applicazione del contratto individuale stipulato.

Con il quinto motivo di ricorso si assume che la Corte d’appello abbia valutato in maniera errata le risultanze probatorie.

Infine, con il sesto motivo si sostiene che la Corte di merito abbia limitato il diritto di difesa della società non ammettendo tutti i mezzi istruttori ritualmente introdotti dalla stessa e puntualmente trascritti.
 

3. Le ragioni della decisione

Le censure sollevate col ricorso della lavoratrice inducono a valutare se vi sia o meno stato un omesso esame di fatti decisivi e di errata valutazione delle prove dedotte nel giudizio, così come le critiche oggetto del quarto, del quinto e del sesto motivo, ritenute dalla Cassazione tutte inammissibili.

Sebbene formulate attraverso la denuncia di errores in procedendo e in iudicando, le critiche investono la mancata ammissione dei mezzi di prova orale e la valutazione, come operata dai giudici del reclamo, dei dati probatori raccolti.

Tali censure, in quanto attengono al merito della controversia, sono suscettibili di esame in sede di legittimità nei ristretti limiti di cui al nuovo testo dell’articolo 360 n. 5 c.p.c.; al riguardo, secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite (sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 cit.) e dalle successive pronunce conformi (v. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016), l’omesso esame deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo.

Nel caso di specie, la violazione di legge e di contratto collettivo è veicolata esclusivamente sul presupposto che la Corte di merito abbia errato nel valutare le prove e, a causa di ciò non abbia avuto percezione del complessivo inadempimento della dipendente ai propri obblighi e di come la stessa avesse realizzato una strategia illecita per danneggiare l’azienda.
 

4. Osservazioni conclusive della Corte

Nella sentenza sopra esaminata, la Corte ha affermato che la registrazione di una conversazione tra presenti possa costituire fonte di prova entro i limiti e le condizioni specificamente individuate.

Si è, in particolare, statuito che la registrazione su nastro magnetico di una conversazione possa costituire fonte di prova, ex articolo 2712 c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro, e sempre che almeno uno dei soggetti, tra cui la conversazione si svolge, sia parte in causa; il disconoscimento, da effettuare nel rispetto delle preclusioni processuali degli artt. 167 e 183 c.p.c., deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta (Cass. n. 1250 del 2018; n. 5259 del 2017; n. 27424 del 2014).

La Corte ha chiarito (v. Cass. n. 11322 del 2018; v. anche Cass. n. 12534 del 2019 e n. 31204 del 2021, entrambe in motivazione) che l’articolo 24, d.lgs. 196 del 2003 permette di prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612).

Sicché, l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio.

Si è quindi affermata la legittimità (vale a dire l’inidoneità all’integrazione di un illecito disciplinare) della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Cass. 10 maggio 2018, n. 11322 cit.).

La Corte ha esplicitamente affermato che “il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso. Non a caso nel codice di procedura penale il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall’articolo 24 Cost. sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento” (così Cass. n. 31204 del 2021 cit.).

Per le ragioni esposte, la Corte ha respinto il ricorso principale, accogliendo il primo motivo di ricorso incidentale e dichiarato assorbito il secondo motivo. La sentenza impugnata è stata cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, al fine di provvedere ad un nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi di diritto richiamati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
 

5. Profili civili e penali più rilevanti della pronuncia

Sui profili civili della pronuncia, occorre rilevare che, affinché il giudice possa avere una visione veritiera dei fatti su cui deve provvedere, è necessario che disponga di valide prove, in ordine al fatto e per lo più addotte dalle parti, ed eccezionalmente dal giudice, come nei casi previsti dell’articolo 116 del codice di procedura civile, laddove la valutazione sulla veridicità e utilizzabilità della prova è fatta preventivamente dal legislatore, quando ha cristallizzato in una norma giuridica le massime di esperienza.

Il giudice valuterà la cosiddetta prova libera caso per caso, secondo il suo prudente apprezzamento, in base a procedimenti logici e razionali nonché alle massime di esperienza.

L’assunzione delle prove costituite, costituisce una fase spesso determinante nel corso del processo, in quanto ai sensi dell’articolo 2697 del codice civile, chiunque vuol far valere un diritto in giudizio dove provare i fatti che ne costituiscono il fondamento; chi invece, percepisce l’inefficacia di tali fatti, ovvero eccepisce che il diritto si sia modificato o estinto deve provare i fatti sui quali l’eccezione si fonda. 

Sul fatto che la registrazione di una conversazione tra presenti possa costituire fonte di prova entro i limiti e le condizioni specificamente individuate, occorre osservare:

a) che la registrazione di una conversazione possa costituire fonte di prova, ex articolo 2712 c.c., se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro;

b) che almeno uno dei soggetti, tra cui la conversazione sia svolta, sia parte in causa;

c) che il disconoscimento possa essere eccepito nel rispetto delle preclusioni processuali di cui agli artt. 167 e 183 c.p.c. e che esso deve pertanto essere chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta (Cass. n. 1250 del 2018, n. 5259 del 2017 e n. 27424 del 2014).

Nel processo civile la registrazione di una conversazione, se avvenuta tra presenti, rappresenta una riproduzione meccanica ex articolo 2712 c.c. e per questo è da ritenersi una prova ammissibile.

Sui profili penali, invece occorre rilevare che, analizzando l’evoluzione giurisprudenziale in merito alla registrazione di conversazioni, si deve fare riferimento alla sentenza della corte costituzionale n. 149 del 2008 che pone una riflessione in merito non solo alle videoriprese di immagini effettuate nei luoghi domiciliari, ma anche alle registrazioni di conversazioni. A partire dal parere del giudice delle leggi, affinché scatti la tutela del domicilio delineato dell’articolo 14 della Costituzione, non basta che un comportamento venga tenuto in luoghi di privata dimora; ma occorre, altresì, che esso in concreto sia riservato, e cioè non possa essere liberamente osservato dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti.

In conclusione, alla luce delle pregresse considerazioni, nel processo penale la registrazione, effettuata sempre da uno dei presenti alla conversazione, anche se all’insaputa degli interlocutori, viene ritenuta prova documentale e non intercettazione, acquisibile nel corso del procedimento penale attraverso il meccanismo di cui all’articolo 234 c.p.p., che qualifica come documento tutto ciò che rappresenta fatti persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo (così Cassazione n. 7465 del 17 dicembre 2020).